Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 31 Venerdì calendario

QUANDO E’ IL GOSSIP A CAMBIARE LA STORIA

C’ è una celebre vignetta di un magazine ameri­cano degli anni Cin­quanta in cui una don­na sussurra all’amica: « No, no... This isnt’t gossip. It’s the truth».
Che cosa differenzia, se esiste una differenza, il gossip dalla verità? Non è anche il gossip una verità? Qual è il valore del gossip per la civiltà umana? E quanto, accanto o oltre la verità, ha inciso sul corso della Storia? Doman­de attorno alle quali si potrebbe scrive­re un libro. Che infatti è stato scritto, da Paolo Pedote, filosofo. È un saggio dalla bibliografia ricchissima, s’intito­la Gossip. Dalla Mesopotamia a Dago­spia (Odoya) e racconta, in un lungo bisbiglio che risuona fra le praterie dell’indiscrezione e le paludi della dif­famazione - da Satana «il calunniato­re» al voyeurismo del Grande Fratello - la straordinaria funzione sociale del pettegolezzo. Una pulsione umana, troppo umana. E il vizio più antico e diffuso del mondo. Forma particolare di comunicazio­ne in cui la notizia non è verificabile e la fonte è anonima, il gossip divulgan­do fatti privati ha rilevanti effetti pub­blici: consolida le relazioni fra perso­ne che vivono nello stesso gruppo, è un’efficacissima strategia di control­lo del Potere, è l’origine di importanti mutamenti nei costumi delle civiltà, ed è anche uno strumento di contro­potere messa a punto nei secoli dalle donne per contrastare l’egemonia maschile. Dalla Eva biblica ai proces­si dell’Inquisizione, dalle polizie se­grete al Watergate, la Storia, come è noto, è stata «fatta» più da segreti, insi­nuazioni, delazioni e gole profonde che dai documenti ufficiali.
Robin Dunbar, antropologo che ha studiato a lungo gli insediamenti omi­nidi di 250mila anni fa, sostiene che il pettegolezzo fin dalla notte dei tempi sia stato una manifestazione di coin­volgimento e contatto reciproco essenziale per la vita sociale dell’uomo. E questo perché assolve funzioni im­por­tanti per l’affermazione e la condivisione dei valori della comunità stes­sa, proprio come il grooming per le scimmie, ovvero l’attitudine dei pri­mati a ripulire i propri simili dai paras­siti. Dall’Uomo di Neandertal a Fabri­zio Corona, lo spulciarsi o il «fare le pulci» all’altro è un atto fondamenta­le per rafforzare la struttura sociale di un gruppo di esseri umani. In termini più darwiniani, il gossip è la soluzione attraverso cui l’uomo ha mantenuto il controllo su comunità, reali o virtuali, sempre più vaste.
La Bibbia avvertì l’uomo: la calun­nia è figlia di Satana (mentre San Pao­lo insisteva sul fatto che il pettegolez­zo è una pericolosa prerogativa fem­minile). E anche il Talmud mette in guardia sul fatto che «Lo spirito fidato nasconde ogni cosa». Ma l’uomo, al si­lenzio preferì la parola: detta a mezza voce, bisbigliata, accennata. Mezza verità e mezza falsità, insieme, fanno un’informazione micidiale.
Già i muri di Ercolano e Pompei, co­me i cessi degli autogrill ieri e alcune bacheche di Facebook oggi, riferiva­no di fatti di letto e di denaro altrimen­ti indicibili. «Gennaro lecca il mem­bro», «Romula lo succhia al suo ama­to», «Hermeros scopò qui con Philete­rus». La letteratura latina utilizzava vo­ci di corridoio per intrecciare l’ele­mento politico a quello poetico, deri­dendo le alte cariche pubbliche. I can­ti dei soldati di Cesare ci hanno tra­mandato la sua calvizie e la sua omo­sessualità. Gaio Svetonio, oltre che storico insigne, fu una «suocera» terri­bile, senza le malignità del quale ci sa­remmo persi molto della storia di Ro­ma. Del resto, la Grecia inventò sì la de­mocrazia, ma pure - con Diogene - la
dossografia: e le opinioni, come si sa, tengono inevitabilmente conto di di­cerie, affermazioni non verificate, aneddoti, «si dice»...
Si dice che la storia della Chiesa e del papato sia costellata di scandali di ogni tipo, riferiti da cronisti che racco­glievano voci e «confessioni». Si dice che i trovatori (da trobar, inventare...) componessero le loro opere ispiran­dosi ai pettegolezzi di corte e alle sto­rie piccanti raccontate tra castelli e monasteri. Si dice che Dante spettego­lasse - con risonanza universale - sui gusti sessuali del suo maestro Brunet­to Latini. E si dice che Machiavelli ma­lignasse, con gli amici, sui nemici in lettere private piene di «maialate» (co­me le definì Giovanni Papini). Così co­me si d­ice che re e regine di Francia fu­rono fatti e disfatti dalle chiacchiere di Versailles e dai pamphlet anonimi, e che veleni, venticelli e veline costella­rono la nascita, la vita e il tramonto di tutte le dittature della storia, fino al Fa­scismo, alla Cina di Mao e alla Ddr. Tutti sono interessati alle vite degli al­tri.
Questo sul versante delle rivelazio­ni «private». A quelle pubbliche pen­seranno le gazzette, i magazine alla Vanity Fair, i tabloid scandalistici, i pa­parazzi della Dolce Vita e quelli che fo­tografarono Lady Diana, prima e do­po la morte.
Scusaci, principessa. Sen­za citare Hollywood, la fabbrica dei so­gni e del gossip. Oltre c’è (solo) il web, regno di mezze verità e mezze menzo­gne, dove si trova tutto: calunnie che uccidono, il politainment che rende le vite dei potenti più importanti dei lo­ro meriti, e la (contro)informazione al­la Dagospia: una fortunata forma di grooming giornalistico che spulcia le miserie del potere e quelle umane.