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 2013  giugno 01 Sabato calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LETTA A TRENTO E I PROBLEMI ECONOMICI


ROMA - Parla dal festival dell’economia di Trento, Enrico Letta. Indica le sue priorità per far fronte alla crisi e sul piano politico prefigura un diverso sistema di elezione del presidente della Repubblica. "Abbassare la disoccupazione e far costare meno il lavoro nel nostro paese per dare occupazione a più persone", sostiene il presidente del Consiglio sulla scia di quanto ieri invocato dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco. Ma precisa che l’Italia non verrà meno ai suoi impegni sui conti: "Faremo le scelte giuste - ha aggiunto - mantenendo gli impegni. Non ci può più indebitare, l’Italia spende il 5% del suo pil per pagare i debiti del passato".
Il premier rivendica una diversa immagine dell’Italia in Europa: "Oltre ad una maggiore credibilità
internazionale e a liberare risorse in più, uscire dalla procedura di infrazione ci consente di andare al vertice europeo adesso e di non essere gli ultimi della classe". E più che nella patrimoniale, confida in un futuro di imposte meno gravose: "Credo ci sia bisogno di strumenti di solidarietà, ma vorrei si ragionasse con la prospettiva che prima o poi in Italia si potranno ridurre le tasse".
Poi affronta temi più politici. A chi teme un’operazione centrista e la fine del bipolarismo, risponde: "Questo governo è eccezionale e non si ripeterà". Poi sul sistema di elezione del capo dello Stato dice: "L’ultima elezione del Presidente della Repubblica mostra la fatica della nostra democrazia. La mia opinione è che non potremmo più eleggere il presidente della Repubblica con quella modalità".
Si dichiara preoccupato dalla crescita del "partito dell’astensione" e in riferimento alle elezioni amministrative commenta: "Mi preoccupa quello che è successo a Roma domenica scorsa, perché ha votato "solo 1 cittadino su 2, questo dà l’idea di disperazione finale, che non c’è più fiducia nella politica".
A Matteo Renzi, che di recente ha punzecchiato il governo invitandolo a "non vivacchiare", Letta non ha nulla da rispondere. "Io sono il suo primo tifoso - e aggiunge scherzando - ha solo difettaccio di essere di Firenze mentre io sono di Pisa".
Torna poi sul disegno di legge per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti approvato ieri in Consiglio dei ministri. "Il finanziamento pubblico ai partiti è un tema su cui si deciderà. A chi non piace la proposta presentata ieri, ne faccia altre, ma il tema è da affrontare".
Infine, al termine del suo intervento, uscendo dall’auditorium Santa Chiara per dirigersi verso l’auto e ripartire, Enrico Letta ha incrociato Susanna Camusso ed abbracciandola le ha detto: "Bravi, bravi, bravi". Il riferimento era all’accordo siglato ieri con Confindustria.

IL DISCORSO DI VISCO IN BANKITALIA
ROMA - Possiamo farcela, ma solo se chi governa riuscirà a promuovere e soprattutto ad attuare un sistema di riforme efficaci e lungimiranti. E’ il messaggio finale del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, all’Assemblea Annuale. "Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti - ammonisce Visco - Occorre consapevolezza, solidarietà, lungimiranza. Interventi e stimoli ben disegnati, anche se puntano a trasformare il Paese in un arco di tempo non breve, produrranno la fiducia che serve per decidere che già oggi vale la pena di impegnarsi, lavorare, investire".
E invece "l’azione di riforma ha perso vigore nel corso dell’anno passato, anche per il progressivo deterioramento del clima politico", rileva il governatore. Non solo, i provvedimenti già approvati rischiano di rimanere lettera morta, l’Italia resta il Paese delle grida manzoniane: "In molti casi, varate le riforme, hanno tardato, talvolta ancora mancano, i provvedimenti attuativi; non sono cambiati i comportamenti dell’amministrazione. E’ un tratto ricorrente dell’esperienza storica del nostro Paese: le principali difficoltà non risiedono tanto nel contenuto delle norme, quanto nella loro concreta applicazione".
Una crisi che viene da lontano. E non si tratta solo di incapacità, la nostra classe dirigente, ricorda Visco senza fare sconti, si porta dietro un problema atavico: "I rappresentanti politici stentano a mediare tra interesse generale e interessi particolari: i cittadini ne ricevono segnali contrastanti e incerti". Quindi non facciamoci illusione, la crisi nella quale l’Italia è sprofondata non viene da fuori, non del tutto, almeno: "Le origini finanziarie e internazionali della crisi, cui si è soprattutto rivolta l’attenzione delle autorità di politica economica, non devono far dimenticare che in Italia, più che in altri Paesi, gli andamenti ciclici si sovrappongono a gravi debolezze strutturali. Lo mostra, già nei dieci anni antecedenti la crisi, l’evoluzione complessiva della nostra economia, peggiore di quella di quasi tutti i principali Paesi sviluppati".
Coesione sociale a rischio. Gli effetti della crisi in questo momento non potrebbero essere peggiori: "La recessione sta segnando profondamente il potenziale produttivo, rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale. Il prodotto interno lordo del 2012 è stato inferiore del 7 per cento rispetto a quello del 2007, il reddito disponibile delle famiglie di oltre il 9, la produzione di un quarto. Le ore lavorate sono state il 5,5 per cento in meno, la riduzione del numero di persone occupate superiore al mezzo milione. Il tasso di disoccupazione, pressoché raddoppiato rispetto al 2007 e pari all’11,5 per cento lo scorso marzo, si è avvicinato al 40 tra i più giovani, ha superato questa percentuale per quelli residenti nel Mezzogiorno".
Ripresa possibile. Eppure l’uscita dal tunnel potrebbe essere vicina: se "anche quest’anno si chiuderà con un forte calo dell’attività produttiva e dell’occupazione", tuttavia "l’inversione del ciclo economico verso la fine dell’anno è possibile; dipenderà dall’accelerazione del commercio mondiale, dall’attuazione di politiche economiche adeguate, dall’evoluzione positiva delle aspettative e delle condizioni per investire, dalla disponibilità di credito".
Attenzione ai conti pubblici. Per quest’anno i margini di manovra sulle risorse economiche da parte del governo è piuttosto limitato. "La correzione dei conti pubblici - riconosce il governatore - ha contribuito a ridimensionare le tensioni sul mercato dei titoli di Stato, evitando scenari peggiori". E dunque "i progressi conseguiti vanno preservati. Disperderli avrebbe conseguenze gravi". Nonostante il respiro di sollievo seguito alla chiusura della procedura Ue per deficit eccessivo, avvenuta qualche giorno fa, "per quest’anno non ci sono margini di aumento del disavanzo; sono stati assorbiti dalla decisione di pagare i debiti commerciali in conto capitale delle amministrazioni pubbliche". Decisione che via Nazionale mostra di approvare, precisando anzi che "non devono formarsi nuovi debiti della specie".
Un ritardo di 25 anni. Occhio alla spesa pubblica, dunque, anche perché "le tensioni sui mercati dei titoli di Stato non sono del tutto sopite", ma grande impulso alle riforme, non c’è tempo da perdere. L’Italia sconta un ritardo epocale: "Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi 25 anni". E’ per questo che "l’aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica" e "necessita del contributo decisivo della politica, ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive".
Il ruolo delle imprese. A cominciare da quella delle imprese, "chiamate a uno sforzo eccezionale per garantire il successo della trasformazione, investendo risorse proprie, aprendosi alle opportunità di crescita, adeguando la struttura societaria e i modelli organizzativi, puntando sull’innovazione, sulla capacità di essere presenti sui mercati più dinamici". Alcune lo stanno già facendo, riconosce Visco, ma "troppo poche hanno accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico".
Ridurre il cuneo fiscale. Il che non significa che non debba esserci un sostegno pubblico, ma non sotto forma di sussidi; piuttosto, ancora una volta, in termini di risorse, a cominciare dalla promozione di "condizioni favorevoli all’attività d’impresa, alla riallocazione dei fattori produttivi". Serve la semplificazione amministrativa che intervenga su un "quadro regolamentare ridondante", le imprese soffrono anche per la mancanza di certezza del diritto, la corruzione, "una insufficiente protezione dalla criminalità". Serve, soprattutto, una riduzione "del cuneo fiscale che grava sul lavoro, frena l’occupazione e l’attività d’impresa".
Contrastare l’evasione. Va combattuto una volta per tutte anche un altro grave fattore di ritardo e di iniquità: l’evasione fiscale che "distorce l’allocazione dei fattori produttivi, causa concorrenza sleale, è di ostacolo alla crescita della dimensione delle imprese, aumenta il carico tributario per i contribuenti in regola". E "va contrastata anche nella dimensione sovranazionale".
I giovani. Anche il sistema scolastico e in generale la formazione vanno riformati, per permettere ai giovani di inserirsi, perché "negli anni a venire i giovani non potranno semplicemente contare di rimpiazzare i più anziani nel loro posto di lavoro". Va promossa l’imprenditorialità, ma soprattutto "la formazione professionale andrà sviluppata per coprire una intera vita lavorativa caratterizzata dalla mobilità e dal cambiamento, da tutelare con rafforzati sistemi di protezione e assicurazione, pubblici e privati, nei periodi di inattività. La scuola, l’università dovranno sostenere questo processo garantendo un’istruzione adeguata per qualità e quantità".
Mps: operato con correttezza. Sulla complessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena Visco rivendica la correttezza dell’operato della Banca d’Italia. "L’azione di supervisione sul Monte dei Paschi negli ultimi anni è stata continua e di intensità crescente; l’autorità giudiziaria valuterà se essa sia stata ostacolata da passati amministratori e gestori. Abbiamo operato con correttezza, impegno e attenzione". Il governatore definisce anche "ambiziosi" gli obiettivi del piano di ristrutturazione messo a punto dai nuovi vertici di Rocca Salimbeni. "Il suo successo", sottolinea, "dipenderà anche dall’evoluzione del contesto economico e finanziario".
Banche più forti, ma devono rinnovarsi. "Le nostre banche appaiono in grado di fronteggiare shock avversi grazie alla loro patrimonializzazione e alla liquidità fornita dall’Eurosistema", rileva Visco. Tuttavia anche il sistema bancario deve rinnovarsi, così come il resto del Paese. Intanto ci sono ancora margini di riduzione dei costi operativi: Bankitalia suggerisce di ridurre anche "dividendi, remunerazioni di amministratori e dirigenti, in coerenza con la situazione reddituale e patrimoniale". E poi, a giudizio di via Nazionale, le banche non hanno puntato a sufficienza finora sull’innovazione: "Il cambiamento nell’impiego dei fattori produttivi e dei canali distributivi va favorito, sfruttando appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Negli ultimi 15 anni è cresciuta l’importanza del canale telematico nei rapporti con la clientela. Modeste sono state, tuttavia, le implicazioni sulla rete tradizionale". Eppure "la differenziazione nell’utilizzo di questi canali" "potrebbe contribuire a invertire la tendenza alla crescita del rapporto tra costi e ricavi registrata nell’industria bancaria italiana negli ultimi dieci anni".
(31 maggio 2013)

LA CGIL E I POSTI DI LAVORO DISTRUTTI
ROMA - "Nei cinque anni di crisi i posti di lavoro distrutti nel sistema produttivo del Sud e delle Isole sono stati in totale 335.500; nell’area centro settentrionale ne sono stati creati 12.400". È il dato al centro del 24° Report Sud di Diste Consulting-Fondazione Curella, quello che più di tutti dà l’idea dell’Italia spaccata in due, con un Mezzogiorno alla deriva come non mai. Gli italiani per tradizione diffidano delle medie statistiche, ma in fondo anche gli statistici sanno quanto le medie tra Nord e Sud siano ingannevoli e non diano l’idea vera di un Paese che include Regioni che possono stare al fianco della Germania, come Trentino o Lombardia o Emilia Romagna, e Regioni che sono poco distanti dalla Grecia. Che media è quella tra un tasso di disoccupazione del 17,2% del Mezzogiorno nel 2012 e quella dell’8% del Centro-Nord?
Ma non c’è solo l’abisso disoccupazione. Tutti i dati degli ultimi dodici mesi esprimono lo sfascio di una parte importante del Paese. Nel 2012 il Pil è sceso del 3,4% a fronte di un calo del 2% nel Centro/Nord. Per l’economia meridionale si tratta della quinta diminuzione consecutiva nell’arco degli ultimi cinque anni, che ha riportato il livello del Pil indietro di oltre il 10%, mentre per l’area centro settentrionale il consuntivo 2012 costituisce una inversione di tendenza, dopo un biennio di parziale recupero delle perdite subite nel 2008/2010, per cui la flessione del Pil rispetto al 2007 ha sfiorato il 6%. È vero che pochi giorni fa il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha lanciato il grido di dolore delle imprese industriali, concentrate soprattutto nel Nord del Paese. Ma il Sud è passato da una posizione marginale alla quasi totale scomparsa della propria industria: "Negli ultimi 5 anni - dice Alessandro La Monica, presidente di Diste Consulting - il ruolo già marginale dell’industria si è ulteriormente assottigliato, scendendo da una quota sul Pil nazionale del 13,7% al 12% e perdendo in termini di valore aggiunto il 20,5%: il nostro manifatturiero è destinato all’estinzione".
Molto più deciso che nel resto del Paese anche il calo dei consumi delle famiglie residenti nel Mezzogiorno, che hanno subito un taglio del 5,5%, "un crollo la cui intensità non ha precedenti negli ultimi sessant’anni", ricorda l’indagine. Per le famiglie centro-settentrionali il calo è stato del 3,6%.
Secondo le stime del Report Sud, per l’anno in corso il Pil dovrebbe calare del 2,2% nel Sud/Isole e dell’1,2% nel Centro/Nord. Ma così la situazione del Mezzogiorno diventa irrecuperabile, denuncia il presidente della Fondazione Curella, Pietro Busetta: "Al di là del fatto contingente, cioè la crisi che dal 2008 ha colpito l’Italia, il tema di fondo è che quest’area non è stata mai adeguatamente considerata, gli interventi sono sempre stati contenuti e limitati rispetto alle emergenze. Nel Mezzogiorno su 21 milioni di abitanti ci sono solo 6 milioni di occupati, compreso il sommerso. Per arrivare non dico agli standard della Finlandia, ma semplicemente al tasso di occupazione dell’Emilia Romagna, dovrebbero lavorare altri tre milioni di persone. Impossibile? Eppure l’ex Germania dell’Est in poco più di 10 anni ha raggiunto standard occidentali".
Il problema del Sud Italia, osserva Busetta, è anche quello della classe dirigente. Tanto che lo studioso avanza una proposta di "tutoraggio" del Mezzogiorno: "Le zone a sviluppo ritardato sono tali perché le classi dirigenti non sono in grado di gestirle. Devono essere guidate. Non è vero che il problema investe allo stesso modo tutta la classe dirigente italiana, non è così, si vede dai risultati: la Lombardia è una delle zone più sviluppate d’Europa, si confronta con la California. La democrazia, certo, comporta anche la libertà di autogestirsi. Io non chiedo una totale sostituzione della classe dirigente meridionale, piuttosto interventi appropriati, che possano destinare le risorse e le spese alle esigenze delle Regioni meridionali. Affidare tutto alla classe dirigente del Sud significa disperdere queste risorse, come è avvenuto finora".
(01 giugno 2013)

LE PREVISIONI CGIL
MILANO - Se il paese intercettasse la ripresa, quella stessa accreditata per il 2014 dai maggiori istituti statistici ci vorrebbero 13 anni per tornare ai livelli di Pil del 2007. Ben 63 anni per quello dell’occupazione, "mai" per recuperare il livello dei salari reali. E’ quanto rileva uno studio effettuato da Riccardo Sanna dell’Ufficio economico della Cgil dal titolo "La ripresa dell’anno dopo - Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l’occupazione". In sostanza solo nel 2076 si tornerebbe alle 25.026.400 unità di lavoro standard nel 2007.
Nello studio si simulano alcune ipotesi di ripresa, nell’ambito delle attuali tendenze e senza che si prevedano modifiche significative di politica economica, sia nazionale che europea, per dimostrare la necessità di "un cambio di paradigma: partire dal lavoro per produrre crescita". Si parte dalla situazione di contesto. Dal 2008 il Pil, riporta lo studio, perde mediamente 1,1 punti percentuali ogni anno mentre i posti di lavoro sono diminuiti di oltre 1,5 milioni rispetto al 2007. I salari lordi perdono lo 0,1% ogni anno (quelli netti lo 0,4%), la produttività è mediamente negativa del -0,2%, così come gli investimenti diminuiscono, sempre in media, di 3,6 punti l’anno. Questo quindi il quadro di riferimento dove innestare le previsioni macroeconomiche dell’Istat, a prescindere dalla congiuntura internazionale, e calcolare di conseguenza quanto tempo ci vorrà ancora per parlare di ripresa e recuperare il livello pre crisi.
Ecco
quindi che proiettando la ripresa calcolata dall’Istat, ovvero moltiplicando nel tempo il tasso previsto per il 2014 (pari a un +0,7%) fino a raggiungere il livello 2007, dallo studio della Cgil emerge che il livello del Pil pre-crisi verrebbe recuperato nel 2026 (in 13 anni dal 2013): il tempo necessario per colmare il "gap" di 112 miliardi tra il Pil del 2014 (1.380 miliardi) e del 2007 (1.492 miliardi). Il livello dell’occupazione, invece, soltanto nel 2076 (in 63 anni dal 2013), per tornare cioè alle 25.026.400 unità di lavoro standard nel 2007 dalle 23.531.949 del 2014 (-1.494.451 la differenza). Non si recupererà mai invece il livello dei salari reali: "In confronto con l’inflazione effettiva, cioè il deflatore dei consumi, la variazione è negativa nel 2014", spiega lo studio. Infine il livello di produttività verrebbe recuperato nel 2017 (in 4 anni dal 2013) e il livello degli investimenti nel 2024 (11 anni dopo il 2013).
(01 giugno 2013)