Claudio Antonelli, Libero 31/5/2013, 31 maggio 2013
TASSE E COSTO DEL LAVORO L’ALBANIA È UN PARADISO
Chi immagina Tirana come un città confusa e ancora legata all’immigrazione non può che restare deluso. Il vecchio quartiere che un tempo racchiudeva gli edifici di Enver Hoxha ospita adesso la movida. Locali, bar e ristoranti. Wi-fi gratis da usare durante l’aperitivo. I centri commerciali fanno invidia a quelli italiani, almeno in città. Fuori in campagna è tutta un’altra storia. Ma per il momento i business si fanno al 95% nella capitale. E non è un caso se sull’altra sponda dell’Adriatico gli imprenditori italiani sono oltre quattrocento. Metà parlano barese e salentino e nella maggior parte dei casi hanno fiutato guadagni e opportunità mentre gli albanesi scappavano in Italia dalle macerie della dittatura comunista.Basti solo pensare che l’imbottigliatore della Coca-Cola è made in Catania: gestito da Cristina e Luca Busi ormai istituzioni nel settore delle bevande oltre l’Adriatico. Il primo incentivo era ed è il costo del lavoro: secondo i dati 2010 della Banca centrale albanese, un operaio guadagna al mese dai 170 ai 425 euro, un ingegnere dai 253 ai 630 euro, un dirigente da 550 a 1.350 euro. Il cuneo fiscale non supera il 14 per cento. E nei pressi di Durazzo il governo sta costruendo una zona franca. Zero imposte per dieci anni e finalmente riforma della burocrazia secondo la formula del silenzio assenso. Nessuna risposta entro quindici giorni? La pratica è automaticamente accolta. Considerato il più giovane e diretto deputy minister del governo albanese, Enno Bozdo non usa i soliti giri di parole della lingua politichese. Un po’ di ottimismo ama dispensarlo, ma ha idee chiare su punti di forza e di debolezza dell’Albania. E il suo motto è «Meno Stato, più privato e più efficienza ». Che tradotto in numeri significa che i servizi e i costi dello Stato non devono pesare più del 28% del Pil.
PIL IN CRESCITA
«Quest’anno», spiega Enno Bozdo, «stiamo vivendo la grande incertezza dell’Unione Europea e la grave crisi dei due principali partner commerciali. Tant’è che avremmo potuto chiudere il 2012 con un Pil preceduto dal segno più con 6 punti percentuali. Ci dobbiamo accontentare di +2,6%. Il che significa che i risultati sono comunque buoni e che dobbiamo andare avanti sulla strada delle riforme e stringere i bulloni dei miglioramenti messi in atto». Soprattutto la riforma del catasto. In Albania ne esistono tre. Quello precedente Hoxha, quello della dittatura comunista e quello successivo. Tutti e tre validi e sovrapponibili. Molte aziende hanno avuto problemi acquistando terreni da un proprietario per poi vederselo espropriare da un terzo, che comunque risultava anch’egli legittimamente intestatario. Ora il governo si fa intermediario e assicura agli stranieri che in qualunque contenzioso il privato albanese dovrà vedersela con lo Stato e non più con l’acquirente straniero. «Se le tasse sono secondo noi adeguate, il costo del lavoro già basso, può, defiscalizzando, scendere ulteriormente. Sappiamo che in Italia fare manifatturiero e diventato quasi impossibile, ecco che vogliamo dimostrare in primis agli italiani che conviene venire da noi. Siamo meglio dell’Asia e siamo più vicini. Ci separa solo l’Adriatico». L’obiettivo è far scendere di un terzo le tasse sul lavoro e intercettare nuovi investimenti esteri diretti in modo da superare la crisi dei principali Paesi partner: Grecia e Italia.
A maggio scorso Sali Berisha ha incassato dall’allora premier Mario Monti il rinnovo del sostegno italiano perché entro dicembre 2012 ottenga lo status di candidato all’adesione. Bruxelles però, anche se ha liberalizzato i visti due anni fa, chiede di rafforzare democrazia e stato di diritto, mettendo mani a legge elettorale, lotta alla criminalità e corruzione, tutela dei diritti umani e di proprietà. E alla pubblica amministrazione: i nodi sono la concessione di permessi edilizi, la lentezza burocratica nelle pratiche doganali legate soprattutto al rimborso dell’Iva a chi esporta (le aziende versano l’imposta sugli acquisti interni ed esportano in esenzione accumulando crediti) e il rifornimento dell’energia elettrica. Però come accennato sopra l’Albania ha compiuto progressi rilevanti, soprattutto nel rendere più facile avviare un’impresa e nell’alleviare la tassazione. In generale, secondo l’International Trade Center l’Albania vanta la più alta crescita economica del sud-est europeo, trainata da esportazioni. Per capirsi nella classifica Doing business 2012 la tutela degli investimenti è al 16esimo posto su 183, le possibilità di ottenere un prestito bancario sono al 24esimo posto, più diquantoaccade in Italia (rispettivamente al 65esimo e 98esimo posto per giudizio). Gli investimenti diretti esteri sono stati 656 milioni nel 2007, 978 nel 2008 e nonostante la congiuntura globale ben oltre i mille nel 2012. E c’è da aspettarsi con il 2014 altre sorprese positive per Tirana.
Resta buona la concorrenza slovena, ma con minore mordente. La scorsa settimana il Parlamento sloveno, con la necessaria maggioranza dei due terzi, ha approvato l’inclusione nella Costituzione della cosiddetta regola fiscale aurea, che impone il pareggio di bilancio. Prevede l’abolizione del deficit finanziario strutturale e l’arresto degli indebitamenti.
LUBIANA E ZAGABRIA
La Slovenia continua a offrire possibilità di buoni investimenti agli imprenditori italiani, soprattutto nel settore commerciale. Bassi costi dell’energia e zero burocrazia sono ancora conciliabili con un prelievo fiscale che si aggira sul 20%, (imposta sul reimpatrio dei profitti per cittadini Ue continua a essere zero), ma la crisi si fa sentire e Lubiana sembra prendere la strada europea della ricerca del gettito a tutti i costi. Tanto più che le misure del governo per contrastare la crisi appaiono a molti analisti come insufficienti. Lubiana sta limitando il numero di permessi di lavoro agli immigrati stranieri e incentivando le aziende ad accorciare l’orario di lavoro. Se la recessione sarà profonda per Lubiana si prospetta un lungo periodo d’austerità. E a quel punto le aziende italiane oltre all’Albania sposteranno i propri interessi sulla Croazia dal primo luglio membro della Ue a 28. In Croazia operano da tempo circa 250 aziende italiane come Benetton, Salzam (Mercatone Emmezeta), Calzedonia, Agip, Coop nordest, Pittarello, Astaldi. Per aprire una società a responsabilità limitata e previsto un capitale sociale minimo di 2.500 euro, la procedura può essere eseguita da qualsiasi legale in 20 giorni (e una parcella da 2mila euro) e non bisogna avere soci residenti in Croazia, ma la società può essere al 100% di proprietà dei cittadini stranieri. Le tasse rispetto all’Albania non sono così basse, ma la burocrazia consente soprattutto in termini di dogane e porti ciò che non è possibile in Italia.
(2. continua)