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 2013  giugno 03 Lunedì calendario

MAURO, IL MINISTRO CHE RIFIUTO’ LA DIVISA

Prima di passare in rasse­gna battaglioni, il neomi­nistro della Difesa, il montiano Mario Mauro, aveva rifiutato il servizio militare, pre­ferendogli quello civile. Era allo­ra un giovanottone appena lau­reato in Filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, rifles­sivo e straordinariamente sec­chione. A Milano aveva aderito a Cl e si era legato al leader Roberto Formigoni. Di tanto in tan­to, tornava a Foggia, la sua città, per stare in famiglia e, se le date coincidevano, partecipare alla Via Crucis, percorrendo con al­tri ciellini diversi chilometri per raggiungere l’Abbazia benedet­tina di Noci. Camminava com­penetrato della sacralità del rito e controllava che anche gli altri, che lo consideravano un capo, avessero un comportamento conforme. Se qualcuno di quei ventenni esagerava in allegria, lo raggiungeva e tirandogli il cappuccio del Montgomery - la moda era quella e la stagione fredda - diceva severo: «Vuoi sta­re più composto?». Era, insom­ma, piuttosto pretesco e davve­ro rompiscatole. Dopo sei lustri, Mauro è oggi un occhialuto cinquantunenne che ha preso molto sul serio-co­m’è suo costume - l’incarico che il premier Letta gli ha affida­to. Ha davanti a sé due problemi: la spina dei Marò in India e la faccenda delle truppe ormai vecchiette dopo il blocco del turn over imposto da Elsa Forne­ro, come ha raccontato su queste colonne Fabrizio Ravoni. Con francescana umiltà, Mau­ro ha visitato gli Stati maggiori per conoscere le urgenze delle diverse Armi. In pomeriggi di di­scussione, ha studiato come risolverle in tempi di vacche ma­gre. La disponibilità del ministro ciellino ha suscitato speranze e simpatie tra le stellette che già temevano, dato il preceden­te del servizio civile, di trovarsi di fronte un lavativo.
Fino a gennaio, Mario Mauro militava nel Pdl ed era uomo di assoluta fiducia del Cav. Deputato europeo dal 1999, l’anno della sua iscrizione a FI, Mauro, con Antonio Tajani, rappresen­tava il berlusconismo a Bruxel­les. Tajani con incarichi operati­vi, Mauro con compiti politici. Nocciolo della sua missione era tenere i collegamenti con il gruppo del Ppe, i Dc europei, cui il Pdl appartiene. Un lavoro su misura per chi, come lui, è di formazione ciellina, convinzioni m­oderate e autore di libri sul­l’educazione cattolica. Tanto bene ha fatto che, nel 2009, per poco non diventava presidente del Parlamento Ue, dopo essere stato tra i vicepresidenti. Obiet­tivo mancato solo per questioni di alternanza tra nazioni. Sem­pre idilliaci i rapporti con Berlu­sconi. Mentre mezzo mondo storceva il naso per la ginnasti­ca d’alcova del Cav, Mauro, for­te della sua santa irreprensibili­tà, si erse a difesa. Con altri cirenei, il Celeste Formigoni, Lupi, Sacconi, si espose con una lette­ra aperta che fece rumore. Era ri­vo­lta ai cattolici e chiedeva di sospendere il giudizio per «non ca­dere nella trappola del morali­smo e della gogna mediatica». Insomma, un amico.
È nell’autunno 2012 che le co­se precipitarono quando il Pdl, esasperato dalle baggianate che faceva, si rivoltò contro Monti. Ma l’Ue, che lo conside­rava proprio fiduciario, la prese male e anche in Mauro scattò un riflesso ultra europeista, più forte dell’antica amicizia. Permeato degli umori di Bruxelles, cominciò a dare di matto appe­na corse voce che Berlusca po­tesse ricandidarsi. «È un tragico errore», esclamò irato contro l’uomo cui doveva tutto. Lo trat­tò da populista, anti europeo, accusandolo come un qualsiasi anti berlusconiano di avere «molto detto e poco fatto». Infi­ne, fu il regista di un perfido scherzetto. Era prevista la rentrée del Cav, dopo un anno di as­senza, nel summit Ppe organiz­zato a Bruxelles il 14 dicembre 2012. Berlusconi pregustava di essere al centro della scena ma Mauro fece inaspettatamente comparire Monti che, nulla avendo a che fare col Ppe, non avrebbe dovuto essere lì. Il Pro­fessore attirò gli applausi di tutti e il Cav ne ebbe la festa rovinata. Per Mauro era stata un’aperta scelta di campo: il salto della quaglia dall’uomo di Arcore al bocconiano. Non era però lui l’unico a tramare. Era solo il più scoperto. Nella fatale settimana tra il summit Ppe e la riunione al Teatro Olimpico di Roma (16 di­cembre 2012) la quasi totali­tà­ dei maggio­renti Pdl sta­va abbando­nando Berlusconi, ritenuto sen­za più cartucce, per Monti, dato per vincitore delle elezioni alle porte. Inutile elencare i Bruti. Molti sono tuttora i cosiddetti fe­delissimi del Berlusca. La scis­sione fu evitata all’ultimo dal Cav che entrò con piglio nella lizza elettorale, rianimando spe­ranze di vittoria e di poltrone. Tutti si riallinearono e Mauro re­stò col cerino in mano, quasi fos­se l’unico frondista. Amareggia­to, dichiarò a testimoni: «Con­servo gli sms di Angelino Alfano che mi diceva di andare avanti nella mia azione» e, con coeren­za, lasciò il Pdl per Scelta civica di Monti. Gli è poi andata bene con l’elezione a senatore e la pol­trona di ministro, cui non sono estranee le pressioni del Ppe. Oggi che le acque si sono calma­te, sia Mauro sia il Cav hanno manifestato nostalgia l’uno del­l’altro. Se non un rientro nel Pdl, una riappacificazione tra i due è tutt’altro che esclusa.
Mario, di benestante famiglia foggiana, è nato a San Giovanni Rotondo, dove tutto parla di Pa­dre Pio. L’uso beneaugurante di fare nascere i bambini nei luo­ghi del santo era diffuso. Ignoro se sia stato anche il caso del Nostro. Di certo, i Mauro erano gen­te di chiesa. Il papà, funzionario pubblico, era presidente del­l’Azione cattolica di Foggia, la mamma insegnante. Ebbero tre figli. Una femmina che oggi vive a Padova e che i genitori hanno raggiunto abitando co­là. Il maggiore dei due maschi, Mauro, l’unico che viva tuttora a Foggia, e il solo che abbia diraz­zato dalle pie strade familiari. È, infatti, un militante di Sel e ven­doliano dichiarato. Infine, Ma­rio. Già ai tempi del Liceo classi­co «Vincenzo Lanza», fine anni Settanta, era considerato un’au­torità. Sermoneggiava nel corti­le o all’uscita di scuola di com­plessi ideali comunitari e reli­giosi e la sola cosa che gli uditori capivano è che avrebbe fatto strada. Quando tornava da Mila­no, nelle pause della Cattolica e già iscritto a Cl meneghina, si in­contr­ava con i ciellini locali nel­la sede episcopale e insieme or­ganizzavano feste. A una, Mau­ro portò il Celeste e il suo presti­gio arrivò alle stelle. L’ambien­te era quello della Foggia bene e queste frequentazioni tra egua­li - per fede e censo - si risolveva­no spesso in matrimoni. Mario incontrò Giovanna Belardinel­li, dottoressa in Matematica, e dopo laurea, presa nel 1985, la impalmò. Hanno due figli, Fran­cesca Romana e Angelo. Oggi che vive tra Roma e Milano (il suo collegio), ritorna a Foggia col contagocce. Sperando di non incrociare il fratello vendo­liano.

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LUNGA VITA AL MINISTRO SOLDATO: ECCO MARIO MAURO IN DIVISA -
Nel mio ritratto del ministro della Difesa, Mario Mauro, pubblicato ieri ho scritto che ha evitato il servizio militare, preferendo quello civile. Ho sba­gliato. Con magnifica eloquenza, il ministro anziché smentirmi, ha spedito con ironia una sua foto da mili­tare. È in tenuta marziale, con una barba terribile e tra commilitoni in grigioverde come lui.
Nessuna scusante per me. Posso solo dire com’è nato l’errore. La notizia del servizio civile è stata data un mese fa dalla Stampa, si trova tuttora in diversi siti sul web, a me è stata confermata da aderenti di Cl, il movimento cui il ministro aderisce. Era un particola­re gustoso, ma fasullo.
Il sito ufficiale del ministero della Difesa parla chiaro. Mauro ha fatto la leva in fanteria nel Reggi­mento Col di Lana e si è perfino guadagnato i gallo­ni di caporal maggiore. Che dire? Mi cospargo di cenere.