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 2013  giugno 02 Domenica calendario

LA VERITA’ DI RENZI

Sindaco, si candida o no al­la segreteria del Pd?
«Aspetti che la signora qui vuol farsi una foto con me…». Intervistare Matteo Renzi è un po’ come intervistare una rock star in tournée: bisogna inse­guirlo tra manifestazioni, taxi, stazio­ni e Frecciarossa Roma-Firen­ze, interrotto a ogni passo da gen­te che lo saluta, lo invoca, lo con­testa, lo abbraccia o vuol farsi fo­tografare con lui. «Piaccio tanto alle signore attempate, con le ra­gazze vado meno forte», scherza lui.
Ci dice o no se si candida, che tutti la stanno tirando per la giacchetta?
«Il tormentone su cosa fa Ren­zi è non solo insopportabile ma anche inutile e non coglie il pun­to centrale, che è cosa farà il Pd: farà un congresso serio o no? Ac­cetterà la sfida del cambiamen­to e della novità o no? Perché questa è la questione in ballo, su cui non decido io. La domanda che faccio io al Pd è: ha capito di avere perso le elezioni di febbra­io? E ha voglia di provare a vince­re le prossime? Dipende tutto dalle risposte a queste doman­de, quel che farà Renzi».
E se dunque lei - a certe con­dizioni- farà il leader del Pd, costituirà un pericolo o una risorsa per il governo Letta?
«Questa contrapposizione for­zata non la capisco, lo dico an­che al Giornale e al direttore Sallusti, che mi ha rimproverato di volere far cadere Letta. Enrico ha tutte le caratteristiche istitu­zionali, politiche e personali per governare, e io faccio il tifo per lui. Per carattere, io non tramo. E neanche tremo: se ho qualcosa da dire lo dico in faccia, chiara­mente. Peraltro non capisco per­ché, se dico che il governo non deve “vivacchiare”, le mie paro­le vengano così drammatizzate: è una banalità che pensano tut­ti, credo. Questo governo è una bicicletta che sta in piedi solo se si pedala forte. Il ruolo del Pd non è quello di essere pro o contro governo, è quello di farsi sentire sulle sue istanze, come ha sa­puto farsi sentire Berlusconi sull’Imu».
Sull’Imu ci sono state molte proteste, a sinistra.
«Lo so, e l’ho scritto anche nel mio libro Oltre la rottamazione: fui l’unico in campagna elettora­le, mentre tutti a sinistra si strac­ciavano le vesti perché Berlusco­ni aveva proposto di abolirla, a dire che il problema del Paese non erano certo quei 2,9 miliar­di, che sono meno di quanto si è speso per le quote latte della Le­ga. Si trovano, e non c’è niente di male ad abbassare la tassazio­ne. Mi hanno dato tutti addosso perché ho detto che l’Imu è stata una vittoria di Berlusconi, ma è la verità. E quando arriveranno sul tavolo del governo le propo­ste del Pd, il Pd deve essere altret­tanto forte nel difenderle. Inve­ce di lamentarsi per l’Imu, abbia il coraggio di fare le sue battaglie».
A proposito di operato del go­verno, è soddisfatto dell’abolizione del finanziamento pubblico annunciata da Let­ta?
«Non commento gli atti del go­verno proprio per evitare tensio­ni. Ma diciamo che quello è un primo passo, per molti aspetti un passo dovuto. E sono ben con­tento di vedere che ora sono a fa­vore dell’abolizione anche quei tanti che nel Pd, quando alle pri­marie dicevo che il finanziamen­to pubblico andava eliminato, mi replicavano che era impossi­bile e sbagliato».
Eppure sospettano sempre di lei, quando c’è qualche guaio per il governo. L’han­no accusata anche di essere la manina dietro la mozione Giachetti contro il Porcellu­m… «Chi lo dice non conosce né Roberto Giachetti né me. Siamo due persone libere, che fanno le cose dietro le spalle di nessuno ma conducono le loro battaglie a viso aperto e mettendoci la fac­cia. Giachetti non solo quella: è stato l’unico parlamentare che nella scorsa legislatura ha condotto una solitaria e coraggiosa battaglia contro il Porcel­lum, anche con un lungo sciopero della fame. Non è il mio metodo di lotta, ma gli va riconosciuto uno straordinario valore morale e politico. Lui ha avuto il coraggio di fare quella battaglia mentre nessuno ne parlava. E ora sarebbe un grande er­rore verso l’opinione pubblica non capire che la riforma della legge elettorale è centrale e prio­ritaria: se i parlamentari non di­mostrano di essere in grado di cambiare le regole che riguarda­no loro, come possono essere credibili su qualsiasi altra rifor­ma?».
La legge elettorale e poi?
«Il messaggio più forte che il Parlamento potrebbe dare, sul­le riforme, è partire subito dall’abolizione del Senato: sarebbe un segnale chiarissimo all’opi­nione pubblica che si è recepito il messaggio “anti-casta” del 25 febbraio. Trasformare il Senato in una Camera delle autonomie, nella quale siedono - senza in­dennità - sindaci e presidenti di Regione».
Sul governo grava un’altra incognita: che succederà se Berlusconi verrà condanna­to in Cassazione e sospeso dai pubblici uffici?
«Non lo so, ma io ho sempre so­gnato un finale politico per la querelle tra anti e pro Berlusconi, non giudiziario. Mi sarebbe piaciuto batterlo nelle urne, non aspettare i tribunali. Di certo, il centrosinistra che ora guarda al­la Cassazione ha la responsabili­tà di aver rilanciato il Cavaliere, e portato al governo di larghe in­tese. A Natale neanche lui si im­maginava di poter tornare in gio­co in quel modo: è stato il centro­sinistra a fare il clamoroso erro­re di sottovalutare il “ Giaguaro”, e a sbagliare tutta la campagna elettorale dal punto di vista mediatico e politico. Onore al meri­to del combattente Berlusconi, ma se siamo qui è perché il Pd ha perso la sua sfida».
A prescindere dal caso Berlu­sconi, non crede che anche sulla giustizia e il ruolo dei magistrati servano riforme?
«Non c’è magistrato che non lo riconosca, che bisogna rifor­mare profondamente il siste­ma, con serenità e superando le esigenze particolari di un singo­lo come Berlusconi. Di certo, le ultime elezioni hanno segnato una clamorosa sconfitta per la sinistra più barricadiera e giustizialista, il cui emblema è An­tonio Ingroia. Neppure Berlu­sconi, se avesse voluto inventa­re uno spot anti toghe avrebbe saputo farlo meglio di Ingroia: l’immagine del pm che, sconfit­to in una campagna elettorale giocata in prima linea, vuole tor­nare a fare quel che faceva pri­ma e subito si mette in ferie per un mese, è insuperabile».
È preoccupato per i sondag­gi, Renzi? Qualcuno la dà per la prima volta in discesa.
«Non è la prima volta. E co­munque mi accontento di venire dopo Napolitano… Comun­que no, non mi preoccupo: un vero politico non corre dietro ai sondaggi, se mai prova a cam­biarli».