varie, 1 giugno 2013
GRILLO BLOB PER LUCA
1- GRILLO
Jena per "La Stampa" - Stelle cadenti.
2- LA FIAMMATA DEI CINQUE STELLE
Luca Ricolfi per "La Stampa" 31/5
Quando votano in pochi, come è successo alle recenti amministrative, c’è sempre il rischio di sovrainterpretare, di vedere nel voto più di quello che contiene. A me i segnali chiari sembrano solo due: gli elettori di sinistra che avevano votato Grillo stanno cominciando a tornare a casa, il movimento di Grillo ha subito un tracollo d’immagine. Gli italiani saranno pure ingovernabili, come pensava Mussolini e ora ripete il commissario europeo Günther Oettinger, ma non sono ciechi.
Se per qualche motivo le cose precipitano, come è successo in vari passaggi della storia nazionale, può succedere che una parte dell’elettorato improvvisamente divenga pronta a votare una forza politica nuova, che promette un cambiamento radicale, o anche semplicemente rappresenta un modo d’essere diverso, una qualche rottura con il passato o con il presente. Ma altrettanto improvvisamente i medesimi elettori che hanno scommesso sul nuovo o sul diverso sono pronti a ritirare il loro consenso.
Nella storia elettorale italiana degli ultimi 70 anni è già successo due volte, con il movimento dell’Uomo Qualunque (fra il 1946 e il 1948) e con la mai veramente nata Alleanza democratica, che subito prima della discesa in campo di Berlusconi era arrivata (nei sondaggi) a sfiorare il 20% dei consensi.
Vedremo presto se il caso del Movimento Cinque Stelle somiglierà più a quello dei movimenti-fiammata (come Uomo Qualunque e Alleanza democratica), o a quello dei movimenti-incendio, che nascono all’improvviso ma durano nel tempo, come sono stati la Lega e Forza Italia.
Personalmente propendo più per la prima ipotesi, quella di un raffreddamento del consenso al Movimento di Grillo, e questo non tanto per la batosta elettorale dei giorni scorsi, quanto per i comportamenti e gli equivoci che l’hanno preceduta e per molti versi preparata.
Primo equivoco. Beppe Grillo pare non aver capito che la maggior parte degli elettori non sono né fanatici, né militanti. Sono sì disgustati dalla politica, vorrebbero sì mandare a casa una classe dirigente che li ha profondamente delusi, ma al tempo stesso vorrebbero che un governo ci fosse. E che fosse un governo decente. Non è evidente, o almeno non lo è ancora, o non lo è alla maggioranza dei cittadini, che il governo Letta-Alfano sia un governo indecente. Mentre è del tutto evidente che il Movimento Cinque Stelle ha ostacolato in ogni modo la nascita di un governo compatibile con il risultato elettorale.
Secondo equivoco. Il Movimento Cinque Stelle pare non aver capito che molti elettori danno una notevole importanza a due virtù: la competenza e lo stile. Molti elettori (la maggioranza, a mio parere) non si accontentano affatto di essere governati da gente «semplice e onesta», ma vorrebbero anche che i politici che li rappresentano fossero competenti, esperti, e persino educati. Soprattutto quest’ultima cosa.
Gli elettori possono anche perdonare la volgarità del capo, che può mascherarsi dietro l’alibi della satira, ma apprezzano molto di meno la volgarità dei sottoposti, sia quando si manifesta come amore per il vil denaro (vedi il surreale dibattito sugli scontrini e gli emolumenti dei parlamentari) sia quando si manifesta con le offese e il turpiloquio (giusto ieri le parole «merda» e «stronzo» erano al centro delle profonde riflessioni politiche di due grillini molto in vista, la capogruppo alla Camera Roberta Lombardi e l’uomostreaming del movimento Salvo Mandarà; per non parlare delle offese di Grillo a Stefano Rodotà).
Terzo (e fatale) equivoco. Il Movimento Cinque Stelle pare non aver compreso né la natura della Rete né la natura della democrazia. La Rete, che qui scrivo in maiuscolo perché qualcuno la considera una divinità, è uno strumento comodissimo e utilissimo (posta elettronica, Wikipedia, migliaia di servizi gratuiti, velocizzazione delle comunicazioni, ecc. ecc.), ma è anche fonte di innumerevoli effetti collaterali negativi.
Grazie alla Rete può risultare più facile violare la privacy, umiliare le persone, indurre al suicidio un ragazzo o una ragazza, mettere in circolazione informazioni false o pericolose, truffare il prossimo, dare voce agli incompetenti, permettere l’espressione dei peggiori sentimenti, o anche semplicemente sottrarre tempo a chi potrebbe usarlo assai meglio.
Il Movimento Cinque Stelle non solo deifica la Rete, ma sogna un mondo in cui tutti possano partecipare a un innumerevole insieme di decisioni grazie al voto elettronico. Un mondo in cui la democrazia diretta, che qualche volta ha funzionato in piccole comunità, trionfa sulla democrazia rappresentativa, inventata per governare comunità grandi e complesse.
E’ una sciocchezza, se non altro perché la maggior parte di noi non vuole affatto mettere becco nell’innumerevole giungla di leggi e norme che vengono emanate ogni giorno da ogni sorta di consesso, ma preferirebbe potersi dedicare alle cose che ama con la serenità che deriva dal fatto di avere dei decenti rappresentanti in parlamento e nelle istituzioni. E’ a questo che serve la democrazia rappresentativa. Ed è questo il motivo per cui, nelle democrazie che funzionano, a votare vanno in pochi, non in molti: perché sanno che, chiunque vinca, non sarà una catastrofe.
3- SALVATE IL SOLDATO BEPPE (MA DA SE STESSO)
Francesco Merlo per "La Repubblica" 31/5
"Grillo, nonostante le tue canagliate, io vorrei che tu, Renzi ed io...". Ancora potrebbe, questa prima sconfitta di Beppe Grillo, mutarsi in valore civile. E forse solo un Epifani dantesco potrebbe aiutare Grillo a salvarsi dal Grillo impazzito che sproloquia persino contro Rodotà, che pure è stato il suo fiore di purezza, il suo Garibaldi o meglio il suo Mazzini, il suo alibi di nobiltà.
Ha avuto la fortuna, Beppe Grillo, di subire un imperioso alt degli elettori quando ancora non tutto è perduto. Ha infatti il tempo di rivedere, correggere e ripensare anche il se stesso tramutato in canaglia. E il segretario del Pd, ora che non ne ha bisogno per sopravvivere, dovrebbe chiamare il furioso attaccabrighe al confronto diretto, senza il corteggiamento trafelato e penoso ai gregari che umiliò Bersani, ma lanciando un ponte di sinistra, un osservatorio, un blog a due piazze, una cosa ("ah, cosa sarà?, che fa muovere il vento") che sia fatta di dibattiti serrati e anche di quegli sbeffeggiamenti (reciproci, però) che Grillo ha trasformato in scienza della politica.
Si sa che negli animi nobili la sconfitta migliora il carattere, lo ingentilisce. Ma se l’animo è ignobile, lo inacidisce. E le sgangherate reazioni di Grillo, chiuso nel suo blog virtuale trasformato in bunker reale, esprimono appunto quell’umore che gli inglesi chiamano ‘sour grapes’, uva acida.
Con insolenze da teppista, che raccontano meglio dei numeri elettorali, il malessere mentale dello sconfitto che non si rassegna, Grillo malmena dunque Stefano Rodotà che era il suo candidato al Quirinale contro la sinistra. Ora che si è permesso di criticarlo con un’intervista al Corriere, dandogli dei consigli generosi e sensati, Rodotà non è più «un ragazzo di ottanta anni» ma «un ottuagenario sbrinato di fresco» e «miracolato dal web».
E qui c’è per due volte, sia nel plauso giovanilista sia nel disprezzo antisenile, la stessa (rovesciata) volgarità fascistoide di ‘giovinezza giovinezza’ accanto al vaneggiamento del ‘chi non è con me è contro di me’. Era già successo alla Gabanelli, succederà ancora. Oltre la lista delle Quirinarie ci saranno altri amanti strapazzati, anche perché, come dicono in Sicilia, «cu di mulu fa cavaddu, u primu cauciu è u so», chi tratta un mulo come un cavallo, si becca il primo calcio.
«Abbiamo vinto», dice Grillo negando l’evidenza e aggredendo Renzi (anzi Renzie, come Fonzie, eh eh) e poi Civati, Bersani, Veltroni... E intanto Lombardi e Crimi vanno «a caccia di pezzi di merda» con un linguaggio che, in bocca loro, diventa agghiacciante. I parlamentari si rubano le mail a vicenda, il gruppo sembra destinato a sgretolarsi ma la Lombardi trova la parola giusta da sillabare: «Confermo, sono delle merde. Mer-de!». Nel delirio della sconfitta, gli amici, che hanno la faccia dei nemici e viceversa, inchiodano Grillo al suo blog-bunker, sempre più sfigurato nell’acidità. E l’impolitica diventa impotenza.
Solo un fissato può davvero credere di avere perduto per colpa degli altri, del dominio padronale sui mass media, della pochezza degli italiani. Certo, non deve essere facile per lui. Ma per sua fortuna nessuno può chiedergli di dimettersi. Solo di rimettersi.
Per recuperare il suo fascino seduttivo (non su di noi, ovviamente) il perdente deve sempre diventare leggero. E non è un problema di eleganza, ma di sostanza.
Solo ammettendo la sconfitta Grillo potrebbe guarire dalla spocchia e capire che non basta più essere il divertimento intellettuale di alcuni vip dello spettacolo e lo sfogatoio plebeo della rabbia italiana. Potrebbe valorizzare le intelligenze dei suoi parlamentari, spronandoli a studiare almeno un po’, smetterla di punire, espellere e controllare, potrebbe consegnarsi finalmente alla politica che è una delle più nobili attività dell’uomo, e proprio per questo degenera in vizio e corruzione. Non lo fa, ma ancora potrebbe.
Più che denunziare, Grillo ha irriso il potere degenerato, ha spernacchiato il Palazzo tronfio e sordo. Non è stato il primo a sbeffeggiare la politica, ma è stato il primo a fare dello sbeffeggiamento una politica. Ed è senza precedenti nella storia d’Italia, salvo forse Giovannino Guareschi, che solo alla fine, come Grillo, se la prese con gli italiani: «Popolo bue, li hai votati? Adesso pedala» (e speriamo che per questo paragone non si offenda, la buonanima).
E però solo con Grillo la tradizione dello spernacchiamento, che va da Marziale a Pasquino, da Totò a Dario Fo, ai Guzzanti e, nel suo modo supercilioso di mezzo Landini e mezzo Montanelli, a Marco Travaglio, ha cessato di essere il cibo dell’intrattenimento più o meno intelligente ed è diventato il manifesto di un partito che alla Camera è ancora maggioranza relativa. Ebbene, da questo sbeffeggiamento la politica non tornerà più indietro.
E bisogna riconoscere che in Italia la comicità e la satira hanno una funzione unica al mondo. E basta guardare come Crozza riesce a tirare fuori la parte più vera dei politici, sia pure capovolta. L’altra sera anche la Carfagna, confrontandosi con le battute di Crozza, è stata simpatica e intelligente. E si può discutere se si tratta di un altro segnale della decadenza italiana, se è una fuga o una medicina, ma non si può negare che è questa l’essenza del grillismo e, proprio quando comincia il suo declino, si capisce che non si potrà più fare a meno della forma che lo sberleffo ha dato alla politica.
Dunque è ora di provarci davvero a salvare Grillo da Grillo, magari evitando di esibirsi nella pratica diffusa di bastonare il cane che annega. E non solo perché non è elegante né generosa l’idea, troppo sbrigativa, di potergli dare presto il colpo di grazia, con una spietatezza un po’ ridicola. Ma anche perché è il cane da guardia del legittimo, giustificato malumore italiano e perciò almeno il Pd dovrebbe evitare di cantare una vittoria che potrebbe essere quella di Pirro, o, se preferite, quella di Sansone che morì con tutti i filistei.
Inoltre qui si rischia di buttare via, con l’acqua sporca del livore tribunizio e del vaffa, quel radicalismo sociale che è la giusta punizione della politica diventata affarismo, clientelismo e guadagno illecito, la deriva finale della partitocrazia denunziata da Pannella quarant’anni fa.
Sicuramente gli elettori hanno punito il moralismo di Grillo che è ideologismo eccessivo e grottesco, ma è pur sempre alla morale che il moralismo attiene. Certo è morale andata a male, ma guai a liberarci anche dal bisogno di morale che Grillo aveva intercettato e al quale non riesce a dare un orizzonte diverso da quello drammaticamente perdente del «resterò solo io», «non abbiamo fretta», «morirete tutti», «pezzi di merda», « traditori», «venduti».
Anche la critica alla televisione aveva un suo fondamento. Gli elettori si sono accorti che, non andando Grillo, in tv è arrivato un serraglio di grillologi: giovani giornalisti con l’insulto creativo e zero titoli, professori senza alunni e, al posto dei portavoce e dei portaborse, i portarancore, i professionisti del livore. La critica alla cattiva tv ha prodotto una pessima tv. Ma rimane vero che Grillo aveva intercettato un giustificato «ne abbiamo abbastanza» della pulp tv fatta di sbranamento e calci in bocca, e di un giornalismo politico fondato sull’eccitazione con il forcone del divo e del mezzodivo.
Forse solo il Pd può fermare questo ‘cupio dissolvi’ e aiutare Grillo a salvarsi e innanzitutto perché non è detto che la sinistra radicale che lo votò torni davvero a casa e che non si prepari invece un postgrillismo che sostituisca alla pratica astiosa dello sbeffeggiamento quella delle maniere spicce nelle fabbriche, nelle strade, nel conflitto sociale, nell’estremismo ambientalista.
Non che sia davvero immaginabile un ritorno al terrorismo, come dice il solito Grillo che pensa di compendiare in sé tutto il vissuto e tutto il vivibile, ma può accadere che esplodano, come attorno alla spazzatura e alla Tav, i plebeismi, il luddismo o nuove forme di criminal sindacalismo nel nome (usurpabile) della nuova povertà italiana, contro l’euro, contro l’Europa e contro lo stesso Grillo, visto che la campana del crescente astensionismo suona forte anche per lui.
Epifani, che capisce questo mondo e ha forse la stoffa per governarlo, potrebbe davvero provare a salvare Grillo da Grillo. E senza patti, lontano dal mercato delle commissioni e delle maggioranze, preparare il dopo Letta e il superamento definitivo del berlusconismo, convincendo Grillo, come cantano Dalla e De Gregori ‘a lasciare la bicicletta sul muro e parlar del futuro’ dentro una passione italiana e, con l’animo dei forti, persino una vaghezza di amicizia: "Grillo, io vorrei che tu Renzi ed io / fossimo presi per incantamento. Nonostante le tue canagliate".
Aldo Grasso per Corriere della Sera 29/5
La colpa è sempre degli altri. L’insuccesso alle amministrative del Movimento 5 Stelle non è colpa di quei dilettanti allo sbaraglio che siedono in Parlamento, non è colpa della totale inadeguatezza dei Crimi e delle Lombardi, non è colpa di una politica che si è interessata soprattutto ai rimborsi spesa fallendo alcune clamorose occasioni, la colpa non è dell’equivoco di fondo su cui vive il Movimento stesso, quasi fosse il frutto di una cattiva lettura dei classici dell’anti-utopia (Orwell, Zamjàtin, Huxley, Burgess...), carica di angosce, ripulse, umorismo sarcastico e violento. No, la colpa è degli italiani: «Non si tratta di italiani che hanno sbagliato per consuetudine o per dabbenaggine, ma di persone pienamente responsabili della loro scelta».
Il registro comico-grottesco di Beppe Grillo tenta l’ultima, disperata autoassoluzione: «Capisco chi ha mantenuto la barra dritta e premiato i partiti che succhiano i finanziamenti pubblici e non chi li ha restituiti allo Stato. Vi capisco. Il vostro voto è stato pesato, meditato».
Quale la colpa dei cittadini? Di essersi disamorati troppo in fretta del sogno di Grillo che consisteva nel mettere al muro i tradizionali partiti politici (un mondo di zombie e vampiri) e, con essi quella faticosa pratica occidentale che si chiama democrazia, nel proclamare il mito della trasparenza via Web, nel disprezzare ogni classe dirigente sostituibile da una sorta di lotteria internettiana ("uno vale uno"). Il guru aveva indicato la Nuova Babilonia, ma i cittadini sono stati ciechi, irriconoscenti e ingrati.
Tuttavia qualcosa sta scricchiolando nell’impalcatura del Movimento. Se alle elezioni politiche le sue strategie di comunicazione erano parse innovative (non apparire in tv ma fare in modo che la tv si occupasse abbondantemente del fenomeno, idolatrare la Rete), adesso gli errori di comunicazione non si contano: gli insulti ai critici (Milena Gabanelli e Pierluigi Battista su tutti), le black list dei giornalisti inaffidabili, le squadre di sorveglianza in Transatlantico, le continue sconfessioni. Forse la Rete non basta più per fare politica, forse bisogna ritornare all’odiato mezzo per parlare a tutti, forse i criteri di selezione dei candidati sono troppo superficiali.
Il riscatto morale a colpi di "vaffa" si è dimostrato fragile, la tecnica "corporea" dei calci in culo all’avversario inefficace: al tribuno Beppe Grillo che prometteva di aprire le Camere come scatole di tonno un po’ di cenere sul capo farebbe bene. Ma nessuno dei suoi sa come porgergliela.
2. DOPO LA DELUSIONE, L’IRA DI GRILLO:«NOI TANTI ERRORI, MA GLI UNICI
A RESTITUIRE 42 MILIONI DI EURO» E I SUOI: «CITTADINI INGRATI»
Matteo Cruccu (ha collaborato Marta Serafini) per Corriere della Sera 29/5
Il giorno dopo la grande delusione, per il M5s, voti ridotti dalla metà ai due terzi rispetto alle politiche e nessun ballottaggio nelle grandi città, è l’ora dell’analisi. O meglio dell’ira di Beppe Grillo. Dopo aver fatto parlare (pochi) esponenti del movimento (il diktat era di non commentare i risultati), il comico è uscito direttamente allo scoperto con un durissimo post sul suo blog. «Il M5S ha commesso errori, chissà quanti, ma è stato l’unico a restituire 42 milioni di euro allo Stato» tuona Grillo. E poi sferza quell’Italia che votando Pd e Pdl, i partiti che «li rassicurano ma in realtà hanno distrutto il Paese, si sta condannando a una via senza ritorno».
«CAPISCO CHI VOTA I CONDANNATI»- Grillo esonera dalle responsabilità la stampa, «i pennivendoli» come li chiama lui. E punta dritto al bersaglio, ricorrendo all’arma del sarcasmo, gli elettori che non hanno votato il Movimento Cinque Stelle. «Non si tratta di italiani che hanno sbagliato per consuetudine o per dabbenaggine, ma di persone pienamente responsabili della loro scelta» parte il comico.
E attacca: «Capisco chi ha votato, convinto, per il condannato in secondo grado per evasione fiscale e chi ha dato la sua preferenza ai responsabili del disastro dell’ILVA, del Monte Paschi che hanno come testimonial il prescritto Penati. Capisco chi ha mantenuto la barra dritta e premiato i partiti che succhiano i finanziamenti pubblici e non chi li ha restituiti allo Stato. Vi capisco. Il vostro voto è stato pesato, meditato».
LE DUE ITALIE - Perché, per il leader M5S. esistono due Italie: «La prima, che chiameremo Italia A, è composta da chi vive di politica, 500.000 persone, da chi ha la sicurezza di uno stipendio pubblico, 4 milioni di persone, dai pensionati, 19 milioni di persone (da cui vanno dedotte le pensioni minime che sono una vergogna). La seconda, Italia B, di lavoratori autonomi, cassintegrati, precari, piccole e media imprese, studenti».
Per la prima vince «il teniamo famiglia, si vota prima per sé stessi che per il paese», la seconda sta «sta morendo, ogni minuto un’impresa ci lascia per sempre». Per concludere infine che «l’Autunno Freddo è vicino e forse, per allora, l’Italia A capirà che votando chi li rassicura, ma in realtà ha distrutto il Paese, si sta condannando a una via senza ritorno. Vi capisco, avete fatto bene». Colpa degli elettori insomma, è la posizione del leader maximo del movimento.
«CHE SCHIFO» - Posizione che hanno sposato pure quei pochi che hanno parlato nel day after. Come per Grillo, anche tra altri rappresentanti dell’M5s, serpeggia lo spettro dell’irriconoscenza nei confronti dei "cittadini" (come vengono chiamati dal Movimento gli elettori) che non avrebbero capito il messaggio dell’M5S. Aveva iniziato per primo l’arrabiatissimo Michele Pinassi, il candidato sindaco dei grillini a Siena, evidentemente convinto che lo scandalo bipartisan del Monte dei Paschi avrebbe portato acqua al mulino dei Cinque Stelle. Non è andata così: Pinassi ha preso l’8,5 quando alle politiche l’M5s aveva sbancato con il 20. E così il candidato si è amaramente sfogato contro gli elettori «Che schifo. Speravamo in un minimo di riconoscenza. Invece niente. Neppure un grazie. Invece del nostro riscatto morale preferiscono le loro rendite di posizione, garantite dal sistema del Monte dei Paschi».
«CITTADINI UN PO’ INGRATI»- Dalla debacle di Siena partivano anche gli strali di Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, che poco dopo la chiusura delle urne aveva parlato di successo, utilizzando come pietra di paragone le amministrative del 2008, quando l’M5S era gli inizi, piuttosto che le politiche di febbraio. Ebbene martedì Di Maio, sulla sua pagina di Facebook scrive: «Votare a Siena il Pd protagonista dello scandalo Monte dei Paschi, per me è incomprensibile». E pur riconoscendo che «bisogna comunicare meglio», alla fine la colpa sembra essere degli elettori i «cittadini, credo siano stati un po’ ingrati, lì in quei comuni dove c’è una storia di partecipazione ineguagliabile».
«COLPA DELLE CLIENTELE» - Il parlamentare Di Battista, ammettendo la delusione, dava la colpa alle clientele: «A livello locale c’è un forte voto clientelare che pesa. A molta gente che lavora nelle aziende pubbliche conviene votare così». Unica voce fuori dal coro, sembra essere quella del senatore Adriano Zaccagnini: «Avremmo dovuto fare i nomi di un governo a 5 stelle al momento giusto, quando aveva un senso: sbagliato dire sempre no». E qualcun altro, in via ufficiosa ammette;: «meglio una battuta d’arresto, eravamo stradimensionati, meglio 2/3 consiglieri ovunque e lavorare bene sul territorio» Ma, da Beppe Grillo in giù, non tira aria di mea culpa tra i Cinque Stelle.
Fonte: Mattia Feltri, La Stampa 31/5/2013
Testo Frammento
M5S SULL’ORLO DI UNA CRISI DI NERVI –
Andate su YouTube e guardate il video di Salvo Mandarà. «Ho deciso di lasciare questo paese», dice. Sarà a settembre, probabilmente. Mandarà è il videomaker del Movimento 5 Stelle, e cioè diffonde in streaming i comizi di Beppe Grillo. Se ne va non soltanto per il vigliacco risultato elettorale delle comunali, ma perché ad Abbiategrasso, dove abita, «le istituzioni non esistono più». E infatti suo figlio non è andato a scuola per quindici giorni e nessuno l’ha avvertito. Siamo messi così, dice. Se ne va, più in generale, perché Nicola Mancino è «un mafioso di merda» e quereli pure tanto lui, Mandarà, sarà già all’estero e avrà ottenuto «asilo politico». Ci crede e lo dice: «Asilo politico». Non soltanto Mancino merita la qualifica escrementizia, ma anche lo Stato e il popolo, e del resto i riferimenti scatologici paiono a oggi il collante più serio dentro un non-partito con «il circuito che si è interrotto», come cantava qualche anno fa Grillo con Mina. Nel giro di poche giorni, infatti, a livello di materiale da evacuazione sono stati posti, dalla capogruppo Roberta Lombardi, i colleghi che girano le sue mail alla stampa (detti anche «stronzi») e, da Beppe Grillo, Antonio Venturino, che si tiene i soldi da deputato siciliano («pezzo di», più precisamente), oltre allo Stato e al Parlamento.
Non è una questione di turpiloquio: Grillo ne ha fatto la sua cifra. È che il turpiloquio così frequente, rancoroso, sempre meno abile scorciatoia della comicità, sembra segnalare una difficoltà puramente logica. Stefano Rodotà, quando arrivò terzo alle Quirinarie, era un’ottantenne che alla notizia era «diventato un bambino»; ora è un’ottantenne scongelato e miracolato, un maestrino dalla penna rossa. Rodotà era uno che «è stato fuori dal giro», ora è uscito dal «freezer dopo vent’anni di batoste». Rodotà era stato «scelto dal popolo», diceva Grillo, e non votarlo equivaleva al colpo di Stato. Tutti in piazza disse, anche se lui non si fece vedere. Il popolo, si sarebbe scoperto in seguito, erano poco più di 4 mila e 700 elettori via web. Ma il tambureggiante ritmare «RodotàRodotà» rappresentava la pacifica scarica di mitra dell’«Italia migliore», che deiezione ancora non era. Lo è oggi: è tutta colpa sua, ha scritto Grillo, se le amministrative sono andate come sono andate. «Cittadini ingrati», ha detto il vicepresidente a cinque stelle dalla Camera, Luigi Di Maio. E il candidato a sindaco di Siena, Michele Pinassi, ha pronunciato la terribile requisitoria: «Che schifo. Speravamo in un minimo di riconoscenza. Invece niente. Neppure un grazie». Uno spettacolare ribaltamento di prospettiva secondo cui non è il Movimento ad aver perso un sintonia con gli elettori, ma sono gli elettori a non meritarsi una siffatta guida.
Tutti hanno ricordato, ieri, che non soltanto Rodotà è passato dalla posizione di santo laico a quella di vecchio malmostoso: sorte non dissimile è toccata a Milena Gabanelli, che le quirinarie le aveva vinte. Un paio di puntate di Report addosso ai Cinque Stelle, ed è transitata o tornata - traditrice! - al nemico. Il senatore Lello Ciampolillo non ha escluso «eventuali azioni anche in ambito giudiziario», scordando il proposito da campagna elettorale di depenalizzare la diffamazione. «Bastonato Gianni Alemanno, passiamo al M5S», scrive Grillo sul blog, mentre «risulta immune Marino del Pd». Capito la Gabanelli? La presidentessa ideale della Repubblica passata all’abbattimento dell’avversario su commissione? Lungo lo Tsunami Tour Grillo fa l’accorato: «Non creare il sospetto... è brutto il sospetto...». Il sospetto da cui sono stati accolti - al cospetto dei cinque stelle - gli altri parlamentari, i giornalisti, e di cui sono circondati banchieri, burocrati, sindacalisti, tutti i mostri assassini delle agitate notti grillesche, adesso è un sospetto mascalzone. Davvero è complicato stare dietro a Grillo. La sua teoria dell’incompetenza al potere - perché i professionisti della politica sono inevitabilmente corrotti nell’animo - svapora se l’incompetente è Isefa Idem: portare una canoista al governo «è da scemi». Uno vale uno ma neanche tanto. Se Pippo Civati (Pd) tenta l’aggancio ai grillini è il tipetto a cui tirare «un bastone da riporto» ma nessun contatto, nonostante due giorni fa fosse tutta colpa di Pier Luigi Bersani se i colloqui Pd-M5S erano falliti. Romano Prodi è uno che «ha perso più battaglie del generale Cadorna a Caporetto», che poi Cadorna a Caporetto una ne ha persa. Alla Camera, sempre più parlamentari del Movimento si aggrappano ai giornalisti come fossero zattere nell’oceano. Sperano succeda qualcosa. Spifferano. Sono i traditori, le spie, secondo lessico corrente.
(Dottore... / se nel frattempo volesse darmi con una certa sollecitudine... / un ansiolitico / un antibiotico / omeopatico / o quello che c’è... / Perché ho il circuito che s’è interrotto / un tour psichiatrico tra me e me...). Da Dottore, duetto Mina Grillo del 1996 .
Fonte: Alessandro Trocino, Corriere della Sera 31/05/2013
Testo Frammento
NUTI, NUOVO CAPOGRUPPO: «I DISSIDENTI FORSE SONO NEL POSTO SBAGLIATO» — «Vieni, che ti portiamo nelle segrete stanze del Kgb». Scherza Nicola Biondo, capo della Comunicazione alla Camera. In ottemperanza al nuovo corso, l’intervista si fa dal vivo, alla presenza degli addetti alla Comunicazione. Telecamere della «Cosa», la tv del Movimento, non se ne vedono, ma non si può dire. «Sai, al telefono abbiamo avuto molte fregature — dice Biondo — Meglio vedersi in faccia». Arriva Riccardo Nuti, nuovo capogruppo alla Camera, sottratto all’assemblea in corso. Succede a una febbricitante Roberta Lombardi, per il sollievo di alcuni che ne avevano già chiesto l’allontanamento. Fama da pasdaran, mascella da duro, Nuti sfoggia accento marcato palermitano e sorrisi concilianti. Sorrisi che si spengono quando si parla dei «dissidenti».
Cominciamo dall’intervista del «Corriere» a Stefano Rodotà. Deluso dalle critiche?
«E perché? Rimane una persona valida, con la quale condividiamo tante battaglie. Ci dispiace solo che abbia fatto critiche non avendo un’informazione corretta».
Grillo non ha reagito con questo understatement: gli ha dato dell’«ottuagenario sbrinato dal mausoleo e miracolato dalla rete».
«Ha usato il suo linguaggio, vi stupite ancora?»
Un po’. E comunque Rodotà era il vostro mito. Avete scandito e urlato il suo nome per giorni.
«Lo candideremmo ancora al Quirinale».
Ma come? Grillo gli ha dato il benservito, augurandogli di rifondare la sinistra.
«Lo ha detto Rodotà della sinistra. E comunque sono stati gli elettori a votarlo».
Rodotà dice che la rete non basta.
«Vero, lo sappiamo anche noi. Da sempre noi siamo rete e banchetti».
Ora anche tv, pare. Grillo e Casaleggio vi faranno lezione.
«Andremo in tv, ma non nei pollai».
Per Rodotà serve più presenza sul territorio.
«Scopre l’acqua calda».
Aggiunge che certi vostri candidati erano sbagliati.
«La gente vota i personaggi, più che i programmi. E per questo è più difficile per noi».
Il Professore dice che i parlamentari devono essere liberi di fare politica.
«Lo sono. Il voto sul Porcellum con Giachetti è stata una mossa politica decisa da noi in Affari costituzionali».
Quindi smentisce Vito Crimi? Aveva detto che i parlamentari a 5 Stelle non devono occuparsi di strategie politiche.
«Bisogna vedere se lo ha detto davvero».
Lo ha detto a noi, confermiamo.
«Allora diciamo che non devono occuparsi di alleanze».
Tornando a Rodotà, prima di lui era finita nella polvere Milena Gabanelli. È una strage di miti.
«Quel servizio di Report era pieno di cavolate. Ma la Gabanelli rimane una signora giornalista. Mica la buttiamo nella discarica».
Veramente avete minacciato di fare causa a Report.
«Lo sta dicendo lei».
Lo ha detto il senatore Lello Ciampolillo.
«Se ci sono gli estremi si ricorre contro quel servizio, che era tendenzioso, faceva capire cose non vere. Ma questo non significa buttare tutto Report».
L’impressione è che al primo accenno critico si diventa vostri nemici. Anche i vostri parlamentari: appena accennano un’opinione minimamente divergente, diventano mele marce da far cadere e buttare.
«Nel Movimento ognuno può esprimere liberamente la sua opinione. Ma non può andare contro lo Statuto, la Carta di Firenze e il codice di comportamento».
Esprimere un’opinione sulla linea politica è normale.
«Ognuno può parlare, ma dentro le nostre regole».
E se lo fa lo stesso? È un dissidente da espellere?
«Voi li chiamate dissidenti, io invece disinformati. Non sanno le regole».
I «disinformati» che fine faranno?
«Uno all’inizio ci parla. Una, due, tre volte. Noi in questo siamo quasi masochisti, parliamo, parliamo. Poi, se non lo capisci, figlio mio, amen. Ci siamo visti. Restiamo amici».
Amici ma non troppo. Facciamo un esempio: Tommaso Currò.
«Ecco, parliamo di Tommaso. È uno che ha detto che il nostro Movimento deve diventare partito. Libero di dirlo, ma deve anche chiedersi: sono finito nel posto giusto? Se non è così, non posso costringerlo a restare».
E se lui vuole restare? Espulsione?
«Democrazia non è anarchia».
Ce ne sono altri di «disinformati»? Si parla di una decina almeno.
«Non lo so. Sulle posizioni di Currò c’è Adriano Zaccagnini».
E sono due. Vi farebbero un favore ad andarsene? Anche perché c’è questa storia delle «merde», come le chiama la Lombardi, che rivelano le vostre informazioni.
«Non è detto che siano loro le merde».
Le state cercando?
«No, ho altro da fare. E comunque non saremmo felici se se ne andassero: vorrebbe dire che non hanno capito dove si sono candidati».
La Lombardi è stata molto criticata.
«Gli errori ci stanno. Nessuno di noi era esperto. Non so se altri al suo posto sarebbero riusciti a fare meglio».
Com’è finita la vicenda della diaria?
«È finita che quello che non è rendicontato sarà restituito. Chi protestava ci ha ripensato. Anche Zaccagnini, pare».
Presto si va a votare ai ballottaggi. C’è chi, come Di Battista e altri, ha detto che andrà. Voi però non appoggiate nessuno, perché «Pdl e Pdmenoelle sono uguali». E quindi, per esempio a Roma, anche Marino e Alemanno. Non è in contraddizione?
«Noi non appoggiamo nessuno, ma non diamo indicazioni. Chi vuole andare a votare è libero di farlo».
Alessandro Trocino
Fonte: Aldo Grasso, Corriere della Sera 31/05/2013
Testo Frammento
CONSIGLI (NON RICHIESTI) PER I NEOFITI DELLA TV - Vecchia, cara tv generalista. Dopo la sbronza internettiana, dopo aver disprezzato il piccolo schermo Grillo e Casaleggio mandano gli eletti in Parlamento a scuola di tv. Niente talk show, naturalmente, ma tutto il resto sì. Da oggi prendono lezioni alcuni deputati e senatori inequivocabilmente ortodossi, accuratamente selezionati. Ecco cinque consigli non richiesti.
1) Il nemico numero uno della tv è l’astrattezza, di cui i grillini sono campioni assoluti: frasi fatte, ragionamenti astrusi, parolone usate il più delle volte a sproposito, nessun contatto diretto con la realtà. Il modo più semplice per attirare l’attenzione degli spettatori è quello di fornire loro delle immagini, creare quasi degli oggetti mentali. Dimenticare subito la retorica pasticciona di Vito Crimi.
Dimenticare le ossessioni «pistarole» di Beppe Grillo, la sua visione complottistica della storia, le sue paranoie.
2) I grillini provengono da esperienze sociali diverse ma sembrano aver trovato un collante nella gergalità. Che è solo un’arma di difesa: quando si subisce lo stress del parlare in pubblico, la mente perde lucidità, la memoria si impoverisce, le labbra vanno in automatico.
Per irridere la gergalità dei grillini lo scrittore Paolo Nori ha proposto un esempio dell’ufficio stampa del comune di Parma: «Il Comune e Infomobility hanno messo in piedi ed organizzato un servizio dandone sempre il massimo risalto ma soprattutto ampliando l’offerta in termini temporali, di quella che fu sempre stata nel passato. La chiusura del periodo di ferragosto risulta il tempo minimo che veniva attuato anche nel passato ed il momento particolare non aiuta certo a disporre di maggiori finanziamenti per fare diversamente, anche se tutti gli sforzi verranno riposti per i prossimi mesi nelle pieghe del bilancio comunale». Sia di lezione!
3) La monotonia. Il più interessante discorso può essere rovinato dalla cattiva esposizione. Un’esposizione senza coloritura, senza accensioni, pause, sottolineature gestuali è un pugno nello stomaco, una sfida alla buona volontà. Incoraggiata dalla piattezza, la noia si mangia tutto: idee, progetti, finalità.
Se le domande del giornalista sono noiose, può succedere, conviene giocare in contropiede per alzare il tono dell’intervento. I grillini sono tendenzialmente monocordi, nelle apparizioni in streaming hanno trasformato il messaggio di chiusura a possibili alleanze in una forma di monotona impunità. La monotonia porta al monologo, la forma dominante con cui i grillini finora si sono espressi: il giornalista è considerato solo un avversario. E se mostra desiderio di approfondire, di insinuare dubbi, di interrompere il monologo, viene respinto in malo modo.
4) La memoria del pubblico televisivo è tanto fragile quanto selettiva. Meglio mettere in conto che molto di ciò che si sta per dire andranno disperse: si eviterà così di dire troppe cose e ci si ingegnerà invece a ripetere con parole diverse i concetti che ci stanno particolarmente a cuore. Il vero segreto di chi va in tv non è di dire tante cose ma di dire, sempre in maniera diversa, poche cose.
Non bisogna essere, o almeno dimostrare di non essere, indifferenti alle sollecitazioni degli interlocutori. Le contestazioni, le puntualizzazioni, le manifestazioni di diversità vanno accettate di buon grado. È nel farle nostre che si dimostra superiorità. Cosa che i grillini non hanno ancora capito, opponendo sempre un muro di ostilità.
5) Si dovrebbe andare in tv soltanto quando si ha qualcosa da dire; altrimenti meglio starsene a casa. Questa è la regina delle regole. Non sapere non è una colpa. Molti grillini hanno dimostrato inconsapevolezza su molti argomenti, fingendo però il contrario. Certo, l’ignoranza è comoda perché giustifica la faciloneria, anzi la rende necessaria e ricercata: è la madre dell’impudenza.
Se si vuole andare in tv e non fare brutte figure bisogna smettere di considerare l’ignoranza come un punto di vista. Quando Crimi sostiene che «Noi non dobbiamo ragionare di strategia politica, di alleanze. Chi dice questo non ha capito niente. Tu, parlamentare, devi dire: sei d’accordo sulla mozione Ogm? Sei d’accordo sul singolo tema?», significa semplicemente che è lui a non aver capito niente. Di politica. E di televisione.
Aldo Grasso