Ernesto Galli Della Loggia, Style 30/5/2013, 30 maggio 2013
COME SAREMO? POVERI MA INTELLIGENTI
Tutti quanti facciamo un grand’uso dell’aggettivo «epocale». Tendiamo ad appiccicarlo ormai a ogni cosa, a proposito o a sproposito che sia. E così va a finire che poi i fatti realmente epocali neppure li vediamo, che i giornali non gli dedichino neppure un titolo su due colonne. Mi riferisco a quanto ha dichiarato il primo marzo di quest’anno Pascal Lamy, il direttore generale del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Il quale ci ha informato che «Fanno scorso, per la prima volta nella storia dell’umanità, la produzione dei Paesi sviluppati è stata inferiore a quella dei Paesi in via di sviluppo», e che sempre nello stesso anno questi ultimi hanno attirato una quantità d’investimenti maggiore dei Paesi ricchi (per l’esattezza 680 miliardi di dollari contro 549).
Qualcuno ha giustamente parlato di «disoccidentalizzazione» del mondo, cioè di un pianeta in cui l’Occidente conta sempre meno. Ma non nascondiamoci dietro le parole: l’Occidente alla fine siamo noi. Dunque siamo noi che siamo destinati a contare sempre meno. Alla luce della notizia di cui sopra, contare sempre meno vuoi dire innanzi tutto una cosa: che già oggi siamo meno ricchi di ieri e che domani lo saremo ancora meno di oggi. Nel 2030 infatti, in pratica domani, intorno al tavolo dove sono apparecchiate le risorse mondiali si siederà una popolazione che per la metà sarà rappresentata da indiani, cinesi e africani, e si calcola che quell’anno la parte di ricchezza mondiale di India, Cina e Africa soltanto ammonterà a circa il 40 per cento del totale.
Abituate da tre secoli a farla da padrone, le opinioni pubbliche di questa parte del mondo mi sembra che non si siano ancora rese ben conto di che cosa significherà di qui a pochi anni un tale gigantesco spostamento di ricchezza e di potere. Anzi di che cosa esso comincia a significare fin d’ora. Specie in Europa la democrazia è una pianta che è cresciuta innaffiata dalla continua ascesa dei consumi, resi possibili anche dal costo più che ragionevole di molte materie prime, oltre che dal livello dei redditi individuali cui contribuiva in modo determinante la condizione delle fabbriche occidentali, padrone incontrastate dei mercati. Ma che cosa succederà quando in un futuro più che prossimo tutte queste condizioni non ci saranno più, specialmente a causa della concorrenza indo-cinoafricana? Quando la presenza produttiva di queste aree, finora escluse, porterà a un aumento dei prezzi delle materie prime, come è già accaduto con il petrolio?
La verità è che nel futuro dell’Occidente, nel nostro futuro, si profila un probabile abbassamento del tenore di vita. Ho scritto si profila, perché forse i giochi non sono ancora fatti, e all’Occidente restano alcune mosse importanti, alcune possibili risposte strategiche: alle quali però è necessario che gli elettori sappiano dare un appoggio politico massiccio. Convincendosi essi per primi che la maggiore quantità delle risorse disponibili va oggi indirizzata a questi due obiettivi: l’innalzamento del complessivo livello scientifico-tecnologico delle nostre società, l’aumento della produttività e quindi della competitività così raggiungibile in tutti i settori. Solo in questo modo riusciremo a non soccombere. Conciliare questo imperativo salvando tuttavia al tempo stesso il retroterra umanistico, cuore della nostra identità storica, di cui anche la democrazia è un frutto, è la vera sfida che ci sta davanti.