Danilo Taino, Corriere della Sera 02/06/2013, 2 giugno 2013
ENERGIA EUROPEA CARA E MENO PULITA
Piano piano, i cambiamenti climatici stanno tornando nella discussione pubblica. Cinque anni di crisi economica li hanno spinti in fondo alla lista dei temi rilevanti per i governi. L’effetto serra, però, è entrato nell’immaginario delle paure mondiali ed è lì per restarci, recessione o meno. Per dire, dal 2005, sono stati pubblicati almeno 150 romanzi che parlano di cambiamento del clima: in 50 è addirittura il cuore della storia. Tanto che si parla di un nuovo genere, climate fiction, cli-fi. Il problema è che ci stiamo risvegliando in una situazione del tutto diversa rispetto a quella in cui ci eravamo addormentati. L’Europa, che guidava il mondo nella lotta ai cambiamenti del clima, sembra in confusione.
Nelle settimane scorse, a Bruxelles si parlava di energia e parte della discussione ruotava attorno a un grafico. Dice che, fatto 100 al 2005, il costo dell’elettricità nell’Unione Europea oggi è 137, in Giappone è 117 e negli Stati Uniti è 96. È evidente che un costo del genere (che poi ha grandi differenze tra Paese e Paese all’interno della Ue, con l’Italia al limite massimo) costituisce uno svantaggio competitivo immenso per le imprese che producono in Europa. Il consenso tra i funzionari di Bruxelles, tra l’altro, è che ci sia poco da fare: lo sfruttamento dello shale-gas, che ha prodotto una rivoluzione in America, in Europa ha prospettive scarse, per ragioni geologiche, di intensità abitativa e per opposizioni politiche. E la costruzione di un mercato unico — la messa in comune della rete elettrica — solleva opposizioni nazionaliste fortissime.
Cosa c’entra tutto ciò con il clima? Succede che l’enorme disponibilità di gas estratto con le nuove tecnologie dalle rocce di scisto, permette agli Stati Uniti di riconvertire molte centrali dal carbone al gas (per questo il prezzo dell’energia è sceso). Il carbone così non utilizzato ha visto cadere i prezzi ed è diventato estremamente competitivo per l’esportazione in Europa. Cosa che sta succedendo: in un quadro di costi elevati (anche per il finanziamento di Stato alle energie alternative) nel 2012 l’uso di gas nelle centrali elettriche europee è diminuito del 20%, quello di carbone è aumentato del 15%. Dal momento che il carbone emette molti più gas serra, si è verificato un fenomeno impensabile fino a poco tempo fa: gli Stati Uniti riducono le emissioni nocive a un ritmo maggiore della Ue. Secondo dati della Energy Information Agency americana, tra il 2007 e il 2012, negli Usa sono diminuite del 12%, al livello che erano nel 1994. Quelle europee solo dell’8% tra il 2005 e il 2011, nonostante la recessione. Rispetto agli obiettivi posti dal Trattato di Kyoto (che gli Usa non hanno firmato) l’Europa ha ridotto (al 2011) le emissioni del 17,5% sotto il livello di quelle del 1990, in linea con l’obiettivo di tagliarle del 20% entro il 2020. Ora, però, il maggiore uso di carbone rallenta la tendenza. E, anche senza aderire ai vincoli (onerosi) di Kyoto, l’America è diventata più veloce dell’Europa a tagliare i gas serra. A costi del 41% più bassi.
Danilo Taino