Eugenia Tognotti, La Stampa 6/6/2013, 6 giugno 2013
UN INTRIGO INTERNAZIONALE SUL VIRUS DELLA NUOVA SARS
Fa una certa impressione, in verità, sentir parlare di dispute tra Stati per la proprietà intellettuale di un virus, di diritti, di brevetti, di royalties per vaccini e test diagnostici. Soprattutto se si tratta di un virus come Mers CoV che fa temere una nuova Sars, a dieci anni esatti dalla pandemia che uccise in tutto il mondo circa 800 persone.
Eppure sono quelli i temi che stanno alimentando, in questi giorni, una bollente controversia internazionale. Uno sceneggiatore potrebbe trovarvi materiale per il soggetto di un film – del cospicuo filone «virus letale». Tra i protagonisti, microbiologi, virologi e geni di laboratorio, esperti di sanità pubblica, autorità, responsabili dell’Oms, ricercatori impegnati nello studio di quel virus, di cui si sa ancora poco, potenziale minaccia per la salute globale. In sottofondo le case farmaceutiche e le aziende produttrici di vaccini. La storia comincia nel giugno dell’anno scorso, quando il microbiologo Ali Mohamed Zaki che opera al Soliman Fakeeh Hospital di Gedda si trova di fronte ad un caso di morte per una polmonite grave e insufficienza renale acuta. Non riuscendo a identificare la causa con le diagnosi di routine, Zaki decide di inviare un campione del virus – per averne un consiglio – a un eminente virologo, Ron Fouchier, del Centro Medico Erasmus di Rotterdam. Lo fa senza informare le autorità del suo paese, temendo, forse, anche la loro riluttanza a eseguire accertamenti in vista del pellegrinaggio alla Mecca. La risposta che arriva dall’Olanda è chiara: si tratta di un coronavirus umano prima sconosciuto, strettamente legato a quello dei pipistrelli. L’agguerrito gruppo di ricerca olandese non perde tempo: dopo il sequenziamento del genoma, in novembre, si affretta a chiedere il brevetto e firma contratti con aziende produttrici di vaccini e antivirali. Inoltre pubblica i dati sul prestigioso New England Journal of Medicine (inserendo tra gli autori Zaki). Così, di fatto, l’Emc, un’istituzione europea, acquisisce la proprietà intellettuale di un virus che è stato isolato e coltivato in Arabia Saudita. Indignate, le autorità saudite denunciano l’aggiramento intenzionale o involontario delle procedure nazionali per la segnalazione di nuovi potenziali agenti patogeni. Richiamando il regolamento sanitario internazionale del 2005 che impegna tutti gli Stati membri a riferire all’Organizzazione Mondiale della Sanità casi insoliti e non identificati di malattia grave di interesse internazionale. Certo è che, al momento, i responsabili dei laboratori di mezzo mondo che richiedono un campione del virus lo ottengono, ma con molte limitazioni: devono impegnarsi a non inviare ad altri il materiale e a non usarlo per fini economici (Material Transfer Agreement).
Cosa che, naturalmente, blocca o rallenta gli sforzi dei ricercatori, sauditi e non, per giungere al vaccino. Saranno le aziende farmaceutiche – che hanno acquistato i diritti a produrre test, vaccini, trattamenti antivirali – a decidere su investimenti e tempi, mentre i possibili infetti, in Arabia Saudita e altrove, non possono attendere. Fanno da sfondo ansie e tensioni che riguardano l’applicazione della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd) che riserva ai diversi Paesi il diritto di sovranità sulle loro risorse biologiche e la cruciale questione dei diritti su campioni di virus quando è in gioco la salute globale.
Intanto, dopo aver toccato diversi paesi europei, la nuova Sars è sbarcata anche in Italia, a qualche mese dalla sua prima comparsa in Medio Oriente, un tempo guardato come pericolosa porta d’ingresso del vibrione del colera, disseminato dalle grandi masse di pellegrini di ritorno dalla Mecca nelle terre che si affacciano sul mar Mediterraneo.
Altre epoche, altri contagi. Sul prossimo «piccolo pellegrinaggio» in occasione del Ramadan si allunga l’ombra di questo «nuovo» virus. Una minaccia che non riguarda un solo Paese, ma il mondo intero, ha detto il direttore generale dell’Oms, Margaret Chan, durante una riunione internazionale. «Non possiamo permettere – ha chiarito - che brevetti e gare per pubblicare su riviste scientifiche impediscano la ricerca a vantaggio della salute pubblica». Speriamo davvero che non rimanga una vox clamantis in deserto.