Jenner Meletti, La Repubblica 6/6/2013, 6 giugno 2013
INDESIT, LA RABBIA DOPO I TAGLI “LA FABBRICA È IL NOSTRO VIETNAM”
FABRIANO (ANCONA) — Cominciava qui, quella fetta di Italia felice che confinava con il nord delle industrie e il Sud senza fabbriche. Dalla Fabriano delle lavatrici si scendeva ad Ascoli e Fermo che producevano scarpe per mezzo mondo. Piena occupazione, stipendi per ex contadini e braccianti che avevano lasciato terre troppo magre. «Qui abbiamo sempre vissuto — dice il sindaco Giancarlo Sagramola — di pane e frigoriferi, pane e lavatrici. Qui tutti, compreso mio padre, lavoravano “nel bianco”». Il «bianco» è quello delle lavatrici, delle cappe, dei frigoriferi, dei forni e dei piani di cottura. Adesso, quella che era «l’isola felice — dice Andrea Cocco della Fim Cisl — rischia di trasformarsi in un deserto che fa paura».
Per capire cosa stia succedendo a Fabriano e dintorni, basta raccontare la storia di Marco G. e poi moltiplicarla per 1.425, tanti sono gli esuberi annunciati dall’Indesit. «Ho fatto il mutuo per l’appartamento tre anni fa, seicento euro al mese per 15 anni. Cassa integrazione e disoccupazione sembravano cose lontane, le proteste di tanti operai le vedevamo in tv. E invece adesso scopri che anche tu sei un “esubero”, cacciato via da un’azienda dove hanno lavorato tuo nonno e tuo padre. Sono cose che ti lasciano
senza forze».
Grida davanti alla direzione dell’Indesit. «La Melano non si chiude». E’ la fabbrica storica dei Merloni, che fino ad otto anni fa — prima del trasloco in Polonia di questa produzione — produceva tremila frigoriferi al giorno. Partiti i frigo, sono arrivati i piani di cottura, e ora si vuole abbandonare tutta la fabbrica. Un gruppo di operai supera polizia e carabinieri, vuole occupare la palazzina. Gli altri urlano. «Basta licenziamenti », «questa fabbrica è anche nostra». Occupano solo l’atrio, per qualche decina di minuti. Ma la rabbia resta. Assemblee e poi sciopero di quattro ore. «Giocano con gli operai — dice Alfio Mattioli, della Rsu Fiom — come su una scacchiera. Sposti lì, chiudi là, fai tornare qui… In realtà l’Indesit non investe più dal 2005».
Parlava di «sviluppo senza fratture», il fondatore Aristide Merloni. E aggiungeva che «non c’è valore nel successo economico se non c’è anche l’impegno nel progresso sociale». E invece l’altro ieri l’Indesit ha annunciato la chiusura di due impianti dal 2014. Via la Melano di Fabriano e lo stabilimento di Teverola a Caserta. Solo a Fabriano resteranno senza lavoro 480 operai,15 dirigenti e 150 impiegati. Altri 230 saranno cancellati nella vicina Comunanza. «A visitare la Melano — racconta il sindaco Giancarlo Sagramola — vennero anche il presidente Sandro Pertini e papa Karol Wojtyla. Era il simbolo di un’azienda familiare che era riuscita a trasformarsi nel nucleo di una multinazionale “tascabile” che avrebbe raggiunto 14 stabilimenti nel mondo ma che manteneva qui il cervello e anche il cuore. Il piano presentato non mi convince.
Si dice che in cinque anni saranno investiti 70 milioni per riorganizzare alcune produzioni alte, ma la domanda che mi faccio è questa: fra cinque anni, il manifatturiero sarà ancora qui? L’Indesit investe molto in ricerca e sviluppo, ma senza i salari degli operai la città rischia di collassare ».
Ricorda il Vietnam, il sindaco eletto appena un anno fa. «Gli Usa persero la guerra perché i soldati non sapevano come mai fossero stati mandati nelle risaie dell’Indocina. L’Indesit rischia di perdere la battaglia se non riesce a convincere operai, dirigenti e città che bisogna stringere i denti ma che alla fine, dopo cassa integrazione, solidarietà e altro, ci sarà un futuro. Stai male oggi ma domani ritroverai il lavoro. Io sono soltanto il sindaco, conosco la realtà comunale. La multinazionale Indesit, che ha antenne in tutto il mondo, venga a confrontarsi con noi, ci spieghi quasi sono le vere prospettive. Sono angosciato. Le aziende che non si sono internazionalizzate sono scomparse. Quelle che l’hanno fatto, ora propongono tagli e chiusure».
Come dice il vescovo, monsignor Giancarlo Vecerrica, «Indesit è stata importante per questo territorio ma da esso ha saputo trarre benefici». «Che oggi ritrovino il modo di ridare qualcosa alla città». «Anche noi operai — raccontano Fabrizio Bassotti della Fiom Cgil, Andrea Cocco della Fim Cisl e Gianluca Ficco della Uil — non ci siamo certi tirati indietro. In questi anni abbiamo lavorato davvero, l’assenteismo qui è parola quasi sconosciuta. Gli scioperi sono stati fatti solo quando erano necessari, soprattutto per i contratti nazionali. Siamo riusciti a conquistare anche contratti aziendali importanti, con premi di produttività che arrivano anche a 3.000-4.000 euro all’anno. Io lavoro bene e tu mi paghi bene, questa la nostra filosofia».
Fa soffrire anche di più, perdere un buon lavoro. «Adesso siamo solo numeri. L’altro giorno a Roma uno dei capi ci ha spiegato che produrre in Polonia o in Turchia un piano di cottura — che viene venduto a trecento, quattrocento euro — costa almeno 100 euro in meno rispetto a quanto costa qui. E allora i nostri lavoratori debbono subire ed essere contenti di essere i soli a restare con il sedere sulle braci». Delle aziende Merloni, solo l’Ariston Thermo group di Francesco Merloni funziona bene. «Assumono anche interinali». In crisi da anni l’Antonio Merloni, ceduta in parte e con 1.500 lavoratori ancora in cassa integrazione. L’Indesit di Vittorio Merloni ha presentato questo piano che sindacati e operai giudicano «inaccettabile». «Noi crediamo che anche in Italia si possa continuare a produrre i frigoriferi e l’altro “bianco”. I nostri concorrenti, come la Bsh tedesca, la Lg coreana, l’Arcelik turca, sono però sostenuti dai loro governi. Noi no e stiamo sulle braci. Pensare al tempo felice non ci aiuta. Ci fa arrabbiare ancora di più».