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 2013  giugno 04 Martedì calendario

UE SPIAZZATA MENTRE STAVA APRENDO LA PORTA ALLA TURCHIA

Due settimane fa, al ritorno da una missione lampo a Ankara, Herman Van Rompuy non ha avuto esitazioni nel rivelare un certo ottimismo sulla possibilità di rilanciare il dialogo coi turchi per una (pur sempre lontana) adesione all’Unione europea. C’erano spazi per ripartire, constatava il presidente del Consiglio Ue. Immaginava si potesse porre fine allo stallo negoziale dovuto alla combinazione fra la crisi, il «no» francese di Sarkozy, la posizione ondivaga dei tedeschi e, delizia finale, la presidenza dei Ventisette finita nel 2012 ai refrattari ciprioti. «L’assenza di progetto - diceva - mina le basi della fiducia». La prospettiva annunciata d’una visita del premier Erdogan «entro l’estate» a Bruxelles corroborava le migliori speranze. Ora tutto s’è fermato. «Presto per valutare gli effetti politici degli scontri», confessano i portavoce della Commissione. L’alto responsabile per la politica estera Ue, Cathy Ashton, ha naturalmente condannato «lo sproporzionato uso della forza» e ha auspicato «una soluzione pacifica». I suoi analisti cercano di capire se le ebollizioni di piazza renderanno più facile o più difficile trattare con un Erdogan al momento indebolito. «Ogni soluzione è possibile - ammette una fonte europea -. È qualcosa che nessuno si attendeva e le conseguenze ancora complesse da prevedere».
Ankara è in coda per entrare nell’Ue dal 2005 obiettivo previsto per il 2020-25. Il negoziato prevede la firma di 35 capitoli e ne è stato chiuso uno solo (Ricerca). Sino a poco fa si pensava di aggiungerne un secondo durante la presidenza di turno irlandese (entro giugno) e altri due in quella lituana (dicembre). «Ricreare le relazioni sulla base di una fiducia reciproca», ha ammonito Van Rompuy. Ascoltato, questa volta, se non altro perché l’ultima ministeriale a Bruxelles è andato bene. L’ipotesi di una liberalizzazione dei visti pareva dietro l’angolo.
Il nuovo clima aveva molteplici ragioni, i legami economici (115 miliardi di scambi bilaterali) con un paese in gran ripresa e il ruolo esso svolge di fronte alla tragedie in Siria, paese col quale condivide 900 chilometri di frontiere. Il premier Erdogan si tiene in bilico fra mondi che faticano a parlarsi. L’Europa gli riconosce questa e altre doti, lo vorrebbe più vicino, ma vede aspetti preoccupanti. Per dirne una, si chiede come affrontare il capitolo dei diritti fondamentali con chi lamenta i disastri di Facebook. Adesso nessuno può dire se Erdogan verrà davvero a Bruxelles e se i tre negoziati parziali verranno chiusi. Osservatori equilibrati immaginano che l’Ue potrebbe - a differenza di quanto avvenuto nella primavera araba «fargli comunque da sponda». Van Rompuy, ad Ankara, disse di sperare di «porre le basi per costruire un ponte fra Europa e Turchia». Nella confusione generale il taglio del nastro è perlomeno rimandato.