Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  giugno 02 Domenica calendario

CINA, IN INDIA IL FURTO DI TERRA

Fomentare tensioni con il Giappone, il Vietnam e le Filippine per le isole del Mar cinese orientale e meridionale non ha impedito a una Cina sempre più assertiva di aprire ancora un altro fronte mettendo in atto un’incursione militare sulla contesa, e interdetta, frontiera himalayana. Circa un mese e mezzo fa, un plotone dell’Esercito popolare di liberazione cinese si è intrufolato vicino al confine condiviso tra Cina, India e Pakistan, ha installato un campo 19 km (12 miglia) all’interno del territorio controllato dall’India e ha messo il governo indiano di fronte alla potenziale perdita di un altipiano di 750 chilometri quadrati vitale dal punto di vista strategico.
Un’India sbalordita, già vacillante per la paralizzante crisi politica interna, ha brancolato cercando una risposta efficace al furto cinese, in effetti la maggiore sottrazione di terra, e la più strategica messa a segno dalla Cina da quando ha intrapreso una politica più muscolare verso i Paesi confinanti. Resta aperta e controversa la domanda sulle intenzioni della Cina se intenda restare, costruendo strutture permanenti per le sue truppe sulle cime ghiacciate dell’altipiano, o intenda ritirarsi dopo aver estorto all’India concessioni militari umilianti.
Il fatto è che da quando la sua «ascesa pacifica» ha lasciato posto a un approccio sempre più sgomitante nei confronti dei suoi vicini, la Cina ha ampliato i suoi «interessi fondamentali» - che non tollerano compromessi - e le rivendicazioni territoriali, mostrando anche una crescente disponibilità ad assumere dei rischi per raggiungere gli obiettivi. Ad esempio, la Cina non solo ha intensificato la sua sfida al decennale controllo del Giappone sulle isole Senkaku (Diaoyu), ma sta anche fronteggiando le Filippine da quando, lo scorso anno, ha assunto il controllo effettivo dell’atollo di Scarborough.
Ciò che rende l’incursione himalayana un simbolo eloquente del nuovo atteggiamento aggressivo della Cina in Asia è il fatto che le sue truppe di intrusi si sono accampate in una zona che si estende oltre la «linea di controllo effettivo» (Lac), tracciata unilateralmente proprio dalla Cina quando sconfisse l’India nella guerra di confine del 1962 che essa stessa aveva iniziato. Mentre la marina cinese e una parte dell’aviazione sono dislocate a supporto delle sue rivendicazioni revansciste nel Mar cinese orientale e meridionale, l’esercito agisce nelle terre montuose di confine con l’India, cercando di smontare pezzo dopo pezzo la «linea di controllo effettivo».
Uno dei nuovi metodi impiegati dall’esercito cinese è portare pastori di etnia Han nelle valli lungo la linea di confine e dare loro modo di spaziare attraverso di esso, togliendo così ai pastori indiani i loro pascoli tradizionali. Ma l’ultima crisi è stata provocata dall’uso cinese di mezzi militari diretti in una zona strategica della frontiera, nei pressi del Passo del Karakoram che collega la Cina all’India.
Poiché la linea di controllo non è stata mai reciprocamente chiarita – la Cina ha rinnegato una promessa fatta nel 2001 per lo scambio di mappe con l’India – la Cina sostiene che le truppe sono semplicemente accampate su «terra cinese». E, in una replica della sua vecchia strategia di infilarsi furtivamente nelle terra contese per poi presentarsi come il conciliatore, la Cina ora consiglia «pazienza» e «trattative» per contribuire a risolvere l’ultimo «problema».
Chiaramente la Cina sta cercando di sfruttare la crisi politica indiana per alterare la realtà sul terreno. Il governo indiano, paralizzato e senza direzione, inizialmente ha oscurato le notizie sull’incursione, fino a che la pressione dell’opinione pubblica non ha chiesto una risposta adeguata. La sua prima dichiarazione pubblica è arrivata solo dopo che la Cina ha smentito blandamente l’intrusione in risposta ai media indiani che citavano fonti dell’esercito.
In più, il ministro degli esteri indiano, Salman Khurshid, un vero pasticcione, inizialmente ha preso alla leggera la più grave incursione cinese da oltre un quarto di secolo. Il garrulo ministro l’ha definita «una piccola macchia di acne» sull’altrimenti «bella faccia» del rapporto bilaterale – una semplice imperfezione che si sarebbe potuta trattare con «un unguento». Commenti insipienti che hanno fatalmente sminuito la convocazione dell’ambasciatore cinese da parte del governo per chiedere di ripristinare lo status quo.
Con il governo del primo ministro Manmohan Singh contaminato dalla corruzione e sull’orlo del collasso, non c’è stata alcuna spiegazione ufficiale di come l’India sia stata colta impreparata in una zona militarmente critica dove, nel recente passato, la Cina aveva tentato ripetutamente di invadere il territorio indiano.
In realtà nel 2010 il governo ha inspiegabilmente sostituito le truppe regolari con la polizia di frontiera per pattugliare l’altopiano montagnoso ora invaso dall’esercito cinese. Conosciuto come Depsang, l’altopiano si trova a cavallo di un’antica via della seta che collega Yarkand nello Xinjiang con la regione del Ladakh in India attraverso il passo del Karakoram.
L’India, che ha una base militare e una pista di atterraggio a sud del Passo del Karakoram, potrebbe tagliare la strada principale che collega la Cina con il suo «alleato per tutte le stagioni», il Pakistan. L’intrusione dell’esercito cinese, minacciando la base indiana, può essere tesa a precludere la possibile capacità dell’India di interrompere i rifornimenti per le truppe cinesi e i lavoratori nella regione pakistana del Gilgit-Baltistan, dove la Cina ha ampliato la propria presenza militare e i progetti strategici. Per salvaguardare quei progetti, diverse migliaia di truppe cinesi, è stato riferito, sono state dispiegate nella regione ribelle, prevalentemente sciita, chiusa al mondo esterno.
Per l’India, l’incursione cinese minaccia anche il suo accesso al ghiacciaio di Siachen, 6.300 metri, a ovest di Depsang. Il Pakistan rivendica il ghiacciaio, controllato dall’India, che, strategicamente incastrato tra le parte pakistana e quella cinese del Kashmir, è servito come campo di battaglia, il più alto e il più freddo al mondo (e uno dei più sanguinosi) a partire dalla metà degli Anni ‘80 fino al cessate il fuoco del 2003.
Le opzioni non militari dell’India per forzare il ritiro cinese da Depsang spaziano dalla diplomazia (sospensione di tutte le visite ufficiali o riconsiderazione del suo riconoscimento del Tibet come parte della Cina) all’economia (un boicottaggio informale delle merci cinesi, proprio come la Cina ha danneggiato il Giappone attraverso un boicottaggio non ufficiale dei prodotti giapponesi). Una possibile risposta militare potrebbe coinvolgere l’esercito indiano nello stabilire un proprio accampamento sul territorio cinese in un luogo che i leader cinesi reputino altamente strategico.
Ma, prima che possa esercitare qualsiasi opzione credibile, l’India ha bisogno di un governo stabile. Fino ad allora, la Cina continuerà a rivendicare le sue pretese con qualsiasi mezzo - lecito o illecito - ritenga vantaggioso.

*Docente di Studi Strategici al Centro per la ricerca politica di New Delhi Copyright: Project Syndicate, 2013.
Traduzione di Carla Reschia