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 2013  giugno 06 Giovedì calendario

C’ERANO UNA VOLTA I PAESI EMERGENTI

CINA&CO. SUPERANO L’ECONOMIA AVANZATA –
NEW YORK — Smettiamola di chiamarle nazioni emergenti. Proprio dal 2013, con un sorpasso storico su di noi, sono definitivamente emerse. E’ un fenomeno irreversibile, segna uno spartiacque di enorme rilevanza, tra un “prima” e un “dopo”. Cina, India, Brasile, insieme con Indonesia, Messico e tanti gli altri, messi insieme producono più di tutti i “vecchi ricchi”. Che siamo noi: Stati Uniti, Europa, Giappone. Per la prima volta da secoli — per la precisione: dalla rivoluzione industriale inglese — siamo diventati minoranza, non più solo in termini di popolazioni (lo eravamo già da tempo) ma anche per il nostro peso economico sul pianeta. Incrociando i dati del Fondo monetario internazionale e quelli del McKinsey Global Institute, il Financial Timesconclude senza margine di dubbio: è proprio il 2013 l’anno decisivo, quello che ci relega sotto il 50% del Pil mondiale. Naturalmente restiamo dei privilegiati in termini di tenore di vita: l’abitante medio di un Paese di vecchia industrializzazione ha ancora un reddito pro capite che è il quintuplo degli “altri”. E tuttavia anche su questo fronte il nostro vantaggio relativo si assottiglia rapidamente. Il potere d’acquisto cresce a vista d’occhio in tutto il resto del mondo, mentre in Europa regredisce e negli Stati Uniti avanza solo modestamente.
Il clamoroso ribaltamento dei rapporti di forza è ancora più visibile se, anziché guardare alla fotografia statica della ricchezza prodotta, si osservano le tendenze: cioè la velocità di crescita. Da questo punto di vista, gli “emersi” ci hanno staccato già da tempo, e di molte lunghezze. Cina e India messe insieme generano quasi metà di tutta la crescita globale. Entro il 2018, assicura il Fmi, i Paesi di “nuovo sviluppo” faranno il 55% della crescita. Il declassamento è particolarmente brutale per l’Europa. Ancora all’inizio degli anni Novanta l’Unione europea generava quasi il 20% della crescita mondiale.
Allora il G7 piazzava sei dei suoi membri tra le dieci economie più dinamiche del mondo: anche perché all’epoca le dimensioni assolute di Cina e India erano troppo piccole. Oggi il panorama è irriconoscibile: non c’è più una sola nazione europea nella Top Ten della crescita. L’intera Unione europea pesa appena il 5,7% della crescita mondiale. Anche qui, decisivo è l’aumento delle dimensioni assolute. Con una Repubblica Popolare che è ormai la seconda economia del pianeta dietro gli Stati Uniti, una crescita del Pil cinese dell’8% annuo ha lo stesso impatto mondiale di una crescita americana del 4%. Piccolo particolare: l’economia cinese sta davvero crescendo dell’8% mentre quella americana deve accontentarsi del 2,5%.
Tra le conseguenze positive di questa evoluzione: negli ultimi 20 anni si è dimezzata la percentuale della popolazione mondiale che vive sotto la soglia della povertà. Un miliardo di persone sono riuscite a sollevarsi al di sopra del livello di sostentamento. I tre quarti di questo straordinario progresso sono ascrivibili alla Cina; ma un simile miracolo non è fuori dalla portata di altri giganti come India, Indonesia, Brasile. Tra le conseguenze negative, c’è questa osservazione del Financial Times: qualunque azienda che non sia presente sui mercati ex emergenti, sta vivendo nel passato.
Infine una curiosità storica. Il McKinsey Global Institute, facendo la media ponderata delle economie, ha situato il «centro di gravità mondiale». Era nell’Atlantico, a metà strada fra Usa e Ue, dagli anni Cinquanta e ancora all’inizio di questo millennio. Ora si sposta a gran velocità verso l’Asia: è già arrivato in Siberia, ma continua a scivolare sempre più a Oriente. Ritornando così dove si trovava nel XVI secolo, all’inizio dell’epoca delle grandi scoperte: quando Cina e India erano le economie più ricche ed anche tecnologicamente più avanzate. Si conclude mezzo millennio di leadership dell’uomo bianco sul pianeta, e si torna gradualmente verso quel punto di partenza.