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 2013  giugno 01 Sabato calendario

TROPPE IMPOSTE E TROPPI EVASORI UCCIDONO

Ci eravamo lasciati con l’indignazione diffusa e gli allarmi sull’imminente «stato di polizia» per le missioni a effetto degli ispettori del Fisco tra i bar di Cortina e i locali della movida milanese. Ci ritroviamo adesso con i dati degli studi di settore per il 2012 che lasciano, esattamente come uno, due o tre anni fa, senza parole e senza speranza.
Gioiellieri con un reddito medio d’impresa annuo che supera appena i 17 mila euro lordi, gestori di night club e discoteche la cui condizione incita a gesti solidali - per loro nessun guadagno, ma anzi una perdita media di 1300 euro -, antiquari che ormai non arrivano nemmeno a vedere quota 10 mila.
Tutti accomunati, assieme a molte altre categorie, dal fatto di essere sotto quei 20 mila euro di reddito che dichiarano in media i lavoratori dipendenti; tutti impegnati ad alimentare la folkloristica immagine dell’Italia come il Paese dove il titolare del bar guadagna meno del suo barman, il gestore della lavanderia sogna di fare a cambio con la sua stiratrice, il fioraio sbircia invidioso il 730 del fattorino che fa le consegne. Certo, la crisi che morde piccoli e grandi esercenti. Certo, i redditi medi dei dipendenti viziati dall’inclusione di manager, magistrati e professori universitari. Ma i dati, nella loro grossolana incredibilità e al netto di comportamenti perfettamente regolari che di sicuro ci saranno in ciascuna categoria, parlano da soli.
Di Fisco si può morire, come ci spiegano ogni giorno le polemiche sull’insostenibile pressione delle tasse in Italia il 44% del Pil, record europeo dopo la Francia - o addirittura i casi di cronaca che coinvolgono la tanto vituperata Equitalia. Ma di Fisco si muore di più - lo ha ricordato anche ieri il Governatore della Banca d’Italia - se il tuo concorrente evade, se chi ha la possibilità di dribblare le tasse lo fa senza problemi e senza ostacoli, aggravando il carico su coloro che (lavoratori dipendenti in testa, come è ovvio) quelle tasse le paga tutte.
Sul Fisco è anche facile fare esercizi di «benaltrismo», quella specialità che indica sempre un po’ più in là il problema e la relativa soluzione. Dunque non sarebbe l’evasione il problema, ma un’eccessiva pressione fiscale alimentata da una macchina pubblica troppo pesante o inefficiente. O non sarebbe l’evasione di categorie come quelle dei commercianti (20 mila euro medi dichiarati nel 2012) il danno più grave all’Erario, ma i sofisticati giochi societari che portano verso più accoglienti lidi esteri le multinazionali che lavorano in Italia. Tutte osservazioni legittime che non devono però mettere in secondo piano per un momento la necessità di lottare ovunque e comunque contro l’evasione. Come? Con misure più certe e semplici, indicano ancora la Banca d’Italia così come il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni, e ovviamente senza nemmeno evocare il fantasma di condoni più o meno travestiti. Sulla capacità del governo di muoversi in questo senso è bene sperare, ma è lecito dubitare. Specie dopo una campagna elettorale - forse non ancora finita - che all’insegna dei tagli alle tasse insegue tesoretti del tutto ipotetici a cui attingere.