Claudio Gallo, La Stampa 31/5/2013, 31 maggio 2013
L’ANTI-PSICHIATRA FA RIDERE. PERO’ ALLA FINE FUNZIONA – A
volte le cose sembrano congiurare a un senso nascosto, come se sotto all’onnipotente caso, padrone delle nostre vite, ci fosse un significato. Jung chiamava questi momenti «sincronicità», l’ormai invecchiata filosofia della New Age vedeva queste coincidenze significative dappertutto. In Gran Bretagna Adrian Laing, figlio di Ronald, guru dell’antipsichiatria negli Anni 70, ha appena pubblicato un romanzo (da Gibson Square) dove, tra nostalgia e ironia, ambienta nel presente le tematiche paterne, proprio mentre l’associazione britannica degli psicologi attacca quella degli psichiatri, accusandola di ridurre la cura delle malattie mentali a una questione di pillole. Non succedeva da trent’anni: le scienze umane contro la chimica.
Incontriamo Adrian Laing, 55 anni, moglie e quattro figli, sulle cime boscose di Hampstead Heath, da cui si vede il profilo frastagliato di Londra. Adrian vive in questo piccolo paradiso e qui ha ambientato il suo romanzo, Rehab Blues , tradotto brutalmente: «Il blues della riabilitazione». Il vestito blu elegante segnala la sua professione di avvocato. «Ho dovuto adattarmi - dice - a una società in cui vali quello che guadagni». Prima di misurarsi con la scrittura creativa, Adrian ha pubblicato una biografia del padre, vivida e per nulla agiografica, in cui assieme al genio emergono anche le ombre dello psichiatra di Glasgow.
Mentre sorseggia un tè, i capelli scompigliati dal vento, sembra rassegnato a esprimersi attraverso il padre. Il colloquio è un incontro a tre, l’ingombrante genitore rivive nelle parole del figlio. Il romanzo parla di un centro alternativo di terapie psicologiche, «The Place», dove gli eroi del giorno d’oggi, calciatori, musicisti, attori, vanno a cercare di mettere insieme i cocci delle loro personalità infantili, mentre intorno ronzano i giornalisti dei tabloid a caccia di scoop. «La gente è ossessionata dalla celebrità e le celebrità sono ossessionate dalla terapia psicologica», dice Laing. Nonostante il boss della clinica si chiami David Cooper, come l’altro celebre guru inglese dell’antipsichiatria, è facile vedere in lui il volto di Ronald. L’ironia è impietosa, ma alla fine l’approccio psicologico alternativo ne esce intatto. «È vero - continua -, dopo la biografia volevo scrivere qualcosa di divertente. Le cure di The Place fanno ridere ma alla fine funzionano».
Adrian ricorda quando Franco Basaglia andava a trovare Ronald. «Visitò Kingsley Hall, che mio padre aveva trasformato in un centro per la cura dei malati mentali. Ronald era molto interessato al lavoro di Basaglia, ma tra i due non scoccò mai la scintilla. Basaglia aveva un’impostazione molto politica, era più vicino a David Cooper. Cooper era anti-qualsiasi-cosa, la durezza e la violenza delle sue critiche contrastavano curiosamente con la sua gentilezza e il tono di voce vellutato. Credo che la loro idea di abolire tutto e lasciare i malati senza assistenza sia stata disastrosa».
R. D. Laing, invece, non era affatto interessato alla politica, anche se negli Anni 70 era comune arruolarlo nell’estrema sinistra. «Mio padre da giovane aveva letto molto Marx e certo in quei tempi ne fu influenzato. Di fatto, la critica dello psichiatra come autorità assoluta di fonte al paziente senza diritti porta in sé qualcosa del concetto di alienazione marxiano. Alcuni suoi libri però, come La politica dell’esperienza , furono letti come manifesti politici di sinistra mentre l’autore non li aveva mai pensati in quei termini. Lo disse chiaramente e per questo fu molto criticato. Lui non voleva restare in una nicchia estremistica. Alla fine il prezzo che pagò fu che la sua divenne, all’opposto, una ideologia di moda».
Un libro difficile come l’Io diviso ha creato intorno allo psichiatra scozzese alcuni cliché, come quello che la schizofrenia sia provocata dalla famiglia in quanto tale. «Ovviamente - interviene Adrian - non ha mai detto una cosa simile. Apparteneva alla scuola che sostiene come non si possa capire un individuo senza collocarlo nel suo contesto sociale e il primo contesto sociale è la famiglia. La rete complessa dei rapporti famigliari è il terreno dove spesso si sviluppa la malattia. Mi viene in mente la principessa Diana a cui era stato imposto di credere che non ci fosse nulla tra Carlo e Camilla. Devastante». È il messaggio che traspare anche dal romanzo: per vivere, per guarire abbiamo bisogno degli altri, di collocarci in una rete di rapporti sociali. Insomma un elogio di quell’umanità tanto disprezzata dall’individualismo estremo del nostro mondo.