Giorgio Boatti, il Venerdì 31/5/2013, 31 maggio 2013
C’ERAVAMO TANTO AMATI
MILANO. Braccia, braccia e ancora braccia: nell’Italia del 1963, quella del miracolo economico, le fabbriche crescono e la manodopera non basta mai. Le imprese vanno a caccia di competenze: per i migliori, il posto di lavoro è assicurato già alla vigilia del diploma.
L’Italia dei primi anni Sessanta è un operoso alveare, un cantiere che non conosce soste. Enrico Mattei, il fondatore dell’Eni, illustra la sua filosofia delle assunzioni a Vittorio Valletta, presidente della Fiat dal 1946 al 1966: «Li assumo quando li trovo, anche se non ne ho bisogno. Perché, quando ne ho bisogno, non li trovo più...». Nel 1958 l’industria ha sorpassato l’agricoltura come numero di occupati.
L’espansione produttiva determina la più massiccia migrazione interna mai registrata; tra il 1955 e il 1970 sono 24 milioni gli italiani che cambiano residenza, spostandosi da un Comune all’altro. In pratica un italiano su due cambia casa. Abbandona la campagna per la città, per la metropoli. Lascia le località, grandi e piccole, del Sud e si dirige dove le fabbriche continuano a crescere, al Nord.
Lavorare!
Ai bambini delle elementari, arrivati dal Meridione assieme alla famiglia con i treni della speranza, il Comune di Milano mette tra le mani, il primo giorno di scuola, un opuscolo. Spiega loro, in poche e semplici parole, dove sono arrivati: «Chi viene ad abitare qui impara che bisogna lavorare con tenacia, con buona volontà, con concordia, con coraggio, con sacrificio: lavorare!»,
Più che un consiglio è un ordine: il punto esclamativo lo chiarisce a sufficienza. Indiscussa capitale del boom è Milano, incoronata non dalle parole o da qualche investitura politica, ma dai numeri: il reddito pro capite dei milanesi è il doppio del reddito medio nazionale, quasi la metà delle società per azioni operano tra i Navigli e il Duomo, in città ci sono più supermercati che a Parigi e, nei quartieri della periferia, alla Comasina per esempio, il 90 per cento delle famiglie possiede un televisore. Il biglietto da visita della città è il grattacielo progettato da Gio Ponti per la Pirelli, che vi si installa nel 1961. Dovrebbe far capire, anche al primo sguardo di chi scende dalla Stazione Centrale, le nuove ambizioni di Milano che, non a caso, alla vigilia della nascita della Comunità economica europea, si è candidata a sede degli organismi comunitari. Vincerà Bruxelles.
Sua maestà
la Fettina
Nei primi anni Sessanta l’Italia è un Paese dove tutto cambia, tutto cresce e si rinnova. Sono in movimento le gerarchie sociali e bisogna dare una spolverata alle vecchie regole del galateo. Innanzitutto via la parola padrone: «Offende l’orecchio dell’interessato e degli eventuali presenti. Si dirà titolare, principale...» consiglia il manuale di Graziana di Tralles Come farsi una perfetta educazione pubblicato nel 1961. Gli operai sono diventati tanti: vanno trattati con riguardo.
Alla padrona di casa che accoglie l’idraulico, l’esperta di bon ton dà consigli precisi: «Non lo scoraggi con critiche. Gli porga i ferri del mestiere con zelo d’apprendista. Gli offra una sigaretta...». Almeno all’inizio i rapporti più difficili, in società, sono tra i vecchi padroni e i nuovi padroncini venuti dal nulla, quelli che in un battibaleno hanno messo su la fabbrichetta e, come Giorgio Bocca in un memorabile reportage su Vigevano, ammucchiano «soldi per fare soldi per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste».
Profitti alle stelle; i salari salgono e i consumi crescono per tutti. Spuntano i supermercati anche in provincia e spariscono, dai negozi, i «libretti della spesa», dove l’Italia che stentava a tirare fine mese faceva segnare le compere acquistando a credito.
Nelle case, anche in campagna, arrivano l’acqua corrente, l’elettricità, il fornello a gas: nel giro di pochi anni fanno la loro comparsa anche la lavatrice, il frigorifero. La regina del frigorifero diventa la fettina: il consumo pro capite di carne bovina raddoppia in pochi anni. Nel dopoguerra era di 4-5 chili, negli anni Cinquanta si spinge a 9 chili ma nel 1960 è già di 13 e nel 1966 sale a 20: pressoché ai livelli attuali.
Addio melodia,
benvenuto Diabolik
Oltre al «libretto della spesa» batte in ritirata anche il «vestito della festa»: con l’imporsi della grande distribuzione ci si veste con gli abiti confezionati dalla grande industria (Lebole, Facis, Marzotto). Gli italiani prendono gusto a vestirsi bene ogni giorno, non solo la domenica e per strada è sempre più difficile distinguere la collocazione sociale delle persone dall’abbigliamento.
Lungo le vie spariscono i mendicanti che chiedono la carità mentre dai bar si impone la musica diffusa dai jukebox: i cantanti italiani travolgono quelli stranieri e, mentre per i melodici comincia il declino, trionfano gli urlatori – un certo Celentano per esempio – e i cantautori. Il grammofono detta legge tra giovani che, solo nel 1963, comprano 30 milioni di dischi. I preferiti? Adriano Celentano, Gianni Morandi, Mina, Milva, Giorgio Gaber, Bobby Solo, Rita Pavone.
Dischi ma anche maggiore familiarità con istruzione e cultura: dal 1962 entra in vigore la scuola dell’obbligo fino ai 14 anni.
Si comprano più quotidiani di adesso, le enciclopedie splendidamente illustrate sono diffuse in edicola (la prima a comparire è stata Conoscere, realizzata dai fratelli Fabbri) con tirature vertiginose. Arrivano anche i libri tascabili, sono gli Oscar della Mondadori; per gli appassionati di fumetti le sorelle Angela e Luciana Giussani creano Diabolik: un successo clamoroso. La televisione, in bianco e nero, incatena gli italiani davanti al piccolo schermo con quiz o varietà come Il Musichiere ma anche con programmi di divulgazione culturale e sceneggiati tratti dai classici della letteratura.
Collezionisti di record
Sono numeri da record quelli che sintetizzano il miracolo italiano e stupiscono il mondo: il ritmo di crescita di quegli anni faceva dell’Italia l’equivalente del terzetto formato da Brasile, India e Cina che detta i ritmi dell’espansione globale. Alla lira nel 1960 va l’Oscar della valuta più stabile. In quel periodo il Pil cresce al ritmo del 7 per cento annuo, i consumi dell’8 per cento, mentre investimenti industriali ed esportazioni fanno del made in Italy una delle economie più competitive del mondo. In dieci anni, tra il ’57 e il ’67, l’Italia decuplica la produzione di frigoriferi imponendosi dietro a Stati Uniti e Giappone. Lo stesso accade nel comparto delle lavatrici e delle lavastoviglie: gli elettrodomestici italiani in Occidente sono i più apprezzati mentre, sul fronte della chimica, Giulio Natta viene insignito del Nobel per le ricerche sui polimeri che rivoluzionano le fibre tessili e l’impiego della plastica. Olivetti si impone sul mercato delle macchine da scrivere; poi, dalla fabbrica di Ivrea, esce la Divisumma, il primo calcolatore elettrico automatico che vende 6 milioni di esemplari.
Tutto avviene con impressionante velocità, negli anni del miracolo. Sgomma anche l’industria automobilistica: le utilitarie della Fiat, la 500 e la 600, contribuiscono a quintuplicare – da un milione a cinque milioni – in pochi anni le auto in circolazione nella penisola.
La rivoluzione delle donne
Gli italiani, sulle quattro ruote, cominciano a scoprire il loro Paese: le vacanze non sono più un privilegio per pochi. Buona parte della penisola adesso può essere percorsa lungo l’Autostrada del sole, 761 chilometri che collegano Milano a Napoli: l’opera è stata portata a termine in pochi anni, dal ’58 al ’64, e accende di ammirazione il mondo intero. Ma anche altre realizzazioni segnano il dinamismo del Paese: il Settebello, il treno dall’aerodinamico profilo che collega Milano con Roma batte ogni record di velocità.
A spingere per l’innovazione è l’industria pubblica: con la nazionalizzazione dell’energia elettrica, l’Enel garantisce l’elettrificazione di ogni località del Paese, anche le più isolate, mentre la compagnia telefonica di Stato, subentrata alle concessionarie private, nel giro di pochi anni – precedendo altre nazioni industrializzate – introduce la teleselezione integrale su tutto il territorio della penisola.
Dentro il miracolo ha inizio, silenziosamente, un altro miracolo: è quello delle donne che cominciano a giocare un ruolo rilevante nella vita produttiva e sociale. Il boom porta a lavorare stabilmente nelle fabbriche e nel terziario oltre 6 milioni di donne che, passo dopo passo, vanno ad occupare ruoli professionali un tempo riservati pressoché esclusivamente agli uomini.
Nelle università e nelle scuole, nelle fabbriche e nei tribunali, negli ospedali e negli istituti di ricerca le donne cominciano la loro lunga marcia verso un’effettiva parità. Le più giovani si riconoscono in una ragazzetta, Rita Pavone, che – scrive qualcuno – «canta con rabbia, quasi con ferocia»: nell’estate del 1963 vende due milioni di dischi. Per Pasolini quel mondo di canzonette è «sciocco e degenerato... profondamente corruttore».
È il tempo, scriverà anni dopo, della «scomparsa delle lucciole». Il prima e il dopo in cui andrà suddivisa la storia del Paese. Le lucciole, dopo tanti anni, sono ritornate. Il miracolo, invece, non ancora.
Giorgio Boatti