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 2013  giugno 04 Martedì calendario

CINA LE DONNE CHE FANNO TREMARE IL REGIME

PECHINO
Alla vigilia del primo vertice tra Xi Jinping e Barack Obama scoppia così in Cina la “rivolta delle donne”, mobilitate per costringere il presidente a spiegare agli Usa e al resto del mondo se il “sogno cinese”, slogan del nuovo leader, si estenda fino al rispetto delle mamme e dei bambini, razza in via di estinzione in un Paese sempre più vecchio. A innescare l’inedita protesta rosa contro il potere rosso, che censura e repressione non riescono per ora a soffocare, il degenerare di drammi vecchi e la denuncia di nuove tragedie: la selezione sessuale innescata dalla legge del figlio unico, la “guerra del latte sicuro” tra le madri cinesi e quelle straniere, una legge che vorrebbe multare le donne che si permettono di rimanere incinte senza prima essersi sposate.
Ad accomunare questa trasversale opposizione, estranea ad ogni ideologia, un’insopportabile evidenza concreta: una madre, o una donna che aspiri a diventarlo, in Cina è sommersa da una montagna di problemi, ignoti al resto dell’umanità. A far traboccare il vaso ci hanno pensato i funzionari del partito di Wuhan, metropoli dell’Hebei. Le autorità hanno presentato una legge che punta ad imporre «tasse di risarcimento sociale» alle donne che partoriscono figli fuori dal matrimonio. Il popolo del web, ormai ingovernabile anche per la censura online, l’ha subito ribattezzata «multa contro le madri nubili», sollevando un’indignazione senza precedenti. La norma intende punire le donne non sposate che «consapevolmente fanno figli». In discussione, oltre all’ammenda, anche la possibilità dell’arresto.
Lo stesso Quotidiano del Popolo, nell’edizione inglese, è stato costretto a sollecitare una riflessione sulla legge, che potrebbe essere estesa all’intera nazione. I funzionari di Wuhan hanno spiegato che multare le madri nubili «servirà a mantenere basso il tasso di natalità», favorendo al contrario i matrimoni e «la costruzione di nuove famiglie». Tali giustificazioni, in queste ore, stanno facendo dilagare la protesta delle donne. Le nuove oppositrici spiegano che la norma non farà che ingigantire il divario tra i ricchi, che possono pagare le multe, e i poveri, per i quali ogni spesa risulta inaffrontabile. Il neonato “Movimento per la libertà femminile”, fondato a Shanghai, ha scritto che il governo cinese si illude di «riparare un fallimento (la legge del figlio unico) con un altro disastro (la persecuzione delle ragazze madri)» e che la conseguenza sarà «un nuovo boom di aborti, abbandoni, infanticidi e traffico di bambini». «È l’ennesimo atto politico – ha dichiarato Chen Yaya, sociologa dell’Accademia delle scienze – mirato esclusivamente contro le donne. Maschi e padri restano sollevati da ogni responsabilità, mentre già oggi le madri single cinesi non hanno diritto ai sussidi di maternità».
Ondata di proteste anche su Weibo, il Twitter made in China: «Il potere di Pechino ha perso la testa — scrivono migliaia di internauti — e sta solo cercando di fare soldi. Prima il divieto ad una generazione di avere un fratello, ora la tassa contro le mamme che preferiscono restare indipendenti. Nessuno si finga sconvolto se poi trovano i neonati nello scarico del wc». La nuova leadership tace, ma i membri appena nominati nel Politburo sono molto preoccupati. Ricchi e classe media, il terzo più influente della popolazione urbanizzata, premono da mesi per l’abolizione della legge del figlio unico, che in trent’anni ha sottratto al Paese oltre 300 milioni di neonati. Alla “rivolta delle madri nubili” si somma poi il dramma della “guerra del latte”, che rilancia lo scandalo del cibo tossico nella potenza che ambisce a comandare il mondo contemporaneo.
Simbolo imbarazzante di quest’incubo, l’opera “Baby Formula 2013” dell’archistar dissidente Ai Weiwei, esposta ad Hong Kong: un’enorme mappa della Cina, composta da 1800 barattoli di latte in polvere per bebè, prodotti da sette multinazionali straniere. L’installazione, che la polizia non è riuscita a fermare, denuncia la realtà che ogni cinese subisce: la paura di bere il latte e in particolare di garantirlo ai neonati. Il dramma esploso nel 2008, quando il latte arricchito con la melamina causò sei morti, 300 mila intossicati e migliaia di affetti da malattie croniche, si è rivelato inutile. Nelle ultime settimane le denunce di prodotti caseari avvelenati si sono moltiplicate. Il direttore di una società di Suzhou, partner della multinazionale svizzera Hero, è stato arrestato con l’accusa di aver alterato 25 tonnellate di latte per l’infanzia. Tra i reati più comuni, il cocktail fra latte straniero in polvere e latte cinese scaduto, il cambio della data di scadenza sulle confezioni, o la produzione chimica di lattosio. Per le mamme cinesi, tra le quali solo il 16% ha la possibilità di allattare, pena il licenzia-
mento in caso di maternità, è il panico. In Rete e sui giornali locali, meno controllati dalla censura, spopolano le notizie di coniugi che, per non intossicare il figlio, si riducono ad allevare una capra in casa, si svenano per acquistare latte di bufala, si indebitano per mantenere una balia, oppure pagano fino a quattro volte il prezzo medio pur di assicurarsi latte in polvere straniero.
E’ questa la nuova “guerra del latte”, che oppone la mamme cinesi a quelle del resto del mondo. Ogni madre, in Cina, si trasforma oggi in una dipendente dal latte in polvere per bebè prodotto in Europa, Usa e Australia ed è costretta a diventare cliente degli spacciatori di cibo per l’infanzia. Dai supermercati cinesi, il genere è scomparso da mesi. Milioni di donne hanno prima svuotato gli scaffali nei centri commerciali di Hong Kong e poi dato l’assalto ai negozi di Inghilterra, Francia, Germania, spingendosi fino in Sudamerica e Nuova Zelanda. L’ex colonia britannica, scossa dall’insurrezione delle donne locali, ha limitato a 1800 grammi la quantità di latte in polvere esportabile: per le trafficanti di latte sono previsti due anni di carcere. Anche Usa, Ue e Australia hanno approvato norme contro le cinesi «svuota-scaffali», mentre le quotazioni del latte di soia sono andate alle stelle. Nel silenzio di Pechino, balie e massaggiatrici del seno, che promettono di aumentare fino al 60% la montata lattea delle puerpere, sono arrivate a guadagnare l’equivalente di 1800 euro al mese, il quadruplo di un operaio. E’ infine scoppiato
l’e-commerce clandestino dall’estero. Organizzazioni cinesi, dotate di decine di dipendenti in Paesi stranieri, garantiscono il latte per l’infanzia necessario alle connazionali. Lo acquistano in negozi e farmacie locali e, sulla base delle ordinazioni, lo spediscono in patria.
«Il problema – spiega Shao Xiaoming, attivista della prima Banca del latte, appena fondata nel Guangdong – è che passa oltre un mese per la consegna: così le donne, pur di non restare senza, ne ordinano decine di confezioni». Uno scandalo globale ignorato, con le mamme cinesi che, da vittime, vengono fatte passare quali spietate razziatrici del latte per i neonati altrui. E’ tale esercito di donne esasperate che, nell’anniversario del massacro dei figli indifesi di altre donne, spaventa oggi i nuovi “principi rossi” di Pechino. A loro si uniscono artisti, studenti, dissidenti e attivisti che, per denunciare il dramma sommerso della pedofilia nella nazione, si fanno fotografare con la scritta “Preside, affitta una camera con me, lascia gli studenti in pace”, dipinta sul corpo nudo. Denunciano il caso del dirigente di Hainan che ha violentato quattro ragazzine, attirandole in un albergo. Donne, madri, neonati e bambini, l’anello debole di una Cina incapace di collegare i diritti umani alla crescita economica. Il potere ora teme però che le sue vittime si rivelino il vero soggetto forte, capace infine di una rivoluzione: e che questa volta la storia non finisca come in piazza Tienanmen.