Angelo Panebianco, Corriere della Sera 03/06/2013, 3 giugno 2013
IL SALARIO DELLA POLITICA
Quando si dice che in tutta Europa esistono finanziamenti pubblici ai partiti si dice solo mezza verità. Bisogna aggiungere che noi ne abbiamo fatto un uso particolarmente sciagurato (si veda l’ottima analisi di Sergio Rizzo sul Corriere di ieri a pagina 9). E che in quasi tutti quei Paesi il finanziamento pubblico si accompagna a un sistema ben disciplinato e legittimato (accettato dai cittadini) di finanziamenti volontari privati. Non avendo mai avuto un rapporto «laico», pragmatico, non ideologico, con il ruolo politico del denaro, siamo riusciti a fare del finanziamento della politica un mezzo di delegittimazione della democrazia.
Ora c’è l’obbligo di rimediare ma le resistenze sono formidabili. Nel disegno di legge del governo ci sono cose buone e meno buone. Il rischio è che al termine dell’iter parlamentare diventino pessime le cose meno buone e inefficaci quelle buone.
È buono che si prevedano agevolazioni fiscali per i contributi volontari. Incentivare tali contributi significa favorire una forma di partecipazione che avvicina il cittadino alla politica. I contributi volontari sono anche una valida misura della popolarità di cui gode ciascun partito. D’altra parte, è vero anche che occorre fissare un tetto alle donazioni (su questo punto quelli del Pdl non possono fare troppo i furbi). Solo con tetti alle donazioni si chiude la bocca a quelli che paventano lo strapotere dei più ricchi.
Vanno benissimo anche le agevolazioni statali indirette (bollette telefoniche, spazi in tv, eccetera). Ma poiché il diavolo si nasconde nei dettagli, bisognerà vedere quale sarà la formulazione finale. La cosa non buona, anzi pessima, riguarda la destinazione del 2 per mille imposta anche ai contribuenti che non esprimano preferenze. È un modo per mantenere in vita, surrettiziamente, il finanziamento pubblico centralizzato. Il più grave problema del finanziamento pubblico centralizzato è che esso concentra una grande massa di denaro nelle mani di pochissimi (coloro che controllano le tesorerie centrali dei partiti) dando così a piccole oligarchie i mezzi per riprodursi indefinitamente sbaragliando qualunque avversario. C’è differenza fra dare alla democrazia le risorse necessarie al suo funzionamento e permettere a piccoli gruppi di fare il bello e il cattivo tempo con i soldi del contribuente.
Se si pensa che un sistema di agevolazioni e di contributi privati non sia sufficiente per finanziare la politica allora si ricorra anche a forme «vere», non truffaldine, di rimborsi: l’eletto documenti le sue spese elettorali e riceva direttamente dallo Stato (senza la mediazione della tesoreria di partito) un parziale rimborso.
In un Paese in cui la questione del finanziamento della politica è sempre stata viziata da un eccesso di ideologia (e di ipocrisia, che ne è la compagna inseparabile) è difficile mettere in moto quella sanissima forma di partecipazione che è il contributo volontario del cittadino al partito che preferisce e che di per sé rafforza la democrazia.
Naturalmente, quando si parla di denaro e politica tutto si tiene. Non è possibile far decollare un sistema trasparente di finanziamenti volontari alla politica, senza dare anche un efficace statuto legale all’attività lobbistica. Una attività da sempre criminalizzata da coloro (esistono ancora, e sono tanti, in barba alle lezioni del Novecento) che continuano ad avversare il capitalismo di mercato. L’attività lobbistica va disciplinata. È il solo modo per legittimarla.
Angelo Panebianco