Paolo Bricco, Il Sole 24 Ore 4/6/2013, 4 giugno 2013
SE SI ARRIVA A SVUOTARE LA CASSA
Il primo problema è la cassa. Il delicato organismo finanziario-industriale dell’Ilva si sta decomponendo. La società è sul bordo del precipizio finanziario. Alla mezzanotte di giovedì scorso nessuno sapeva più come corrispondere i diritti sulla merce bloccata in dogana e come pagare il carburante con cui fare entrare in porto le navi, ormeggiate al largo. Già da tempo le carte di credito dei funzionari e dei dirigenti non funzionano più. Dopo una notte drammatica, la mattina di venerdì le banche hanno riattivato le linee di credito minime, senza cui l’operatività dell’Ilva sarebbe stata definitivamente compromessa: in caso di default della finanza aziendale, il passo immediatamente successivo sarebbe stato lo spegnimento dei forni. Sono queste le condizioni in cui l’Ilva si presenta al Consiglio dei ministri in programma oggi. E, soprattutto, è questo lo stato di salute finanziario della società di cui, mercoledì, si svolgerà l’assemblea straordinaria. Oggi e domani: due giorni fondamentali per il futuro dell’ottavo gruppo siderurgico al mondo, uno degli anelli essenziali del nostro sistema manifatturiero, che da una chiusura dell’acciaieria avrebbe ripercussioni non irrilevanti. Una decina di giorni fa il procuratore di Taranto Sebastio, nel corso di un incontro con la stampa, aveva assicurato che il sequestro dei beni dei Riva, in particolare delle quote dell’Ilva in capo a Riva Fire, non avrebbe avuto alcun effetto sul normale funzionamento dell’azienda. Così non è andata. Così non sta andando. Come peraltro era prevedibile, data l’integrazione fra le parti di un gruppo come quello dei Riva e data l’intima connessione, propria di ogni realtà economica, fra la dimensione finanziaria, la quotidianità della produzione e la libertà d’azione del management. La prima questione riguarda l’architettura del gruppo. Anche prima del collasso ambiental-giudiziario, le società operative erano sistematicamente in debito con la capogruppo, la quale ha da sempre la funzione strutturale di tesoreria. Congelato il piano superiore con il provvedimento del sequestro, il denaro non fluisce più normalmente verso le società sottostanti, prima di tutto l’Ilva. Dunque, quest’ultima deve fare da sola. Il perimetro della finanza aziendale resta assai circoscritto. Ci sono i (pochi) soldi che ci sono. O, per meglio dire, che c’erano. Dato che, ormai, le casse sono vuote. Questo perimetro, peraltro, è sottoposto al processo di degrado dei margini industriali. Che, ormai, a causa del combinato disposto di impasse ambiental-giudiziaria e di crisi del mercato, sono da tempo in terreno negativo. In questo momento, infatti, si stima che l’Ilva perda una cinquantina di milioni di euro al mese. La paralisi dell’attività si verifica in un impianto che, dal punto di vista logistico-industriale, è assai efficiente: proprio questa elevata produttività tende a enfatizzare gli effetti negativi, come renderebbe ridondanti quelli positivi, se ce ne fossero. Dunque, ogni mese vengono bruciati a Taranto cinquanta milioni di euro. Esattamente la cifra che serve a pagare ogni mese i dodicimila dipendenti dello stabilimento di Taranto, che pesano per due terzi sul monte stipendi di 75 milioni di euro dei 18mila addetti dell’intero gruppo (non solo l’acciaieria pugliese, ma anche gli insediamenti di Genova, Racconigi, Patrica e Novi Ligure). Da qualunque punto di vista si consideri questa perdita, l’entità del deterioramento in corso nell’organismo aziendale dell’Ilva appare impressionante. Ogni giorno, inclusi il sabato e la domenica, la società brucia 1,6 milioni di euro. Se, invece, si proietta questa cifra sull’anno, la perdita ammonta a 600 milioni di euro. Una somma significativa, che rappresenta uno dei vincoli a qualunque ipotesi (peraltro non gradita dalla famiglia Riva) di passaggio di proprietà. Per ora, il default delle finanze aziendali è scongiurato. Il pool di banche non ha chiuso i rubinetti. E questo, nell’articolata fisionomia che sta assumendo questo drammatico caso ambientale e industriale, sembrerebbe un elemento positivo, in vista del 12 di giugno, mercoledì della prossima settimana, giorno di paga per i dipendenti. Anche se, oggi, appare davvero difficile fare previsioni sul futuro dell’Ilva.