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 2013  giugno 01 Sabato calendario

DAL 2007 A OGGI PERSI 7 PUNTI DI PIL

Un circolo vizioso tra le condizioni del debito pubblico, delle banche e del credito, dell’economia reale». È quello che, secondo Ignazio Visco, non ci fa più crescere dalla seconda metà del 2011. Come testimonia il -2,4% del Pil 2012. E anche le prospettive del 2013 non sono rosee: «Chiuderà con un forte calo dell’attività produttiva e dell’occupazione». In realtà un’inversione di tendenza a fine anno è ancora possibile a patto che si verifichino l’attuazione di politiche economiche adeguate, l’evoluzione positiva delle aspettative e delle condizioni per investire e la disponibilità di credito.
Nelle sue «Considerazioni finali» il governatore di Bankitalia mette in fila tutti i numeri della recessione che sta «segnando profondamente il potenziale produttivo» e che ora «rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale» del nostro Paese. Si va dal Pil 2012 inferiore del 7% rispetto al 2007 al reddito disponibile delle famiglie calato di oltre il 9; dalla produzione industriale diminuita di oltre un quarto al -5,5% di ore lavorate. Che significa mezzo milione di occupati in meno. Con un tasso di disoccupazione che è di fatto raddoppiato rispetto a sei anni fa e che, nel caso di quella giovanile, è arrivato a sfiorare il 40 per cento.
Su questi temi si sofferma diffusamente anche la relazione annuale 2012 di Palazzo Koch. Entrando nel dettaglio delle componenti che, non verificandosi, ci avrebbero fatto crescere dell’1% e che, essendosi invece verificate, ci hanno fatto perdere il 2,4% del Pil. Ebbene, un punto lo abbiamo ceduto per il peggioramento delle condizioni di finanziamento di famiglie e imprese; un altro per effetto delle manovre correttive dell’ultimo anno e mezzo; lo 0,6% per il rallentamento del commercio internazionale e lo 0,7% per il clima di pessimismo di consumatori e imprenditori.
Da dove ripartire allora? Dal superamento – suggerisce Bankitalia – delle debolezze strutturali che ci hanno fatto restare indietro di 25 anni. È vero che le aziende devono fare la loro parte innovandosi, ma lo Stato deve garantire «condizioni favorevoli all’attività d’impresa e alla riallocazione dei fattori produttivi». Servono semplificazioni e riforme, dunque, a cominciare dal lavoro e dall’istruzione. Che vanno annunciate subito e realizzate nel medio periodo. Ma poiché non è pensabile farle «con la leva del disavanzo di bilancio» occorre industriarsi. Ad esempio sfruttando appieno «strumenti e agevolazioni, già previsti dal nostro ordinamento, all’ingresso e alla permanenza, da occupati, dei giovani nel mercato del lavoro». Oppure usando le risorse della lotta all’evasione per ridurre il cuneo fiscale e tagliando la spesa pubblica grazie ai cari vecchi costi standard.