Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 01/06/2013, 1 giugno 2013
QUEL CODICE MINIMO CHE SERVE ALLA CAPITALE
Il nuovo sindaco di Roma avrà moltissimi obiettivi da raggiungere, e uno solo da evitare: essere amato, divenire popolare, puntare a essere rieletto.
Non sarà necessario emulare Cyrano («Spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato»). Basterà ripristinare un minimo di regole. Imporre la legalità e il rispetto reciproco. Ricostruire un nucleo di doveri che all’inizio sarà difficile da accettare, verrà scambiato come un’imposizione dittatoriale, scatenerà lamenti e proteste, ma alla lunga migliorerà la vita di tutti coloro che risiedono o passano da Roma.
Oggi nella capitale la legalità è come sospesa. Anche lo straniero più inibito dopo poco si sente autorizzato a fare tutto quello che gli pare: nascono così i cortei notturni di turisti anglosassoni o scandinavi, che al loro Paese non getterebbero una cartaccia ma per le vie di Roma passano bevendo, urlando, imbrattando senza che a nessuno venga in mente di fermarli.
Per gli stranieri, e in genere per i visitatori, la città comincia con il trasporto pubblico. Che non funziona. Non funziona la metropolitana dai cantieri infiniti e dalle corse a singhiozzo, non funzionano gli autobus, pochi e strapieni nelle ore di punta e vuoti nelle ore morte. Non è solo questione di efficienza, ma di mentalità e di regole. Il servizio dei taxi non funziona non per la qualità delle persone, che anzi sono spesso corrette e pure simpatiche, ma perché il taxi non è considerato un servizio bensì una rendita; per cui non si devono aumentare le licenze ma i prezzi, non si devono diminuire i tempi d’attesa ma i clienti. Di conseguenza, Roma è l’unica capitale al mondo dove spesso non si trovano i taxi in stazione; in compenso, è invasa dagli Ncc (noleggio con conducente) che calano da tutta Italia a intasare il centro, violando disposizioni che come una grida manzoniana nessuno fa rispettare.
Nonostante i divieti, su luoghi di commovente bellezza girano ancora i finti centurioni con la scopa in testa, che si fanno fotografare con turisti sorridenti nel veder confermati i loro stereotipi sugli italiani tanto pittoreschi. Ci sono i venditori abusivi di merce falsificata. I mendicanti vittime dei racket. I disabili le cui protesi sono tenute in ostaggio dagli sfruttatori in capanni come quello scoperto a Ostia. Ovunque sui muri simboli fascisti, ritratti del Duce nei giorni di Salò con gli occhi fuori dalle orbite, scritte inneggianti ad Alessandro Alibrandi, terrorista nero assassino di poliziotti. Almeno una volta alla settimana un omosessuale viene pestato in quanto omosessuale, una volta al giorno una ragazza è aggredita o molestata. C’è poi un’illegalità che non diventa notizia ma pratica quotidiana: le auto in seconda e terza fila, i furgoni che per entrare in centro passano sotto le telecamere in retromarcia, i veicoli abbandonati in strada e mai rimossi, i passeggeri sugli autobus senza biglietto, i 63 mila permessi per disabili associati a 170 mila targhe, che andrebbero verificati uno a uno perché quasi tutti falsi o comunque usati da chi non ne avrebbe diritto. E c’è una retorica melensa per cui alla fine ogni cosa si aggiusta grazie «ar core de Roma», a quel misto di tolleranza e bonomia per cui la capitale, proprio come il resto d’Italia, se la cava sempre.
Una città così descritta potrebbe apparire un inferno. In realtà, Roma resta una città straordinaria. Che però non è sempre all’altezza di se stessa. Non valorizza appieno le proprie grandissime potenzialità. Ci si potrebbe vivere molto meglio, con un minimo sforzo. Perché non è vero che a Roma, e in Italia, «non si può fare». A volte è bastato davvero poco, ad esempio sincronizzare i semafori sulla Nomentana favorendo la via principale rispetto alle laterali, per trasformare un ingorgo tipo Jaipur in un’arteria a scorrimento rapido. La metropoli ha mali più seri e difficili da estirpare. Ma la guerra alla delinquenza e alla corruzione comincia dalla battaglia contro le piccole degenerazioni quotidiane, e l’assuefazione che esse generano.
Un sindaco che esordisse così diventerebbe subito impopolare. Riceverebbe insulti e minacce. Ma farebbe la sua piccola rivoluzione. Smentirebbe una volta per tutte l’altra retorica su Roma, capitale indolente e cinica, simbolo dello Stato e del parastato; mentre in realtà Roma è una metropoli dinamica, che in questi anni si è data un circuito di musei e mostre di livello europeo, ed è piena di giovani che liberati dalla cappa del clientelismo e della rassegnazione sono pronti a mettere le loro energie al servizio della comunità. La rivoluzione romana avrebbe un impatto positivo anche sul resto del Paese, che dalla capitale è sempre più condizionato, se non altro per il romanocentrismo dell’industria culturale, dal cinema alla Rai, dalle fiction al lessico popolare. In cinque anni si può fare. Il sindaco resterà odiato e impopolare, ma sotto sotto in tanti gli saranno grati. Magari finiranno pure per rieleggerlo.
Aldo Cazzullo