Raffaella Polato, CorrierEconomia 03/06/2013, 3 giugno 2013
EXOR. LA DOPPIA PARTITA DI JOHN SI GIOCA TRA TORINO E WALL STREET
Mi piacerebbe avere tante Chrysler, sarebbe un’opportunità fantastica». In fondo bastano poche parole — queste, per esempio — a fotografare la strategia Exor. E le sue svolte. John Elkann in dieci anni ha rivoltato la holding di casa Agnelli: non senza errori (e li ha ammessi), ma trasformandola in una barca leggera, veloce, capace di reggere alla Grande Crisi.
Il paradigma
Poi si può dire: è stato soprattutto grazie a Sergio Marchionne. Vero. Certamente. Senza di lui l’auto e i camion, i trattori, le macchine da costruzioni — ossia i due storici business di Torino, che però sono anche tra i settori cui lo tsunami partito dagli Usa nel 2008 ha fatto pagare il conto più salato — non avrebbero tenuto. Forse, in qualche caso, sarebbero arrivati proprio al limite della sopravvivenza.
Ma Exor non è solo automotive. E a ogni modo anche nell’automotive, senza il supporto dell’azionista di maggioranza, le scelte «non per deboli di cuore» decise da Marchionne magari non sarebbero state fatte. Poco conta che non ci fossero alternative, per la Fiat e per gli Agnelli.
Cinque anni fa altri costruttori generalisti, in Europa, erano altrettanto poco attrezzati davanti a una crisi che non ha ancora smesso di picchiare. Ma pensavano — e in effetti così pareva — di stare meglio del Lingotto. Oggi il bilancio Fiat-Chrysler chiude con utili che assorbono abbondantemente le perdite europee. Altri (Peugeot, che come Opel rifiutò l’alleanza, in testa) viaggiano in profondo rosso.
Così quella frase, «mi piacerebbe avere tante opportunità come Chrysler», non è soltanto l’omaggio a un’operazione che somma azzardo e coraggio e che ora, nel pieno dei lavori per la fusione e successiva quotazione a Wall Street, vede avvicinarsi una prima chiusura del cerchio. Quella frase è il «paradigma Exor»: la sintesi delle trasformazioni che Elkann ha già fatto e della strategia che intende rafforzare.
Dieci anni fa, nel biennio orribile per il Lingotto e per la dinastia — rimasta apparentemente senza un leader dopo la morte di Giovanni e poi di Umberto Agnelli — il controllo del gruppo passava attraverso cinque società e tre tipologie di azioni. Gli investimenti erano una trentina, nei settori più diversi. L’Europa, e l’Italia, concentravano il grosso degli attivi.
Diversificazione
Oggi la globalizzazione reale di Fiat, passata da oltre il 60% a meno di un terzo del fatturato nel Vecchio continente, si riflette nella diversificazione della stessa Exor. Le cinque holding sono diventate una sola. La semplificazione è proseguita nella struttura del capitale: solo azioni ordinarie. E negli investimenti: appena quattro, ora, i settori, e con un debito ridotto dal 50% a meno del 10% degli attivi. Come dice Elkann: «Ci concentriamo, e cresceremo, solo in quello che conosciamo meglio e sappiamo fare bene».
Qui arriva quella che per alcuni sarà una sorpresa: non è l’auto, la partecipazione di maggior valore nel portafoglio Exor. Molto prima ci sono i camion, i trattori, le macchine da costruzioni: Industrial-Cnh, che completeranno la fusione tra luglio e i primi di settembre e hanno fatto da apripista per Fiat-Chrysler (l’operazione Wall Street seguirà per molti aspetti lo stesso schema), «pesano» oggi per 3,3 miliardi e dunque più o meno per un terzo sul totale degli investimenti della finanziaria. Poi viene la svizzera Sgs (dove Umberto Agnelli «pescò» Marchionne). Soltanto — e prima dell’immobiliare di Cushman & Wakefield — spunta l’auto.
Dopodiché la Borsa sul merger Torino-Detroit ha iniziato a scommettere (e speculare). Con Fiat salita di quasi il 70% solo negli ultimi sei mesi, la forbice con Sgs e Industrial si restringe: rispetto alla controllata elvetica il sorpasso è questione di poco. Tutt’altro che un problema, ovviamente. Era il Lingotto che, prima, era sottovalutato. Poi si può, e probabilmente si deve, prendere con cautela alcuni dei report che alzano di parecchio ma solo adesso il prezzo-obiettivo. O se non altro è utile sapere che, se vengono per esempio da Deutsche Bank, Bank of America, Bnp o Goldman Sachs (come l’ultimo, che giovedì ha rivisto il target da 5,1 a 6,3 euro), vengono da istituti interessati al rifinanziamento Fiat e alle varie fasi dell’operazione Wall Street.
Però, detto questo, qualcosa vorrà dire se la stessa scommessa è pronta a farla Exor. Quando c’erano in ballo le alleanze con Peugeot o Opel, cinque anni fa, Elkann si disse pronto a favorirle anche «diventando azionisti più piccoli di un gruppo più grande». Quella regola, per Fiat-Chrysler, non vale più. Tornerebbe forse se si profilasse di nuovo un terzo partner. Ma se, o meglio quando, per la newco dell’auto arrivasse un aumento di capitale, il socio di controllo non lascerebbe diluire il proprio attuale 30%: sottoscriverebbe (senza bisogno di ricorrere a ricapitalizzazioni, visto che la holding in cassa ha 1,2 miliardi). Non era scontato. È un preciso segnale al mercato. Ed è un’altra traccia di dove l’Exor di Elkann voglia andare nei prossimi anni.
Raffaella Polato