Valentina Conte, la Repubblica 1/6/2013, 1 giugno 2013
DISCOTECHE E SPA A REDDITO ZERO
Gestire una discoteca, un night o una Spa, così di moda per curare lo stress, proprio non conviene. Chi pensa che questi posti siano frequentati e redditizi, deve ricredersi. Almeno stando a quanto dichiarato al Fisco negli studi di settore 2012, i luoghi dei bagordi notturni piuttosto che le saune dei migliori centri benessere nel 2011 si immergono nel rosso. In media, non hanno un reddito positivo, anzi perdono 1.300 euro sale da ballo e simili, 4.100 euro terme e compagnia. Possibile che tango e fanghi siano talmente in disuso?
A giudicare da mode, serate glamour, copertine dedicate ai luoghi “cult” del divertimento e della cura chic sembrerebbe di no. Ma lo “spread” tra il dichiarato e il guadagnato, si sa, è uno sport nazionale. Non stupisce che ne sia toccato anche chi ha trasformato il popolo della notte o i weekend all’insegna del relax di lusso in un vero e proprio business. Senza nulla togliere all’impatto drammatico della crisi — che ha tagliato persino l’utile come i consumi alimentari, figurarsi il dilettevole — i dati diffusi ieri dal dipartimento delle Finanze lasciano comunque basiti.
Anche perché non sono i soli a sbalordire, sebbene gli unici con l’incredibile segno meno davanti. Taxi, bar e gioiellieri sono sotto i 18 mila euro (lordi annui). Nello specifico un tassista dichiara in media 15.600 euro. Un proprietario di bar o gelateria 17.800 quasi in linea con il “modesto” gioielliere: appena 17.300. Un albergatore, poi, 18.300. Fanno addirittura peggio autosaloni (10.100), parrucchieri (13.200), ristoratori (15.400), macellerie (16.700). Senza parlare di noleggiatori d’auto (5.300), negozianti di abbigliamento e scarpe (6.500) e di giocattoli (9.800), istituti di bellezza (7.200), tintorie e lavanderie (9.100). Praticamente sulla soglia della povertà, con guadagni (lordi) da 400 a 800 euro al mese, che solo un precario di questi tempi può condividere. E tutti rigorosamente sotto i 20 mila e 20 euro, il livello medio dei dipendenti pubblici, gli odiati statali fannulloni. Il lavoro autonomo non paga, evidentemente, fatta eccezione per architetti, medici, farmacisti, avvocati, notai.
«Ancora una volta assistiamo a un uso artefatto delle statistiche», reagisce Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre. «Non è assolutamente vero che gli autonomi dichiarano meno dei dipendenti pubblici. La comparazione non può essere fatta tra un gioielliere e uno statale, il cui reddito medio è condizionato dagli stipendi di categorie che ne innalzano la media, come giudici, manager, professori universitari». Si sa, dai polli di Trilussa in poi, ragionare sulle medie è sempre insidioso, ma tant’è. La domanda rimane: 3 milioni e mezzo di soggetti che applicano gli studi di settore, dichiarando 106,2 miliardi per il 2011 (+1,3%) raccontano tutti la verità?