Rita Fatiguso, Il Sole 24 Ore 3/6/2013, 3 giugno 2013
LA CINA RURALE CHIAMA GLI STRANIERI
Wang Gang, attuale viceministro ed ex capo del partito comunista del GuangDong, un leader noto per la sua vocazione riformista, ha girato due anni fa l’Italia, dalla Lombardia alla Puglia, per studiare il modello produttivo dei distretti italiani. Quel know how, oggi, è alla base del nuovo «Catalogo dei settori primari industriali per gli investimenti stranieri nell’area centro-occidentale», che entrerà il vigore il prossimo 10 giugno.
Il piano suddiviso per zone porta la firma del ministero del Commercio della Repubblica popolare cinese (Ministry of Commerce - Mofcom) e della Commissione per lo sviluppo economico e le riforme della Rpc (la Ndrc, National Development and Reform Commission), ma quel che è importante è che si tratta dell’ultimo intervento del Governo centrale per la realizzazione degli obiettivi fissati all’interno del Dodicesimo piano quinquennale.
Oltre al tentativo di creare distretti "Italian style", il Catalogo punta a creare cluster e aree specializzate per diverse tipologie di prodotti e a uniformare il livello di sviluppo delle aree interne della Cina a quelle più avanzate della costa, nonché a implementare lo sviluppo di tecnologie e impianti industriali ecosostenibili.
Gli investimenti nelle aree centro-occidentali del Paese sono saliti del 36,7%, sfiorando la soglia dei 20 miliardi di dollari. Solo nell’ultimo anno si è avuto un incremento degli investimenti stranieri nelle stesse aree pari a 4,2 per cento.
«L’analisi e lo studio del testo non può tuttavia prescindere dalla lettura dell’ultimo Piano quinquennale, di cui costituisce strumento di attuazione – spiegano Enrico Toti e Laura Formichella, dello studio legale Nctm, che hanno curato l’unica traduzione italiana –, né tantomeno dal Catalogo degli investimenti stranieri emanato da ministero del commercio e dalla Commissione nazionale per lo sviluppo economico e le riforme della Rpc il 24 dicembre 2011 e in vigore dal 30 gennaio 2012, guida fondamentale per chiunque voglia avvicinarsi al mercato cinese, perché fornisce le linee preliminari per l’individuazione immediata delle aree di investimento incoraggiate, di quelle ristrette e di quelle proibite». E aggiungono: «Il testo, emanato per la prima volta nel 2000 e successivamente emendato nel 2004 e nel 2009, è strutturato su base provinciale e l’ultimo emendamento (del 14 maggio 2013, in vigore dal 10 giugno di quest’anno) ricomprende 22 aree, tra province e municipalità, di cui vengono incoraggiati i settori industriali colpiti da crisi e quei settori che rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’economia locale e nazionale».
Le regole sugli investimenti diretti in Cina cambiano, di fatto, soprattutto nelle regioni centrali e dell’ovest della Cina. Ma per vederne gli effetti bisognerà aspettare che vengano implementati. Le aziende straniere sono allertate. È lì che bisogna guardare, al centro della Cina: la Volkswagen ha appena aperto qui uno stabilimento, mentre dall’Italia solo la Fiat si è mossa con decisione su Changshan.
L’agenda economica del nuovo Governo preme e quindi ci si è concentrati soprattutto sulle aree regionali, già ampiamente considerate dal Governo di Pechino come quelle prioritarie. Ci sono quelle del centro della Cina destinatarie di ingenti incentivi, soprattutto nel tentativo di mantenere ferme e migliorare le peculiarità locali.
Il piano sembra ispirato al rispetto delle risorse ambientali e locali. Vengono inseriti ulteriori 173 target per quanto riguarda i settori nuovi; le province coinvolte sono 22. Acque minerali, macchine per l’esplorazione marina, progetti per l’agricoltura e il turismo, specie nelle isole Hainan. Ma anche cloud computing, servizi internet, tutti aspetti sconosciuti al precedente piano datato 2008.
Al tempo stesso torna l’assemblaggio di macchine, prima eliminato dal precedente piano, e ora riproposto. Sono banditi, però, quei processi che creano inquinamento e non producono valore aggiunto per il territorio.
Nei primi quattro mesi dell’anno i fondi esteri nelle stesse regioni sono aumentati del 5,7%, molto di più rispetto alla media nazionale. In realtà la posizione geografica aiuta la logistica. Si punta, insomma, a creare un ponte in Eurasia e sud dell’Asia. Del resto, a confermarlo, sono anche le 420 società che fanno parte della Camera di commercio americana a Shanghai: proprio Chengdu, nella provincia di Sichuan, è il luogo in cui le aziende straniere stanno lavorando meglio. Dice Linda Lin, che a Chengdu sta cercando la location del secondo negozio Kartell in Cina: «Qui c’è un mercato enorme, se sai affrontarlo». E Luca Cavallari da Kunming (Yunnan) rimarca: «Qui stanno facendo di tutto, ma non ho visto un solo architetto italiano, solo francesi e americani».
«Dal nostro punto di vista come banca non cambia molto rispetto a dove si fa l’investimento – sottolinea Yang Jiang, responsabile di Banco Popolare in Cina –, ma se l’aumento di flussi di investimento si innesca, è un fatto da salutare con grande favore».