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 2013  giugno 04 Martedì calendario

SCHEDONE SUI CERVELLI IN FUGA

«Questa sera andrò a festeggiare la partenza di un caro amico di 38 anni, che domani prenderà l’aereo destinazione Singapore. Lì lo aspetta un lavoro qualificato, pagato, dignitoso, di alta specializzazione. Un lavoro che ha cercato in Italia per troppo tempo perché, per l’ennesima volta, l’azienda per cui lavorava ha chiuso o delocalizzato. Sono ovviamente contento per lui, ma stasera, con gli amici d’infanzia, non so ancora se festeggeremo un nuovo inizio o intoneremo l’ennesimo de profundis della mia generazione» (dalla lettera di Antonio Cascio a Massimo Gramellini). [La Stampa 1/6].

«Caro Gramellini, mi rivolgo subito, sia pure indirettamente, ad Antonio Cascio e al suo amico. A loro devo prima di tutto delle scuse. Le scuse a nome di una politica che per anni ha fatto finta di non capire e che, con parole, azioni e omissioni, ha consentito questa dissipazione di passione, sacrifici, competenze» (dalla lettera di risposta del premier Enrico Letta alla Stampa). [La Stampa 2/6]

Tra il 2000 e il 2010 hanno lasciato l’Italia 316 mila giovani tra i 25 e i 37 anni, muniti di laurea e con ambizioni professionali di alto profilo. I dati arrivano da una ricerca condotta dal programma Giovani talenti di Radio24. Il primo paese verso cui emigrano i cervelli italiani è la Germania, seguita da Inghilterra, Francia e Stati Uniti. All’ottavo posto c’è già la Cina, al nono il Brasile. [La Stampa 2/6]

«Tutto questo non sarebbe un problema se rientrasse nel normale flusso fisiologico dei cervelli che esiste in tutto il mondo sviluppato. Per esempio da noi il tasso di espatri di laureati in discipline scientifiche (matematica, fisica, chimica, biologia) è del 16,2%, contro il 23,3% della Germania, il 25,1% della Gran Bretagna, il 21,1% del Belgio. Il problema è che da noi chi esce non rientra». [Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 31/5]

Il caso di Mariolina Eliantonio, 34 anni, di Pescara, ricercatrice e insegnante presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Maastricht: «In Italia la carriera universitaria è impossibile, tutti sanno che le selezioni per i dottorati non sono trasparenti. E non parliamo dell’avvocatura, per anni non vedi un soldo. In Olanda, invece, ho trovato rispetto e solidarietà sociale. Qui lo Stato non è percepito come un’entità estranea che chiede tasse e non restituisce. Se tornerei indietro? Assolutamente no». [Enrico Caporale, La Stampa 30/12/2012]

Un giovane europeo su quattro è disoccupato, ma Germania e Svizzera hanno il problema di non trovare abbastanza forza lavoro specializzata. Così le aziende di lì hanno cominciato a rivolgersi ai Paesi dove la disoccupazione giovanile è più alta: Italia (38,4%), Spagna (55,8%), Grecia (58%) e Portogallo (38,2%). In Germania servono soprattutto ingegneri, specialisti in Information technology (IT), dottori. [Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 31/5]

Tasso di disoccupazione giovanile in Italia: 41,9% (dati Istat relativi ad aprile 2013).

L’Ufficio Statistico federale tedesco ha fatto sapere che in termini assoluti l’Italia è il Paese del Sud Europa che nel 2012 ha fatto registrare più partenze verso la Germania: 38.500 persone (+40 rispetto al 2011). I nuovi immigranti sono dieci anni più giovani della media dei cittadini tedeschi e hanno per lo più una laurea. [la Repubblica 7/5]

Nel 1983, in Italia, ogni dieci persone che andavano in pensione ce n’erano quindici assunte per la prima volta. Oggi ogni tredici uscite i nuovi ingressi sono solo quattro. [Giuliana Ferraino, Corriere della Sera 31/5]

Secondo un’indagine del centro studi sulle migrazioni Altreitalie, ciò che spinge i nostri ricercatori a migrare è soprattutto l’insofferenza verso il sistema clientelare delle raccomandazioni che vige in Italia. Tant’è che mentre il 18,7% vorrebbe tornare in patria quando si presentassero le condizioni, il 41,3% lo esclude in assoluto. [La Stampa 2/6]

Il freelance Antonio Siragusa raccoglie sul suo blog www.iotornose.it le storie dei cervelli in fuga italiani. Alcuni esempi: il cardiochirurgo 39enne Ciro Mastroianni rinuncerebbe alla carriera avviata al Pitié-Salpêtrière di Parigi «se i baroni si faranno da parte per dare spazio ai giovani medici, se saranno applicate leggi che già esistono»; Flora, 37 anni, docente di Filosofia del diritto all’università di Hong Kong, pone una sola condizione: «Io torno se i concorsi pubblici non saranno più fasulli»; l’imprenditore 28enne Alessandro De Filippo sogna la possibilità di avviare in patria una società di «interpretariato di lingua cinese in videoconferenza» come quella messa in piedi in Francia con il collega Longhao Zheng: «Io torno se sarà abbattuta la burocrazia». [Francesca Paci, La Stampa 3/6]

Il 61% dei giovani italiani pensa che in futuro la sua situazione economica sarà peggiore di quella dei propri genitori, il 17% uguale e solo il 14% migliore, mentre il 9% non risponde. «Per la prima volta dal dopoguerra la nuova generazione sarà più povera di quella che l’ha preceduta» (dall’ultima indagine Coldiretti). [Grazia Longo, La Stampa 3/6]

«Se ne vanno così i figli nati negli anni Ottanta. Se ne va la generazione concepita durante il secondo boom economico. Il tempo in cui l’Italia si è riscattata dal suo passato di povertà. Certo, la vita dell’emigrante nell’epoca di Facebook sembra più facile rispetto a sessant’anni fa. Internet aiuta a tenere i contatti, a non perdersi. Ma dentro, nell’animo, lo strappo è altrettanto forte. Espatriare per necessità significa come allora archiviare le proprie ambizioni, i propri luoghi, gli affetti». [Fabrizio Gatti, l’Espresso 14/9/2012]

Walter Passerini: «Senza infingimenti e demagogie, bisogna dire subito che l’estero non è per i giovani una sconfitta. Basta vedere quelli che si fanno onore nei diversi campi del sapere e dell’economia. Il vittimismo è figlio del familismo. Un’esperienza all’estero è da mettere in conto, in un mondo sempre più piccolo e globale. Semmai c’è da domandarsi perché l’Italia non è una meta allettante per i cervelli globali a caccia di opportunità (ne attiriamo solo il 2%, molti di meno di quelli che scappano). E c’è soprattutto da chiederci che cosa possiamo fare per farli rientrare». [Walter Passerini, La Stampa 3/6]

La strategia proposta da Angelino Alfano per favorire l’occupazione: «Zero tasse agli imprenditori che assumono giovani disoccupati; via l’Imu e non aumento dell’Iva; semplificazioni per chi vuole investire». Il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato ha promesso due misure nell’immediato: «Primo, il potenziamento del fondo di garanzia, che vuol dire mettere a disposizione più credito per le imprese. Secondo, vantaggi fiscali per le aziende che assumono in modo permanente i giovani nelle loro aziende. Sarà un’esenzione fiscale di tasse e contributi per l’intero montesalari di nuovi assunti a tempo indeterminato. La durata? Dipenderà dalle risorse disponibili. L’importante è fare uno sforzo: abbiamo due milioni e mezzo di giovani – una cifra che fa venire i brividi – che non lavorano e non studiano». [Roberto Giovannini, La Stampa 3/6]

Claudia Ferrazzi di mestiere fa l’«administrateur général adjoint» del Louvre, cioè è il numero tre nella scala gerarchica del museo più importante del mondo. Ha 36 anni ed è nata a Bergamo. «Non mi considero né un cervello né in fuga. Quella che finisce di studiare adesso è una generazione da ammirare, quasi eroica. Questi ragazzi trovano una situazione terribile, la crisi, i posti migliori tutti occupati, eppure hanno voglia di battersi. Il mio consiglio è di partire, di andare a studiare all’estero, di fare confronti ed esperienze. E poi di tornare in Italia per metterle a frutto». [Alberto Mattioli, La Stampa 1/6]

I casi di cervelli in fuga più noti: Riccardo Giacconi, Premio Nobel per la Fisica 2002 (laureatosi a Milano, emigrò negli Stati Uniti verso la metà degli anni ’50); il fisico Giovanni Bignami, costretto per diversi anni a lasciare l’Italia per la Francia, ora è presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica; l’economista Luigi Zingales, insegna all’University of Chocago; l’archittetto e ingegnere Carlo Ratti, direttore del Senseable City Lab del Mit di Boston;

Al di là delle questioni di orgoglio nazionale, la fuga dei cervelli genera una perdita netta ogni anno di più di un miliardo di euro, vale a dire il capitale generato dai 243 brevetti che i nostri migliori 50 cervelli depositano all’estero. Un valore che, considerato nei prossimi vent’anni, potrebbe arrivare anche a quota tre miliardi, come mostra uno studio dell’Istituto per la Competitività (ICom). [Flavia Amabile, la Stampa 20/8/2012]

Nel 2012 i migliori venti ricercatori italiani hanno depositato all’estero otto scoperte come autori principali. In termini di ricavo si tratta di 49 milioni di euro che tra vent’anni diventeranno 115. [Flavia Amabile, la Stampa 20/8/2012]

Confindustria ritiene che, considerando università, dottorato, master, corsi di lingue eccetera, l’investimento per la formazione di un ricercatore costa allo Stato Italiano circa 800 mila euro. «Solo negli ultimi anni il nostro paese ha speso grosso modo cinque miliardi di euro e i nostri competitori increduli ringraziano del prezioso regalo» ha commentato Giorgio Squinzi. [La Stampa 2/6/2013]

Scrive Antonio Polito in Contro i Papà (Rizzoli, 2012): «Cedere i propri giovani a Paesi con un tasso di crescita e di occupazione più alto presenta sicuramente degli svantaggi. Se si trattasse di ingegneri, per esempio, e se fossero ingegneri formati in una buona università, si calcola che la loro formazione costi 60 mila euro alla comunità di origine, mentre ne godrà gratis la nazione che li ospita. […] Ma nel breve periodo tolgono pressione dai nostri conti pubblici, perché non dobbiamo mantenerli direttamente con benefit o indirettamente con altra spesa sociale. E nel lungo periodo sono una riserva di forza lavoro qualificata che può sempre essere riattivata quando lo choc culturale, o il mutare della congiuntura o semplicemente la nostalgia di casa li riportasse indietro. Ciò che viene chiamata “fuga dei cervelli” potrebbe essere una situazione win-win, in cui cioè tutti guadagnano qualcosa. Mentre da noi arrivano professionisti di qualifica più bassa, soprattutto infermieri, dalla Romania, dalla Spagna e perfino dalla Germania. È così che funzionano le aree di libero scambio, dove circolano cioè liberamente le merci, i capitali e le persone, e la moneta è unica». [Antonio Polito, Contro i papà. Come noi italiani abbiamo rovinato i nostri figli, Rizzoli, 2012]