Marta Ottaviani, La Stampa 3/6/2013, 3 giugno 2013
GLI ULTRAS DEL CALCIO, DA NEMICI GIURATI AD ALLEATI ANTI-ERDOGAN
Divisi sugli spalti allo stadio, uniti nella protesta. Ieri a Takism, sempre di più la piazza simbolo di Istanbul, il dissenso nei confronti del primo ministro Erdogan è riuscito a coalizzare niente meno che le tifoserie delle tre principali squadre calcistiche della megalopoli sul Bosforo, soprattutto il Besiktas e il Galatasaray, che hanno dato vita a un vero e proprio gemellaggio all’insegna del no all’esecutivo islamico-moderato. Più defilati, ma fino a un certo punto, i tifosi del Fenerbahce, il team di cui il premier Erdogan è un tifoso accanito. «Era anche la stessa squadra di Atatürk, cosa vuol dire?» chiosa una ragazza abbastanza irritata, allontanandosi senza dire nemmeno come si chiami.
«Solo Erdogan poteva fare questo miracolo» scherza con Emre, tifoso del Besiktas e che utilizza una grande bandiera turca come un mantello. Di fianco a lui, Ali, devoto del Galatasaray lo prende in giro sul risultato dell’ultimo derby, che i bianconeri hanno perso con poco onore. Ma appena si parla della situazione del Paese torna serio. «Stanno succedendo cose gravi. Sabato notte poteva essere una strage. Ero lì con dei miei amici mi sono spaventato. C’era la volontà di colpire i tifosi del Besiktas, per questo stiamo solidarizzando». Ricorda un po’ lo schema di Piazza Tahrir quando gli ultrà del calcio divennero protagonisti della rivolta anti-Mubarak.
Il riferimento è agli scontri, i più violenti fino a questo momento, che si sono consumati fra sabato e domenica proprio nel quartiere di Besiktas, a due passi dall’ufficio di Istanbul del Primo Ministro e quando i supporter del team bianconero stavano uscendo dallo stadio. «Era tutto premeditato – dice convinto Emre –. Il Besiktas ha l’unica tifoseria di sinistra e completamente anti-Erdogan della Turchia. Hanno approfittato della protesta per aizzarci, lo sapevano che i tifosi a quell’ora escono dallo stadio e che si sarebbero aggiunti ai manifestanti».
Ieri, mentre decine di migliaia di persone a Istanbul marciavano pacificamente, senza la polizia per strada, cantando e ballando (anche se in serata la polizia è tornata a caricare i giovani e i manifestanti che si avvicinavano alla residenza sul Bosforo di Erdogan sono stati allontanati con i lacrimogeni) e ad Ankara, Smirne e Adana si registravano ancora violenti scontri con le forze dell’ordine, il premier Erdogan è comparso in televisione per un’intervista in esclusiva all’emittente «Haberturk».
La piazza è rimasta senza le risposte che cercava. Erdogan si è soffermato sull’aspetto ambientalista della protesta, spiegando come cambierà Piazza Taksim e dove verrà costruita la moschea, che gli abitanti della zona, nota per i costumi occidentali e la movida notturna, hanno sempre detto di non volere. Sulle accuse di deriva autoritaria nemmeno una parola. Anzi, il premier ha definito social network come Twitter «un problema».
Il governo deve ancora chiarire il bilancio definitivo degli incidenti degli ultimi due giorni, spiegare se davvero ci siano due vittime, come sostiene Amnesty International, quanti siano i feriti gravi e che tipo di gas sia stato usato a Besiktas sabato notte. L’ipotesi «gas orange» è stata accantonata, ma rimane il fatto che sono state utilizzate sostanze altamente urticanti, che hanno creato problemi a molte persone.
I prossimi giorni saranno decisivi per capire se la protesta continuerà o se la protesta pacifica di Taksim ieri abbia in qualche modo chiuso un momento di tensione. I quotidiani di opposizione parlano di vittoria della piazza, ma il premier non è tipo da concessioni.