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 2013  giugno 01 Sabato calendario

“DAI FILM CON BOMBOLO AL TRIPLO TRIONFO DI CANNES”

Polo, mio padre, donnaiolo seriale, era l’apprezzatissimo medico condotto del paese. Veniva da Alcamo e le patologie dei 3.000 abitanti di Formello, le conosceva quasi tutte. Annamaria, mia madre, era maestra. Bella da star male e gelosissima. Faceva le valige, sbatteva la porta, infilava me e mia sorella nel cuore della notte a bordo della 500 per fuggire via. Poi ritornavamo perché lei, a lasciarlo, non si decideva. È in mezzo a quell’inferno familiare, circondato da terra, campagna e contadini, con un cavallo di nome Topolino, che sono cresciuto. Sognavo di andarmene e a un certo punto scappai davvero”. Andrea Occhipinti ha 56 anni. 25 in più di quando a metà degli ’80, dal nulla, iniziò a distribuire un capolavoro dopo l’altro. 5 Leoni d’oro a Venezia, 3 Palme d’oro a Cannes (l’ultima con La vita di Adele, Kechiche, pochi giorni fa), molti orsi berlinesi e decine di altri premi in un alfabeto di cognomi impronunciabili, talento, intuito e azzardo. Autori e titoli. I soliti sospetti e Amenábar. Il divo e Lars Von Trier. Poi, in ordine sparso, dagli Oscar piovuti con The millionaire ai Nastri bianchi di Haneke, la rossa fortuna della sua Lucky Red. “Avrei voluto chiamare la società Lucky Strike. Non si poteva. Con Kim Smith, il mio complice di allora, siamo partiti così. Senza una lira, comprando quasi per caso un film di Werner Herzog. Andai a Cartagena sul set di Cobra Verde. Bruciati dal sole, Herzog e Kinski litigavano in continuazione. Klaus era strafatto, imprecava e a volte, con le palpitazioni, a rischio infarto, riprendeva vigore nella sua stanza guardando film porno su uno schermo gigante”. Occhipinti ride spesso, paga lo stipendio a 22 dipendenti: “Non esistono gerarchie rigide, sei vuoi tirare il meglio delle persone che lavorano con te devi lasciargli libertà. Di sbagliare, poter dire delle cazzate, trovare un’idea geniale” e ha mantenuto lo splendore fisico di quando anche un fotoromanzo cambiava l’orizzonte. “Ne feci uno con Isabella Ferrari per Grand Hotel. Tre giorni di lavoro, con i 10 milioni guadagnati comprai una macchina” e l’umorismo utile a non dipingere il passato come un paradiso perduto: “Con mio padre non parlo più da anni. Andavo a scuola a Roma e invece di prendere la corriera per tornare a Formello, dormivo ormai da tempo da una mia zia in città. Un giorno, appena maggiorenne, tornai a trovarlo. Mi indicò l’uscita in un amen. Io felicissimo, tornai a Roma sul mio Ciao blu in balìa di me stesso, in un disordine che visto oggi fa quasi più paura che allegria”.
Paura?
Diventavo autonomo e allo stesso tempo, in quella libertà improvvisa mi perdevo. Frequentavo un istituto sperimentale, il Castelnuovo di Primavalle. Non c’era obbligo di presenza e anche l’ambiente, con gli esuli cileni a dormire in palestra, le canne fumate in corridoio, il 6 politico e i compagni a organizzare le manifestazioni, rifletteva un’inclinazione a sinistra che avrebbe avuto la sua espressione più compiuta con il movimento del ’77. Poi l’aria cambiò e mi bocciarono.
Anni folli.
C’era gente che partiva per la Thailandia e ti proponeva di viaggiare con le valige armate di doppiofondo. L’abisso era dietro l’angolo e a quei tempi girava di tutto. Il mio miglior amico divenne, non so in quale ordine, spacciatore e tossicodipendente e poi morì. Mi rendo conto di aver fatto cose molto pericolose perché per crescere, all’epoca, sembrava necessario rischiare. Sottoporsi continuamente a delle prove e sperimentare in campo sessuale, con le droghe o sul palco. Mi ha salvato la prudenza e grazie a dio, un rapporto molto forte con mia madre e mia sorella.
Però ha girato film incredibili. L’alto e il basso. La Certosa di Parma, la Famiglia di Scola, ma anche La settimana al mare di Mariano Laurenti.
Il b movie era un’operazione alimentare, una questione di sopravvivenza. Essere indipendente, guadagnare e non pesare su mia madre, erano ossessioni quotidiane. Non mi divertivo e le battute erano tremende, però duettare con Bombolo o mettersi al servizio di Lucio Fulci in film come Lo squartatore di New York sono state esperienza fondamentali nei decenni successivi. Fulci era un artigiano di genio, della grande scuola dei tecnici che abbiamo perso per strada. Intelligente, molto cinico, spiritoso, volgarissimo. Diceva cose irripetibili.
Come incontrò il cinema d’autore?
A Roma il cineforum era una tappa obbligata. Filmstudio, Labirinto, L’occhio, l’orecchio, la bocca. Ci vestivamo in modi assurdi. Orecchini, stracci usati e capelli lunghi. Ci sentivamo fichissimi, ma imparavamo ogni giorno qualcosa. Poi Franco Brusati, giurato a Cannes nel ’78, mi invitò a seguire il Festival con lui. Vidi tutto il concorso. Oshima e Skolimovski. Franco sosteneva che nell’arte, è efficace solo ciò che è autentico. Si battè e riuscì a far assegnare la Palma a Ermanno Olmi.
Prima di lanciarsi nella distribuzione, incontrò Bo Derek in Bolero Extasy.
Interminabile, faticoso, stressante. Vidi per la prima volta il meccanismo di un film americano. John e Bo Derek erano una coppia complicata. Lui le aveva disegnato il film addosso, lei rilasciava interviste in cui confessava che prima di incontrare il marito, non sapeva se mettere ketchup o senape sull’hamburger. Bo aveva un ranch a Santa Barbara, andava a cavallo in continuazione, qualcuno sussurrava anche nuda, per la gioia dei cowboy che la guardavano.
Che Occhipinti amasse gli uomini per molto tempo è rimasto un segreto.
Naturalmente tutti i miei amici lo sapevano. Anche da adolescente ne avevo consapevolezza, ma non la condividevo con nessuno. Una volta, avevo 17 anni, parlai con mio cugino. Era colto, tormentato e affascinante. In una notte insonne glielo confessai: “Ti devo dire una cosa, sono gay”. E lui, rapido: “Ma no, è quello che volevo dirti io”. Amava Wilde e Rimbaud, il suo era un puro vezzo intellettuale. Ha anche tentato, ma non era portato. (Ride).
Lei era corteggiatissimo.
Abbastanza. Da ragazzi e ragazze. Era un mondo spensierato e promiscuo. Ci si svegliava con una lei da un lato del letto e un lui dall’altro. Il ’68 è stato uno spartiacque. Dalla repressione alla libertà assoluta. C’era una voglia vera e si faceva sesso ovunque.. L’Aids non era ancora arrivato, 30 anni dopo siamo tutti molto più puritani.
I registi che ha incontrato sono un manifesto libertario. Almodóvar, Kaurismaki.
Appena lessi il copione di Donne sull’orlo di una crisi di nervi mi precipitai a Madrid. Io e Pedro siamo diventati amici. Kaurismaki me lo ricordo nel tour dei bar romani, al ritmo del tasso etilico dettato dal Bianco Sarti alternato al Punt e Mes.
Con Lucky Red, all’ultimo Festival di Cannes, avete vinto i primi tre premi con un cinema capace di raccontare l’amore senza definizione, le biografie degli ultimi, i viaggi nel cuore dell’America.
Tre film diversi, ancoràti a una limpida idea di bellezza. Vincere fa piacere, ma non è casuale. Penso di aver saputo scegliere una squadra di persone competenti, appassionate e con un forte senso di appartenenza. Insieme negli anni abbiamo scoperto, valorizzato e distribuito tanti autori che si sono affermati. Abbiamo dimostrato che la radicalità di un’opzione culturale può determinare la crescita di un’impresa. Oggi in un momento di crisi economica , le due filiali cinematografiche di Rai e Mediaset hanno smesso di farsi la guerra a colpi di aste milionarie e i prezzi sono crollati. Noi ne abbiamo approfittato. E quest’anno, dai Coen a Tim Burton, avremo uno dei listini più interessanti tra le società indipendenti.
Priorità per il cinema?
È fondamentale che gli investimenti nel cinema delle tv, vadano prevalentemente alle società indipendenti come accade in Francia. Poi combattere la pirateria. Penso che i politici ancora non abbiano percepito la gravità della situazione e che a costo zero si potrebbe recuperare fatturato all’evasione ed evitare tante perdite di posti di lavoro nell’audiovisivo. I giovani chiamano in Lucky Red per chiederci come scaricare gratis un film appena uscito. Non c’è consapevolezza che la pirateria è un reato.