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 2013  maggio 27 Lunedì calendario

LUNGA E DIRITTA LA STRADA DI BERGAMINI VERSO LA MORTE

Il calciatore del Cosenza Denis Bergamini vide per l’ultima volta il mare il 18 novembre 1989. Ai bordi di una statale calabrese, con lo Ionio davanti agli occhi, l’ex fidanzata Isabella Internò al suo fianco, i suoi compagni in ritiro a cento chilometri di distanza e la pioggia sulla testa. Suicidio dissero carabinieri e magistrati. Suicidio improvviso giurò Isabella. Un movimento inconsulto. Una frase: “Ti lascio il mio cuore ma non il mio corpo”. Un tuffo “di quelli che si fanno in piscina” sotto le ruote di un autocarro. Del suo corpo, trascinato secondo le prime ipotesi per quasi 60 metri dall’Iveco carico di 138 quintali di mandarini guidato dal signor Raffaele Pisano, non sarebbe dovuto rimanere quasi nulla. Quando suo padre Domizio scese dalla provincia di Ferrara per il riconoscimento, vide Denis e capì. Un ematoma grande come una moneta sopra l’occhio sinistro, le scarpe pulite, i capelli pettinati, l’orologio con il quadrante e il cinturino in perfette condizioni, il volto sereno. Il corpo, escluse le gravi ferite nella zona del bacino, quasi intatto. Un quarto di secolo dopo, niente è come prima. Esistono ricerche della verità che diventano ragioni per continuare a esistere. Per 24 anni, tra un depistaggio e un omissione, Domizio Bergamini non si è stancato di inseguire una ragione. Ha viaggiato, domandato e speso tutto quel che aveva per restituire al figlio l’onore sporcato da illazioni, condizionamenti e maldestre bugie. Il calcioscommesse, la droga, i loschi giri che in assenza di un movente plausibile, avevano incastonato la morte di suo figlio in una cornice obbligata.
Le indagini private
Ha trovato un avvocato, Eugenio Gallerani, in grado di indagare con coraggio e ostinazione sulle bugie. Gallerani ha incontrato persone che dimenticata la paura, scrostando dal tempo i sedimenti, hanno parlato. Ha messo insieme i tasselli, ottenuto la riapertura dell’inchiesta, dipinto un quadro alternativo. Bergamini non si suicidò, ma, stabilirono i Ris nel 2011, in una messinscena macabra, sotto le ruote del camion, finì già cadavere. Sullo sfondo di un sud immutabile, ancestrale, in cui l’onore, se violato, porta a un solo risultato. Isabella Internò è indagata dalla Procura di Castrovillari per concorso in omicidio volontario. Avrebbe voluto Denis per sempre. Ma Bergamini, di quella ragazza tenace “come l’attak” conosciuta quando lei era ancora minorenne, non voleva più saperne. Lei chiamava, lasciava messaggi in segreteria, pretendeva l’esclusivo dominio su Donato, l’eroe della curva del Cosenza. “Se non posso averlo per me, preferisco che muoia”, disse alla moglie di un ex compagno di squadra. E Denis morì, in una settimana in cui nulla, fino al primo pomeriggio del 18 novembre, sembrava averlo turbato. Si era allenato regolarmente, aveva rilasciato interviste sull’impegno tra il suo Cosenza e il Messina, aveva scherzato, come era solito fare, sui guadagni di quella professione che dalla bassa padana lo aveva portato centinaia di chilometri più in basso, al centro del vecchio stadio San Vito, a sfiorare la serie A: “Diventerò miliardario di questo passo”. Uno stato d’animo diverso da quello che Isabella (20 anni all’epoca dei fatti) raccontò nel descrivere gli ultimi istanti di vita di Bergamini: “Voleva lasciare l’Italia, imbarcarsi da Taranto per le Hawaai (sic), diceva di essere stanco del calcio”. In banca, al momento della morte, Bergamini aveva 52 milioni. Nel portafogli però, nel momento in cui secondo la Internò avrebbe voluto abbandonare il Paese, gli ritrovarono solo 700.000 lire. Le aveva in tasca quando poco dopo le 15,30 del 18 novembre, dopo aver ricevuto una telefonata in albergo che ricorda l’ex compagno di stanza Michele Padovano “lo sconvolse”, Bergamini lasciò il cinema Garden di Rende dove il Cosenza guidato da Gigi Simoni era solito recarsi per affogare la noia del ritiro. Pur conoscendo a memoria la sala da almeno due anni, Denis chiese al massaggiatore dove fosse il bagno e poi si allontanò (il compagno Sergio Galeazzi vide due figure nella penombra) per una commissione che in origine, non sarebbe dovuta durare che pochi minuti. Invece Bergamini si allontanò dal Garden, si mise al volante della sua Maserati, passò a prendere Isabella Internò con la quale la relazione era finita da tempo (lo conferma Gigi Simoni, solo omonimo del tecnico, ex portiere del Cosenza e miglior amico di Denis) e percorse cento chilometri in direzione di Taranto. Arrivò a Roseto di Capo Spulico, venne fermato da una pattuglia dei carabinieri per un controllo e poco dopo, probabilmente costretto a scendere con la forza dall’auto, venne ucciso. Francesco Barbuscio, il carabiniere oggi deceduto che intimò l’alt a Bergamini e poi lo ritrovò cadavere sul ciglio della statale, fu lo stesso militare che redasse la prima planimetria del luogo, omise dettagli essenziali per comprendere la dinamica della morte di Bergamini, tralasciò di interrogare testimoni essenziali e ratificò i particolari più improbabili del decesso. Non si chiese mai, Barbuscio, la ragione di quel corpo in condizioni quasi perfette. Le sue deduzioni, magicamente, coincidevano con le deposizioni dell’autista dell’autocarro Pisano e di Isabella Internò. La giustizia assolse Pisano dall’accusa di omicidio colposo e fino al colpo di scena della sua iscrizione nel registro degli indagati, si sdraiò per due decenni sulla verità di Isabella Internò.
Fine (drammatica) di un rapporto
Denis e Isabella avrebbero potuto avere un figlio. Lei abortì in una clinica londinese nel 1987, dopo 5 mesi e mezzo di gravidanza. Denis avrebbe riconosciuto il bambino, ma si rifiutava di sposarla. Un’intollerabile violazione della liturgia, un affronto per la famiglia di Isabella. In Inghilterra andarono insieme, poi il sentimento, tra alti e bassi, si inquinò irrimediabilmente e nell’estate del 1989, Denis aveva già un’altra relazione con una ragazza delle sue parti. Ci sono spazi da cui fuggire è impossibile. Gabbie senza chiave. Abissi in cui la riemersione non è prevista. Denis era nel gorgo. Tormentato. Braccato. Minacciato. Nelle pieghe della memoria, tra le pagine scure di una storia più nera di un noir, si scorgono uomini che lo prelevano da un ristorante per un chiarimento brusco al riparo da sguardi indiscreti, vestiti bruciati, sinistre sceneggiature degli ultimi istanti così perfette da risultare fittizie. Prima di gettarsi sotto le ruote del camion di Pisano, secondo Isabella Internò, Bergamini non si curò della meteorologia. Pioveva, ma la giacca di Bergamini rimase sul sedile posteriore della Maserati: “Il giubbino non mi serve, fra poco ti accorgerai perché non mi serve, anzi ora vedrai perché non mi serve”. Non gli serviva perché quando venne sormontato dal camion, in posizione supina, Bergamini era già morto. Almeno un’ora e mezza prima di quanto venne dichiarato. L’Iveco, senza alcun danno visibile derivante dall’impatto, gli passò sopra per un solo metro. Sarebbe partito da Rosarno, secondo il “diario di bordo”, ma dalle risultanze successive, al percorso dichiarato, mancavano 54 chilometri. Da dove proveniva davvero? Dove andava? A chi avrebbe dovuto consegnare i mandarini Raffale Pisano, dato per morto per anni a causa di un’utilissima omonimìa e poi “resuscitato” e con un figlio, poi assolto in primo grado, coinvolto in un’inchiesta sulle affiliazioni alle cosche locali? Misteri, dubbi, zone d’ombra. Nella casa di Denis vennero ritrovati i biglietti di auguri per Natale, compilati con un mese di anticipo. Bergamini era un ragazzo preciso, amava la vita, non aveva alcuna intenzione di uccidersi. Forse, resosi conto del pericolo, tentò di fuggire. Se avesse ricevuto un colpo di arma bianca in zona iliaca, forse in grado di recidergli l’arteria, viste le condizioni del bacino, non si sarebbe mai potuto rilevare. Per simbolismo, nella ridda delle supposizioni, si ipotizzò che fosse stato evirato. Non accadde, ma gli elementi a disposizione, alterati all’origine, per troppo tempo non consentirono analisi ulteriori. Il torace mostrò imbrattamenti (terriccio e oli pesanti) che non collimavano con il manto stradale. Forse Bergamini venne ucciso in una piazzola quasi adiacente al luogo in cui venne ritrovato e poi spostato in avanti per dare verosimiglianza all’accaduto. Il professor Francesco Maria Avato, medico legale di Ferrara, incaricato di una perizia nei giorni immediatamente successivi dal decesso, si incaricò scolasticamente di mettere in evidenza le cinque fasi di un investimento tipico, ciascuna caratterizzata “da peculiarità morfo-lesive”. In nessuno delle cinque tipologie poteva inserirsi il presunto impatto di Bergamini con il camion, semplicemente perché l’impatto non era mai avvenuto. A distanza di 24 anni rimangono le domande. Il cui prodest così presente nella lunga notte italiana. Perché il carabiniere Barbuscio dichiarò il falso? Perché Isabella Internò, nonostante il balletto di dichiarazioni in evidente contrasto tra loro, venne creduta? Perché le intercettazioni disposte dalla Procura di di Cosenza nel 1994 non vennero mai effettuate dalla questura? Perché, perché, perché. Carlo Petrini, l’ex pallonaio di Milan, Roma e Bologna, il Pedro diventato scrittore di tanta dolorosa memorialistica sul fango del dio pallone si occupò a lungo del caso Bergamini scrivendo un volume per Kaos edizioni che individuava nei loschi affari intorno al Cosenza dell’epoca la chiave per leggere nella giusta luce la morte di un ragazzo di 27 anni che pochi mesi prima avrebbe potuto trasferirsi alla Fiorentina, ma preferì rimanere a Cosenza per un’ultima, fondamentale stagione di maturazione. Petrini aveva capito molto ma non tutto. Non aveva compreso a cosa possono portare amore, delusione, risentimento e rancore, quando come nei romanzi di Sandor Marai, si incontra la “donna giusta”. Al funerale di Denis venne tutta la città. Il parroco, i tifosi, gli amici. Fumogeni, cori, voci. Isabella piangeva e gridava perché.