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 2013  giugno 02 Domenica calendario

SIAMO TUTTI CUGINI

Ormai è un luogo comune che l’umanità viva in un mondo piccolo. Varie sono le misure per confermarlo. Il lettore, la lettrice immagini di voler far recapitare a mano una busta, che verrà quindi passata di mano in mano, fino a un remoto destinatario, per esempio un certo fornaio a Singapore o una lavandaia a Manila. In un’epoca di posta elettronica, cellulari, Internet e Facebook sembrerà strano immaginare una simile procedura, ma facciamolo. Ebbene, per quante mani dovrà passare? La risposta è: cinque. Infatti, la celebre formula «sei gradi di separazione» suggerita alla fine degli anni Venti del Novecento dallo scrittore ungherese Frygies Karinthy, poi ripresa nel 1967 dallo psicologo americano Stanley Milgram, è stata sostanzialmente confermata dieci anni fa, alla Columbia University, attraverso i calcoli di una rete di inoltri di messaggi di posta elettronica in 13 nazioni sparse per il mondo.

Un’assai diversa connessione, genomica questa volta, tra due persone prese a caso in Europa è stata adesso calcolata da Peter Ralph e Graham Coop, evoluzionisti e studiosi di genetica delle popolazioni dell’Università della California a Davis. L’ultimo numero di «Plos Biology» riporta le distanze genetiche tra 2.257 europei e, quel che più conta, il numero di geni che ciascuno di questi condivide, sequenzialmente nel tempo, con i propri antenati di 3.500, 1.500, 1.000 e infine 500 anni fa. Partendo da circa due milioni di sequenze genomiche lunghe, questi autori hanno esaminato come esse si accorcino a mano a mano che aumenta la distanza geografica tra i loro soggetti. Molteplici processi naturali a carico del genoma — come ricombinazioni, delezioni, inserzioni e simili — hanno silenziosamente operato nel corso delle generazioni. La parte del genoma che resta immutata, riscontrata in individui diversi, viene considerata buon indicatore di una discendenza comune. L’idea che tutti siano lontani cugini di tutti viene, in sostanza, corroborata. Più prossimi di tutti tra di loro sono gli albanesi, con 90 antenati comuni negli ultimi cinque secoli, ma ben 600 in circa 1.500 anni. Minore, ma pur sempre dell’ordine delle centinaia, è il numero di antenati genetici comuni a due individui presi a caso in Europa. Però gli italiani fanno banda a parte, come pure gli spagnoli e i portoghesi. Appena due antenati genetici in comune in 1.500 anni con il resto d’Europa.
È in progetto di allargare questa storia genetica oltre i confini d’Europa, aspettandosi di scoprire un più ristretto numero di antenati comuni su scala mondiale. Qui va ben sottolineato che la storia delle popolazioni ricostruita attraverso la genetica ha radici lunghe e insigni in Italia, soprattutto grazie alla scuola di Pavia, iniziata da Luca Cavalli Sforza, con Paolo Menozzi e Alberto Piazza, autori di varie celebri monografie con circolazione internazionale. Sulla scia dei loro lavori pionieristici, grazie alle attuali tecnologie di sequenziazione genetica che oggi consentono di aumentare la precisione, abbassando costi e tempo, e l’ausilio di possenti mezzi di calcolo, Ralph e Coop offrono alcune ulteriori sorprese. Per esempio, che il numero di antenati comuni recenti tra Regno Unito e Irlanda è superiore a quello all’interno del Regno Unito, tra regioni non prossime. A dispetto di una recente storia sanguinosa, i tedeschi hanno più antenati recenti comuni con i polacchi che non tra di loro. Il numero degli antenati genetici comuni entro l’Europa del Nord e dell’Est è triplo rispetto a quello medio. Il che ben si allinea con le migrazioni degli unni e degli slavi, che non toccarono in uguale misura Francia, Italia e Spagna.
Si noti, però, che la tecnica adottata in questa ricerca fornisce una sorta di conteggio minimo, perché nessun individuo porta in sé geni trasmessi da ogni singolo antenato. Infatti, il termine (devo dire non molto felice) «antenato genetico comune» lascia aperta la porta a un ulteriore, forse superiore, numero di antenati comuni, chiamati invece antenati genealogici, cioè quelli che hanno individualmente contribuito a una parte solamente dei geni attuali nei discendenti. L’articolo di «Plos Biology» è corredato da grafici, tabelle e mappe genetiche d’Europa.

La conclusione è che, a dispetto di distanze geografiche a volte notevoli, la condivisione di antenati genetici è notevole. La media, su mille anni e oltre 2 mila chilometri di distanza, è un antenato genetico comune ogni 32 persone. Sulla stessa distanza, se risaliamo indietro tra i 2 mila e i 3 mila anni il numero sale a dieci. Allargando lo spettro ad antenati genealogici, nozione più vasta, come abbiamo appena visto, che non quella di antenati genetici comuni, il numero cresce fino a qualche migliaio, anche per individui oggi geograficamente molto separati. Facendo notare che mille anni sono circa 33 generazioni, Ralph e Coop confutano l’idea che questo sia paradossale. Dato che vi sono state molte migrazioni, seguite da matrimoni misti, e dato che si facevano molti figli, tali numeri sono ben spiegabili.
Naturalmente, il grado di parentela è assai variabile da regione a regione. Uno spagnolo può essere geneticamente connesso a un antenato iberico per mille cammini diversi, ma solo per dieci cammini a un antenato baltico. La probabilità di aver ereditato geni nel secondo caso è, quindi, cento volte inferiore. Uno stesso gruppo di antenati può aver trasmesso un numero variabile di geni a due individui odierni. Le molteplici cause di incertezza nei calcoli sono, comunque, ben descritte e le equazioni rese esplicite. La conclusione, ammessa come contro-intuitiva, è che gli europei sono genealogicamente tra loro più apparentati di quanto si supponesse e che tale comunanza probabilmente si estende, seppur in misura minore, a tutti gli esseri umani.
Massimo Piattelli Palmarini