Alessandro Capponi, Corriere della Sera - Roma 4/6/2013, 4 giugno 2013
LA MADRE, LA FUGA DAL TASSO. IGNAZIO, IL BOY SCOUT CHE VUOLE FARE IL SINDACO
Alle dieci della sera può capitare di incontrarlo in via Margutta, che è una delle strade più suggestive della città: eppure, non è la bellezza a portare il chirurgo a passeggiare lì, da solo, a tarda sera. Il vero motivo è un altro, completamente diverso.
Non si sa molto del candidato di centrosinistra che, da lunedì, potrebbe diventare il nuovo sindaco di Roma: certo tutto o quasi è noto del politico, e del chirurgo, il «re dei trapianti», come lo chiamavano. Noti i numerosi biglietti di ringraziamento che gli arrivano a Natale dai pazienti che ha salvato, così come le polemiche per quella storia di rimborsi Usa cavalcata dalla destra — Marino ha querelato e vinto la causa. Conosciute le sue posizioni - «cattolico, non integralista», «sto coi Ds ma per me l’embrione è vita», come disse al rientro in Italia. Ma dell’uomo, ecco, si sa quasi niente. Non è facile perforare l’aurea di scienziato che lo accompagna. Questa eleganza un po’ snob — formale, nordica, svizzera — che lo porta a dare del lei anche ai suoi collaboratori: alcuni, dopo anni, continuano a rivolgersi a lui chiamandolo «professore». Ma ci sono i dettagli, ancora da svelare. Prendete il cinema, i film: in America, la sera, dopo quel carico di stress che aveva accumulato in sala operatoria, amava andare al cinema. Ma nessuno voleva mai accompagnarlo: perché lui, allora come adesso, non sceglieva pellicole da scienziato. Perché ciò che proprio lo rilassa — oltre alle immersioni in mare aperto — sono gli action movie con Arnold Schwarzenegger. Ancora oggi Marino cita a memoria delle battute — in inglese — «hai mai ucciso nella vita? Sì, ma solamente i cattivi». Poi, certo: con chi glielo domanda è pronto a citare altri film, «Mediterraneo», «La vita è bella», «Nuovo cinema paradiso». Ma statene certi: se deve rilassarsi, distrarsi, staccare, non è un film premio Oscar che guarda. Divora libri di storia, anche le biografie romanzate (quella di Annibale è la sua favorita). Se deve fare merenda mangia pizza bianca romana con la mortadella, al caffé preferisce una miscela di tè nero, e qualunque decisione la prende insieme con la moglie (conosciuta ai tempi del Gemelli) e la figlia, con la quale spesso comunica via «whatsApp»: quando lei era piccina lui era spesso assente, a lavorare, «a lei è pesato». Non fu semplice ma, dice oggi, «mi ha perdonato».
Ignazio Marino arriva a Roma neanche quattordicenne. Il ginnasio al Tasso dev’essere stato complicato, con Paolo Gentiloni a guidare la protesta studentesca e lui sorpreso da tutto quel fermento, le aule occupate, i cortei. I genitori evidentemente non gradiscono e, al liceo, lo spediscono al privato «Villa Flaminia». La figlia Stefania, oggi ventunenne, gli dà del «nerd», parola inglese che almeno in parte può essere tradotta con «secchione». Difficile darle torto: mai una volta che marinasse le lezioni, primeggiava nelle materie scientifiche e in letteratura italiana. «E andavo maluccio in greco», dice lui. Maluccio? L’hanno rimandata a settembre? «No, mai». È a scuola che conosce Guido - oggi neurofisiologo e ancora tifoso della Roma — destinato a diventare il suo amico del cuore. La prima fidanzata a diciassette anni, lei un anno più giovane: ancora la sente. Amavano andare al Pantheon, al Circo Massimo, al Gianicolo, al museo di Villa Borghese. La sua vita in quegli anni si svolge tra il Gruppo nove degli scout (in Prati, dietro piazza Cavour, Marino con loro andava all’Opera Don Guanella) e il centro storico, dove adesso vive. Invece negli anni ’70 viveva con i genitori in Corso Italia, accanto al palazzo della Cgil: si bloccava, racconta, quando vedeva entrare Luciano Lama, «punto di riferimento morale». Rapporto intenso con i genitori: ha perso il padre — «severo e comprensivo» — subito dopo la laurea, «ma non l’ho perso, sono certo che non mi abbia mai abbandonato, un giorno lo rincontrerò». Della mamma, novantunenne, ha parlato spesso anche in questa campagna elettorale: «Mi segue ovunque, anche su Facebook», «Conosce la mia agenda prima di me», «Non voleva che mi candidassi...». Negli anni americani scoprì un’altra delle sue passioni, la scrittura. Prese a tenere un diario. Da allora non ha mai smesso. Anzi la scrittura (a mano) è diventata un’attività quotidiana: ha tutti i suoi diari meticolosamente ordinati, tra le cose più care che ha, i ricordi di una vita. Come la sciarpa rossa del cardinal Carlo Maria Martini: scrivevano assieme a Gerusalemme, a Milano, e spesso «il cardinale si preoccupava che sentissi freddo...». Ricordi. Chissà se gli tornano alla memoria quando passeggia in via Margutta, di notte, da solo. Va lì ad ascoltare il rumore dei propri passi, a cercare quel silenzio che avrà conosciuto mille volte in sala operatoria, o nelle immersioni in mare; può apparire una bizzarria ai più, e perfino far sorridere molti, questo bisogno di silenzio. Tranne i romani.