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 2013  maggio 30 Giovedì calendario

CONTINUA IL TIRO AL RICCO E BRAVO «GALERA PER DOLCE E GABBANA»

Libération pochi mesi fa in prima pagina dedicò la copertina a una foto di Bernard Arnault con il se­guente strillo: «Togliti di mezzo, ricco co­glione». Parolaccia compresa ed esplici­ta. Era il periodo in cui il presidente della Repubblica francese aveva deciso di ele­vare la tassa sui redditi più alti al 75 per cento. E il numero uno di Lvmh, il conglo­merato del lusso più importante del mon­do, aveva annunciato il suo espatrio. In Italia siamo più sofisticati e se volete me­no sinceri. I ricchi ci fanno ribrezzo. Ma non lo diciamo in modo esplicito. Lo sussurriamo a noi stessi nei più invidiosi re­tropensieri. Chi ha fatto soldi in Italia è un mascalzone. Pensateci bene. Non c’è costruttore che non si sia arricchito ce­mentificando le nostre, prima, splendi­de periferie. Non c’è stilista che non sia un evasore fiscale. Non c’è industriale che non abbia inquinato e smazzettato. No, da noi non c’è il coraggio di dare del «coglione» al ricco che scappa. Da noi c’è un contesto ambientale più subdolo, ma­chiavellico, tricky. Ci nascondiamo die­tro sorrisetti infami contro chi ce l’ha fat­ta. E invece no. Bisognerebbe ribaltare tutto. Chi ha fatto soldi in Italia è un fenomeno. È il nostro John Galt, l’eroe nascosto di Ayn Rand. Ieri un pubblico mi­nistero ha chiesto più di due anni e mezzo di carcere per Dolce e Gabbana. Ovviamente per frode fiscale. Sicuramente c’è qualche legge a cui si appiglia. D’altronde proprio ieri il segretario della Ci­sl Bonanni ribadiva la necessità di inasprire le pene detentive per gli evasori. Bravi. Buona idea. Nel frattempo la Cassazione ha di fatto ampliato a dismisura il re­ato di frode fiscale, attraverso il principio tutto italico dell’abuso del diritto. Ve la facciamo sempli­ce: un comportamento fiscal­mente legittimo diventa vietato se non ha alcuna motivazione economica. Ovviamente a decidere della motivazione c’è un giu­dice. Figlio di quella mentalità di cui parlavamo prima. Sì. Buona idea: sbattiamo in galera Dolce & Gabbana. E l’azienda, già che ci siamo, diamola in mano a qual­che professionista nominato dal Tribunale. Forza, avanti. Che poi il lavoro ce lo daranno loro. D’al­tronde che volete che sia la moda per l’Italia? Un branco di sartini senza né arte né parte, bravi solo a evadere il fisco. Nel frattempo negli ultimi quattro anni Apple ha fatto 74 miliardi di utili (circa venti volte l’introito annuale del­l’Imu sulla prima casa) e ha paga­to tasse per 44 milioni, meno del tre per cento, grazie alle sue strut­ture irlandesi. I campioni nazio­nali delle nuove tecnologie (e con Apple, stesso discorso vale per Facebook, Microsoft, Twit­ter, Intel, Paypal e Tesla) gli americani sanno come difenderli. E quelle quattro cose che abbiamo noi? In galera.
Ma andiamo oltre. Vi sembra normale l’accanimento giudizia­rio del caso Riva? Galera preventi­va, richiesta di spegnimento del­la fabbrica, poi di esproprio, e an­cora 1,2 miliardi di sequestro fi­scale e poi, come se non bastas­se, 8,1 miliardi di sequestro per equivalente. E la pena di morte? Vabbè, i Riva ormai non li difen­de più nessuno. Prendiamo degli imprenditori che piacciono. I Be­netton. Il ministero dell’Ambien­te si è costituito parte civile per un supposto danno ambientale per la Variante di Valico e ha chie­sto un rimborso di 800 milioni di euro alla loro società Autostrade. Il 10 per cento del valore di Borsa.
Altro che politica industriale. In Italia manca rispetto e cultura dell’impresa. Che non è il nostro nemico. Ma è l’unico datore di la­voro che fa crescere un Paese.