Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 1/6/2013; Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 1/6/2013, 1 giugno 2013
VISCO VEDE NERO SULLA CRISI E BOCCIA I POTENTI D’ITALIA
Che cosa avranno da sorridere nelle loro grisaglie i banchieri e gli industriali accorsi alla Banca d’Italia per le “Considerazioni finali” del governatore Ignazio Visco? L’unica ragionevole ipotesi è la soddisfazione di esserci, di avere ancora una poltrona da manager e un biglietto d’invito al raduno dell’Italia che conta e si compiace di sè. Non c’è altro: quando Visco attacca l’annuale omelia partono fendenti per tutti, banche, imprese, politica. Ritratti impietosamente nelle loro incapacità, nei loro rinvii, nelle loro furbizie. Il risultato è una crisi economica profonda e disperante, dalla quale Visco non tenta nemmeno di indicare la via d’uscita. Alla fine, come da tradizione, tutti si affannano a dichiarare soddisfazione l’analisi profonda, meditata, saggia, giusta, condivisibile. Come se Il governatore avesse detto banalità di circostanza. E tocca all’economista politico Renato Brunetta rompere il gioco, come sempre, con la sua puntigliosa confutazione. Non condivide “la denuncia fatta dal governatore sull’assenza totale di riforme fatte dalla politica negli ultimi anni”; lo “scaricare sugli imprenditori la responsabilità di non aver sostenuto il passo del cambiamento”; la “dicotomia tra riduzione del cuneo fiscale e della tassazione indiretta e sugli immobili”.
SÌ, VISCO HA DETTO proprio questo. Ha detto che dall’inizio della crisi, 2007, l’Italia ha perso il 7 per cento del prodotto interno lordo, il 9 per cento del reddito disponibile per le famiglie e oltre un quarto della produzione industriale. Che nel 2012 abbiamo perso oltre mezzo milione di posti di lavoro, che la disoccupazione giovanile è al 40 per cento. E che la gravità della situazione “rischia di ripercuotersi sulla coesione sociale”.
Ha detto anche che l’Italia va peggio degli altri Paesi perché sconta 25 anni di ritardi. Non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni, durante i quali “non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici”. Visco ce l’ha con la classe dirigente, non con gli italiani in genere. E precisa subito che le imprese avrebbero dovuto trasformarsi e investire, e invece “troppo poche hanno accettato fino in fondo questa sfida; a volte si preferisce, illusoriamente, invocare come soluzione il sostegno pubblico”.
L’illusione di succhiare denaro dalle casse dello Stato non muore. Visco non dà margini a chi si balocca con il famoso tesoretto miliardario che l’uscita dalla procedura europea per deficit eccessivo dovrebbe regalarci. Una balla: “Per quest’anno non vi sono margini di aumento del disavanzo”. Poi si vedrà, anche se sul punto Visco si riserva un margine di ambiguità, senza entrare pienamente nella discussione sulle politiche di austerità.
Sulle banche, che sono il suo argomento, visto che la Banca d’Italia esercita la vigilanza, Visco non è meno pessimista. Nel 2012 il credito alle imprese si è ridotto di 60 miliardi di euro, nei primi quattro mesi del 2013 la flessione è stata di un ulteriore 4 per cento. Le banche chiudono i rubinetti e accentuano la crisi, la crisi fa diminuire la richiesta di prestiti: “Una spirale negativa che bisogna spezzare”. Le sofferenze delle banche (i crediti di difficile recupero) sono cresciuti dal 3,4 per cento del totale dei crediti del 2007 al 7,2 per cento.
ANCHE LA POLITICA è bocciata. Come notato da Brunetta Visco fa riferimento alle non riforme di Silvio Berlusconi, ma anche alla scarsa produzione di norme, a fronte degli annunci, di Mario Monti. Il governo Letta neppure lo nomina, dando l’idea di non considerare che sia aperta una primavera delle riforme.
Visco non ha il carisma oratorio del suo predecessore Mario Draghi, e scivola sul monito contro “i cali di tensione”, come un allenatore. Però mai un governatore aveva usato parole così disperanti: “Dobbiamo mostrare di saper uscire dalla grave condizione in cui siamo caduti: lavoro che viene meno e non si crea; imprese che non riescono a modernizzarsi, a finanziarsi, che chiudono; banche indebolite fra le quali rischiano di emergere situazioni problematiche. I rappresentanti politici stentano a mediare tra interesse generale e interessi particolari: i cittadini ne ricevono segnali contrastanti e incerti”. I potenti d’Italia se ne sono andati sorridenti, soddisfatti come sempre.
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Il linguaggio dei governatori è peculiare. Ecco, per comodità del lettore, le frasi chiave di Ignazio Visco tradotte in italiano corrente.
L’anno scorso l’attività economica si è contratta del 2,4 per cento. Anche quest’anno si chiuderà con un forte calo dell’attività produttiva e dell’occupazione. L’inversione del ciclo economico verso la fine dell’anno è possibile; dipenderà dall’accelerazione del commercio mondiale, dall’attuazione di politiche economiche adeguate, dall’evoluzione positiva delle aspettative e delle condizioni per investire, dalla disponibilità di credito.
Andiamo male. Non illudetevi che arrivi la ripresa. Per averla nel 2014 occorrono alcuni miracoli, tra cui un governo che governi.
La formazione professionale andrà sviluppata per coprire una intera vita lavorativa caratterizzata dalla mobilità e dal cambiamento, da tutelare con rafforzati sistemi di protezione e assicurazione, pubblici e privati, nei periodi di inattività.
I giovani sono condannati al precariato, a lavori saltuari che interromperanno i periodi di inattività.
In molti casi, varate le riforme, hanno tardato, talvolta ancora mancano, i provvedimenti attuativi; non sono cambiati i comportamenti dell’amministrazione.
Il governo Monti ha fatto molte chiacchiere, ma ha concluso poco.
Le riforme di struttura richiedono tempo, possono essere attuate in sequenza, purché definite in un quadro complessivo che ne renda immediatamente chiari le finalità, le implicazioni, i benefici. Un programma credibile può incidere da subito sulle aspettative.
Ci vorrebbe un governo che governasse.
La Commissione europea si è impegnata a valutare le modalità per consentire ai bilanci pubblici nazionali di deviare temporaneamente dagli obiettivi di medio termine (...) per finanziare, sotto specifiche condizioni, progetti di investimento. Nel nostro paese ne potrebbero beneficiare investimenti per la tutela e la valorizzazione del territorio e del patrimonio culturale e artistico.
Se Bruxelles ci consentisse di spendere qualche euro in più, sarebbe meglio non buttarlo nel Tav, nel ponte sullo Stretto o in altre opere faraoniche e inutili.
In questa difficile fase congiunturale e nella prospettiva di una profonda revisione del modello di attività delle banche, gli azionisti svolgeranno un ruolo cruciale; dovranno essere in grado di sostenere finanziariamente le banche, rinunciando ai dividendi quando necessario, di vagliare la gestione senza interferire con essa.
Con la figura retorica della previsione elenco ciò che non è stato fatto.
[Le fondazioni] devono esercitare nei confronti delle banche partecipate un ruolo rispettoso della forma e dello spirito della legge, senza condizionarne le scelte gestionali e l’organizzazione; al pari di ogni altro azionista, devono promuovere la selezione degli amministratori sulla base della competenza e della professionalità, con criteri trasparenti.
Come sopra: finora non lo hanno fatto, speriamo lo facciano in futuro.
Per quest’anno non vi sono margini di aumento del disavanzo; sono stati assorbiti dalla decisione di pagare i debiti commerciali in conto capitale delle amministrazioni pubbliche. (...) Riduzioni di imposte, necessarie nel medio termine, pianificabili fin d’ora, non possono che essere selettive, privilegiando il lavoro e la produzione: il cuneo fiscale che grava sul lavoro frena l’occupazione e l’attività d’impresa.
Non c’è un euro per ridurre l’Imu. Dall’anno prossimo si può pensare a tagliare le tasse, ma non l’Imu, semmai quelle sul lavoro e l’Irap che colpisce le imprese.
Dobbiamo mostrare di saper uscire dalla grave condizione in cui siamo caduti. (...) Non si costruisce niente sulla difesa delle rendite e del proprio particolare, si arretra tutti. Occorre consapevolezza, solidarietà, lungimiranza.
La situazione è grave, ma non ho ricette da proporre. Quindi, forza ragazzi!