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 2013  giugno 04 Martedì calendario

I SEGRETI INDICIBILI DELLA GUERRA A SILVIO

Non credo ai complotti interna­zionali, che andavano molto di moda fra noi giornalisti negli an­ni Sessanta e Settanta (vedevamo «pi­ste» nere, rosse e bianche in ogni pertu­gio della politica) ma alle influenze in­ternazionali e alle loro conseguenze sì. Molti di noi hanno pensato che il proces­so per mafia contro Giulio Andreotti e l’operazione Mani Pulite avessero an­che a che fare con dei circoli americani dalla memoria lunga che non dimenticavano Sigonella. Non lo sapremo mai. Certo, fa impressione che nessun edito­re italiano se la sia sentita di pubblicare un libro usci­to solo in inglese, The Italian Guillotine (La ghigliottina italia­na), firmato da Stanton H. Bur­nett e Luca Mantovani. Il libro è del 1998 e nella premessa a pa­gina 9 vi si legge: «Un gruppo di magistrati altamente politiciz­zati, in larga maggioranza orientati a sinistra, agendo co­me pubblici ministeri, hanno usato una legittima inchiesta giudiziaria per perseguire, se­lettivamente, i loro nemici poli­tici, ignorando o minimizzan­do misfatti simili dei loro allea­ti politici. L’investigazione di fondo è stata un’inchiesta su pratiche che erano andate avanti per decenni... I magistra­ti sono stati abbondantemente appoggiati da un gruppo di quotidiani e settimanali, tutti di proprietà di alcuni pochi grandi industriali che avevano una chiara posta in gioco nel successo del colpo di Stato».
Infatti, quello che i magistra­ti hanno deliberatamente perseguito (« the fact is that men plotted and planned», p. 241) viene definito dagli autori un «colpo di Stato», vale a dire il «rovesciamento non democra­tico del regime che ha governa­to la quarta potenza industria­le dell’Occidente» (p. 1). Ciò che colpisce di più di quel te­sto, è che non sia mai stato tradotto e pubblicato. Guai a chi avanza simili ipotesi. Allora, credo che chiunque possa conveni­re purché in buona fede, anche alle anime più bel­le qualche dubbio dovrebbe venire sul bombardamento giudizia­rio a tappeto scatenato contro Silvio Berlusco­ni. Possibile che sia e sia stata tutta farina del sacco di un grup­petto di intrepidi servitori dello Stato nelle vesti di pubblici mini­steri? Per troncare sul na­scere il finto dibattito, basta il dato di fatto più noto: il famoso avviso di garanzia, che in realtà era un invito a comparire, reca­pitato per via giornalistica il 22 novembre 1994 a Berlusconi presidente del Consiglio mentre era a Napoli a presiedere una conferenza internaziona­le sulla criminalità. Quell’arti­colo del Corriere della Sera presentò per la prima volta al mon­do intero Berlusconi come un potenziale criminale mentre guidava una crociata contro la criminalità. Le conseguenze le ricordate: un bagno di merda per tutto il Paese, il ritiro di Bos­si dalla maggioranza con con­se­guente ribaltone e prima cac­ciata di Berlusconi. Il fatto note­vole è che Berlusconi risultò poi totalmente innocente per le ipotesi di reato che avevano stroncato la sua partenza co­me capo del governo, ma la mazzata mediatica determinò la vittoria di Prodi nel 1996 e cinque anni di traballanti go­verni di centrosinistra (Prodi, D’Alema, Amato, con Rutelli che si cambiava in panchina). Dunque, basterebbe questo so­lo fa­tto per concludere che cer­tamente su Berlusconi si è sca­ricato un fall out radioattivo di materia giudiziaria che punta­va a farlo fuori politicamente.
Che poi Berlusconi possa aver commesso gravi imprudenze nella sua condotta privata, dimentican­do che nella cultura democratica occi­dentale la vita privata di un uo­mo di Stato è un fatto pubblico, è un altro paio di maniche. Ma sta di fatto che oggi lui si trova a fronteggiare una più che probabile condanna non per questio­ni di imprudenza nello stile di vita a casa sua, ma per reati che suonano gravissimi come la concussione e la prostituzione minorile. Chi mi conosce sa che giudico con molta severità tutte le imprudenze, come minimo, che hanno contribuito a devastare l’immagine di un pri­mo ministro. Trovo prima di tutto imperdonabile aver forni­to con genero­sità armi mediati­che a tutto il fronte politico, giu­diziario e mediatico che vuole Berlusconi politicamente mor­to e con lui politicamente mor­ta una politica liberale non in­torpidita dal conformismo im­posto a colpi di decreti legge giornalistici. Ma quel che è fat­to è fatto e guardiamo all’oggi. E torniamo così alla domanda di partenza: c’è caso che una va­sta operazione, che non chia­meremo complotto ma proprio operazione, fu avviata e poi mantenuta costantemente attiva per liquidare politica­mente Berlusconi?
Questa è una domanda che quando la si fa in privato ad amici di sinistra, trova quasi sempre come risposta un’espressione di comprensio­ne, come dire che è ovvio che sia così. Ma se la metti per iscrit­to e la pubblichi, devi poi apri­re l’ombrello sotto le cateratte degli insulti. Macché, grideran­no, Berlusconi si trova sotto at­tacco giudiziario per sue colpe e delitti, in un libero Paese in cui una magistratura notoria­mente «ter­za» e senza preconcetti lo processa senza altri fi­ni che scopri­re i reati e ca­st­igarli secon­do giustizia. È ovvio che, messa così, viene da ridere.
Di qui, di nuovo, la doman­da: ma può essere che l’eliminazione di Berlusconi faccia parte di una vasta operazione politica internazionale, visto che i confini nazionali sono in genere troppo stretti per fac­cende di così meravigliosa sintonia? Ieri rileggevo un breve articolo di Alessandro Sallusti pubblicato su Libero nel mag­gio del 2009, in cui dava una no­tizia che non mi risulta smenti­ta. La notizia è questa: il 23 mar­zo di quell’anno, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ricevette in forma più che di­screta Michail Gorbaciov, un uomo di cui ho uno sgradevole ricordo: mentre Alexander Li­tvinenko moriva tra atroci sof­ferenze in ospedale di Londra, l’ultimo capo dell’Unione Sovietica si faceva fotografare in taxi con una vistosa borsa Vuit­ton da cui emergeva un giorna­le aperto sul caso Litvinenko. Secondo Sallusti, che immagi­no avesse una fonte diplomati­ca da non citare, sosteneva che il tema dell’incontro alla Casa Bianca fra Obama e Gorbaciov fosse Berlusconi. O meglio: co­me eliminare dalla scena euro­pea lo scomodissimo presiden­te del Consiglio italiano. Ci si può chiedere: e perché rivol­gersi a Gorbaciov? La ragione c’è: l’ultimo segretario del Par­tit­o comunista dell’Unione Sovietica (un uomo che è sempre stato rifiutato dai russi e che non è mai stato eletto in libere elezioni dove prese poco più del 2 per cento) è diventato da quei lontani tempi sovietici un guru, un ambasciatore fra lob­by di potere, autore di mille ar­ticoli del tutto vacui e inutili, ma influente e disposto a viag­giare. Se l’informazione è esat­ta, Gorbaciov si sarebbe dato un gran da fare per tessere una rete multinazionale con cui catturare ed eliminare Berlusconi. Se ciò fosse vero, è ovvio che un tale interesse non sarebbe certo dipeso da questioni di stile di vita, cene con belle ra­gazze ed eventuali comporta­menti disdicevoli. No, se la no­tizia fosse solida, il movente an­drebbe cercato altrove. An­drebbe cercato nelle pieghe della politica che conta, quella che sposta ricchezze gigante­sche e in particolare le questio­ni energetiche. Che gli ameri­cani siano più che irritati con Berlusconi per la sua strettissima amicizia con Putin è un fat­to certo. Ricor­do un cordia­le colloquio con l’amba­sciatore Spo­gli ch­e mi con­fermò questo elemento di osti­lità.
Voglio anche ricordare, per lealtà verso chi mi legge, che io stesso non ho alcuna simpatia per Vladimir Putin, la cui idea della democrazia sta agli anti­podi di quella di Thomas Jefferson e di Alexis de Tocqueville. Mi indignò l’invasione russa della Georgia e tuttora mi indi­gna la persecuzione contro le ragazze del gruppo Pussy Riot e molto altro. Ma è certo che l’antipatia degli Stati Uniti per Putin va molto al di là dei com­portamenti censurabili, per­ché si concentra invece sulla questione energetica.