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 2013  giugno 06 Giovedì calendario

IL “SEGRETO BRUTTO” DI PRIMO LEVI: BASTA CALUNNIE SU NOSTRO FRATELLO

Egregio Direttore, siamo le sorelle e il fratello di Luciano Zabaldano, uno dei due giovani uccisi dalla banda di partigiani della quale faceva parte Primo Levi. Non avremmo mai voluto intervenire sulle polemiche che il libro di Luzzatto ha scatenato e con il quale abbiamo avuto un tardivo incontro dopo la pubblicazione del suo saggio, ma di fronte all’articolo del sig. Cavaglion e alla successiva replica dello stesso Luzzatto è il profondo dolore per le calunnie che abbiamo finora letto a carico di nostro fratello che ci spinge a chiederle di pubblicare le nostre considerazioni.

Come già contestato direttamente a Luzzatto l’immagine che egli dà di nostro fratello è quantomeno distorta e non corrispondente alla realtà dei fatti. Zabaldano Luciano, per noi che lo abbiamo conosciuto, l’abbiamo visto partire a 17 anni per la montagna e mai più tornare, non può essere quello descritto. La rigorosa educazione ricevuta, i precedenti lavorativi di Luciano e tutto il suo modo di vivere per 17 anni ci consentono di non credere a un improvviso degenerare nella disonestà.

La nostra era una famiglia numerosa e povera ma siamo stati allevati con molta severità e molto rispetto per la roba altrui – inoltre siamo stati educati nella religione cristiana e per noi rubare era un peccato grave. Nostro fratello era un ragazzo robusto, esuberante, irrequieto forse, ma non un ribelle; in tutta la sua vita non ha mai preso iniziative ma soltanto eseguito degli ordini. Si è confusa la vitalità, dovuta alla sua forte costituzione, con la risolutezza, ma non era così. Era anche un generoso pronto ad aiutare il prossimo.

A 14 anni cominciò a lavorare in fabbrica, poi nella primavera del 1942 uscì un bando che estendeva ai sedicenni la possibilità di entrare nella scuola del Corpo Reale Equipaggi Marittimi, fece domanda e andò a La Spezia (luglio 1942). La ragione di questa scelta fu soltanto la FAME. Il giorno dopo l’armistizio Luciano tornò a casa. Nei giorni immediatamente successivi un vicino gli propose di aggregarsi a un gruppo di sbandati che erano andati in montagna. C’era molta paura in quel periodo a Torino per rastrellamenti, ricerca di militari scappati dopo l’armistizio, così questa scelta fu, in parte, dettata anche dalla PAURA. Luciano non era in età di leva ma era stato visto in divisa ed era pur sempre scappato da una scuola militare.

Comunque Luciano salì in montagna con la banda di Amay e non fece mai parte di quelli di Arcesaz perché i suoi viaggi erano sempre TorinoSaint Vincent. Placatasi un po’ la situazione a Torino, Luciano divenne per il gruppo di Saint-Vincent una pedina utile: nato nel 1926, non entrava nelle chiamate del generale Graziani (1924-1925) e quindi poteva scendere a Torino e portare in montagna delle cose che gli venivano date qui a Torino. Se avesse avuto qualche tendenza alle cattive azioni, quali quelle che gli vengono addebitate, avrebbe potuto venire a Torino, prendere il materiale che gli veniva dato, tenersi il tutto e neanche risalire. Fino a qualche settimana prima della sua esecuzione andava tutto bene, ed ecco che improvvisamente diventa un piccolo delinquente.

Quindi la nostra ipotesi è che se veramente sono stati fatti dei prelievi forzosi ai contadini, questi prelievi gli siano stati ordinati. Non conosciamo Il «segreto brutto» che tormentava Primo Levi, al ni e minacce» a una anziana ebrea viennese rifugiacentro del libro di Sergio Luzzatto Partigia (Mon- ta in Valle, fino a provocarne il suicidio. Luzzatto ha dadori) ha alimentato una serrata polemica storio- replicato martedì, sottolineando come la testimografica sulle pagine della Stampa . In una doppia pa- nianza del curato si basasse sul sentito dire e come gina pubblicata domenica Alberto Cavaglion ha non sia possibile stabilire un nesso causale tra le confutato la tesi di Luzzatto, secondo il quale la fu- due tragedie, visto che i due giovani vennero fucilati cilazione di due giovani partigiani nel 1943 in Valle alcuni giorni prima del suicidio della signora. Oggi d’Aosta da parte dei loro compagni (tra i quali Levi) nel dibattito intervengono i famigliari di uno dei raera dovuta a «futili motivi»: dalla Petite chronique di gazzi, Luciano Zabaldano, portando il contributo Adolphe Barmaverain, curato di Brusson all’epoca della loro verità che non coincide con quella dei due dei fatti, pubblicata nel 1970, risulta che la colpa dei storici. I quali peraltro, nella loro breve replica, non due sarebbe stata quella di avere inflitto «vessazio- rinunciano a scagliarsi qualche ulteriore strale. il personaggio Oppezzo, ma o costui nati di quelli di oggi. Luzzatto scrive ti, invece di farli tacere per sempre? aveva tanto carisma da convincere Lu- che nostro fratello manifestò idee co- Questi individui saliti in montagna per ciano e trascinarlo in queste imprese, muniste! È la più incredibile panzana fare i patrioti non hanno mai disturbaoppure nella banda c’era un’altra mente che potevano inventarsi. Mio fratello to i fascisti, si sono limitati a rintanarche le organizzava (cosa assai probabi- non aveva alcuna preparazione politica si (magari in un albergo) e con gli unici le visto che, ovunque, i primi partigiani e, in famiglia, l’unica cosa che si sapeva colpi sparati hanno tolto la vita a due si approvvigionavano in modo non sem- dei comunisti era che erano dei «senza poveri ragazzi. Bella vigliaccata! Altro pre lecito) mandando allo sbaraglio i Dio» - cosa intollerabile, per noi creden- che «coscienza»! due ragazzi, e, quando la situazione si è ti e praticanti. Da noi, i comunisti, era- Se Luzzatto descrive nostro fratello fatta pesante, ha pensato bene di sba- no aborriti più dei fascisti. come un «quasi bandito», dedito a sorazzarsi di loro. Questo spiegherebbe la Cos’altro dovevano inventare que- perchierie nei confronti dei valligiani, tempestività e il modo subdolo dell’ese- sti testimoni bugiardi? Che in due me- basandosi esclusivamente sulle testicuzione, le reticenze, l’omertà da parte si Luciano si era fatto una cultura poli- monianze dei verbali degli interrogatodegli stessi testimoni presenti (il Pia- tica fino a esprimere idee comuniste? ri dei suoi assassini, peggio si comporta cenza non ricorda, Levi non c’era!), e A quale scuola? Quelli che si sentivano Cavaglion che, rifacendosi unicamente non ci si venga a parlare di «coscienza» minacciati erano tutti più anziani, con a un appunto del curato di Brusson, imma soltanto di criminale solidarietà tra una laurea in tasca. Sarebbe bastata puta a nostro fratello la colpa del suiciindividui che per giustificare un delitto una ramanzina, fatta ai due ragazzini, dio di una profuga ebrea, e sostiene di non hanno esitato a sputare veleno sul- da gente culturalmente preparata aver trovato la «verità» sulle motivaziole vittime. (Luciano aveva solo la licenza elemen- ni che portarono all’omicidio di due gio-

Si è detto che la banda si è sentita tare) per rimetterli in riga. Invece si è vani creature. Siamo, ci pare, al limite minacciata da questi due ragazzi: ma scelta l’eliminazione. Quale loro ver- del delirio. Nessuno fornisce una prova, come è possibile? Non dimentichiamo gogna dovevano coprire con questa una testimonianza diretta o scritta che che, all’epoca, i 17enni erano più imbra- esecuzione? Perché non li hanno senti- riferiscano il coinvolgimento di Zabaldano e Oppezzo nelle azioni a loro attribuite e causa della loro esecuzione. Solo infami speculazioni. Nulla è inequivocabilmente dimostrabile, la verità oramai appartiene a coloro che non ci sono più, nostro fratello Luciano, il giovane Oppezzo, coloro che quel tragico mattino erano al Col de Joux e forse Primo Levi che, per chissà quale motivo, ha preferito tacere e portare il suo «segreto brutto» con sé nella tomba.

Ma perché, ci domandiamo, eruditi di tal fatta si azzuffano per dimostrare che ciò che loro sostengono corrisponde a verità? Perché perseverano con le loro illazioni e fantasiose ricostruzioni tendenti a giustificare un crimine? Perché continuano a infangare in modo vergognoso la memoria di due giovani, doppiamente vittime di quel triste e oscuro periodo? Forse per difendere un mito, forse per antagonismo cattedratico? Noi non possiamo sapere e forse non ci interessa un granché, peggio sarebbe se tutta questa polemica si rivelasse solo una mera operazione editoriale, un escamotage pubblicitario. Se così fosse non ci resterebbe che arrenderci, sparire in silenzio convinti che quel futuro per il quale Zabaldano e Oppezzo hanno dato la vita ci è stato negato. Ma per ora noi siamo ancora qui a gridare a gran voce basta!
Albina, Bruna, Marina e Roberto Zabaldano

Condivido lo sdegno della famiglia Zabaldano per la superficialità con cui Alberto Cavaglion, volendo «difendere» Primo Levi da non si sa quale accusa, ha emesso improbabili capi d’imputazione contro i due giovani partigiani uccisi al Col de Joux nel dicembre 1943. Per il resto, non posso che rinviare il lettore alla ricostruzione storica da me proposta nel libro Partigia.
Sergio Luzzatto

Desidero scusarmi se ho procurato dolore ai famigliari dei due giovani. Capisco molto bene che aprire quella pagina di storia significhi riaprire ferite che faticano a cicatrizzarsi. «La storia è dolorosa per tutti», scrivevo nella mia replica. Il documento riportato nell’articolo di domenica scorsa non ha la pretesa di suggerire spiegazioni definitive, intende semplicemente allargare il contesto e dimostrare che la vicenda in questione ha ancora troppi punti oscuri. Cosa che avrebbe dovuto indurre a cautela chi ha avuto l’idea di scriverci sopra un libro. Ovvio che chi non c’è più, e dunque non può difendersi, ha il diritto di riposare in pace.
Alberto Cavaglion