Roberto Giardina, ItaliaOggi 6/6/2013, 6 giugno 2013
GERMANIA, VALE IL PORTA A PORTA
Non credo che Frau Angela sappia cosa sia un tweet. Ma la signora è sorprendente, in poche ora ha imparato a riconoscere un fuorigioco, ed è volata a Londra per la finale dei Campioni, tra il Dortmund proletario e il Bayern di Monaco milionario, forse invece lo sa, e lo evita, certamente non ne abusa come i politici italiani.
E ministri e deputati, di qualunque partito, imitano la Cancelliera. Sarà questa la differenza fondamentale, tra loro e noi?
Non affidano le loro fortune a internet, o non solo, e appaiono in tv di rado, e solo quando pensano di avere qualcosa di nuovo da annunciare. Apparire in qualche trasmissione è pericoloso, si corre il rischio di incontrare un giornalista che pone delle domande vere, e insiste se non ottiene risposte. Impossibile svicolare. Tanto per non farmi odiare dai colleghi, aggiungo che qui, tuttavia, non ci si rovina la carriera per un’intervista seria. Anzi.
In piena campagna elettorale all’inizio di autunno, il 22 settembre, i candidati tornano in strada, non fanno comizi, ma si mettono ai crocicchi per stringere la mano ai passanti, e sottoporsi al loro interrogatorio, o bussano di porta in porta, di quartiere in quartiere, per spiegare il loro programma. Antiquati, ma funziona. «Immer nah bei de Leut», titola Die Welt, metà in dialetto, sempre vicino alla gente: nonostante internet, e la rete, si viene eletti soprattutto se si guadagna la fiducia, e ciò riesce al meglio con il contatto diretto con gli elettori, si spiega nel sommario. In Italia, la signora Polverini viene insultata mentre mangia i rigatoni, e Franceschini non riesce a finire in pace le tagliatelle contestato dai delusi del suo partito. La Finocchiaro non può andare in pace a far lo shopping con la scorta. E si lamentano. Fa parte del nostro mestiere, commenterebbero i colleghi tedeschi.
Lo sfidante socialdemocratico Peer Steinbrück è andato a distribuire porzioni di maialino arrosto a Rottmersleben, paesino di cui ignoravo l’esistenza, in Sassonia-Anhalt, nella ex Ddr. A giocare fuori casa perché sembra che gli abitanti siano in maggioranza per la Linke, il partito dell’estrema sinistra. La Merkel, per rispondere alle accuse sul suo passato da giovane nella Germania Est, è andata in un cinema di Berlino a rivedere Paul & Paula, film cult della Ddr negli anni settanta, per conversare con gli altri spettatori: «Ero una ragazza come tante, non ero una fanatica né una contestatrice, mi sono adeguata». L’accusano di essere stata una comunista riformista, non è vero, ma anche se lo fosse? Se avesse risposto in tv a queste accuse (peraltro riciclate), sarebbe apparsa ufficiale e poco credibile. Seduta in un cinema di periferia, è risultata convincente.
Data la complessità della politica attuale, e dell’economia e della finanza, dai problemi dell’euro alle paure del piccolo risparmiatore, scrive il politologo Knut Bergmann, di Colonia, è impossibile spiegare con un intervento serio e comprensibile da tutti.
Certamente, non attraverso poche righe su Facebook o in 140 caratteri su Twitter. Nel contatto personale, con una stretta di mano, con un’occhiata, una parola mentre si beve l’ennesimo boccale di birra, invece si può ristabilire la fiducia personale.
E i singoli politici «funzionano» meglio dei loro partiti, che si sono tutti tramutati in pachidermiche organizzazioni poco elastiche.
La Cdu della Merkel incontra seri problemi nelle grandi e medie città, e ha il suo bacino in provincia.
Al contrario, i socialdemocratici hanno un buon rapporto con i sindacati, e quindi raggiungono gli operai, ma non riescono a parlare con chi vive nei paesi.
Un impegno che costa tempo, ma è anche l’unico mezzo per fronteggiare i movimenti popolari che prendono piede, come i Piraten o, ultimamente, l’Alternativa per la Germania, che chiede l’uscita dall’euro. Criticare è sempre più semplice che convincere.
Infine, per avvicinare la gente, i politici devono rinunciare alle macchine blu, qui del resto quasi inesistenti, e alle scorte.
«Il rischio fa parte del mestiere», dice Oskar Lafontaine, leader storico della sinistra, che fu quasi sgozzato da una folle.
Le guardie del corpo non sono un status symbol, al contrario sono controproducenti.