Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 31 Venerdì calendario

ANCHE AL QAEDA SCIVOLA SULLE NOTE SPESE TRUCCATE

Un capobastone inaffidabile, ingestibile e dalla contabilità piena di ombre. È il ritratto che esce da una lunga lettera di reprimenda, dieci pagine, che i capi di Al Qaeda nel Maghreb (Aqmi) hanno inviato un anno fa a Moctar Belmoctar, meglio noto come Il Guercio, la volpe del deserto che ha messo a segno rapimenti e blitz spettacolari contro gli occidentali in tutta l’Africa settentrionale. L’ultimo: l’assalto alle miniere di uranio della francese Areva in Niger che ha bloccato la produzione per almeno due mesi. O l’attacco al campo di estrazione del gas a In Amenas, a gennaio in Algeria, con bilancio finale di 67 vittime, di cui 37 occidentali e giapponesi.
Il Guercio l’ha scampata anche quella volta, mentre il suo commando si è immolato contro le truppe scelte algerine. Oramai è un cane sciolto, seguito da un gruppo di fedelissimi affascinati dal suo ardire e dai bei soldini che arrivano dai rapimenti. Ma con la leadership dell’Aqmi la rottura è totale. Anche perché, nella lettera di reprimenda, ritrovata dall’«Associated Press» in un edificio abbandonato dai jihadisti nel Nord del Mali, si esprimono dubbi sulla consistenza del riscatto ottenuto per il rilascio del canadese Robert Fowler nel 2008, «solo 700 mila euro». Una velata insinuazione al Guercio: non è che te ne sei intascati un po’?
Possibile, vista la personalità di un comandante in grado di far girare le scatole persino al vertice della più pericolosa organizzazione terroristica mondiale. Dalle critiche e istruzioni esce fuori però anche una mentalità aziendale, e burocratica, della ditta Al Qaeda. I capi locali debbono presentare una dettagliata nota spese ogni mese, pena la sospensione dei finanziamenti dall’ufficio centrale, che raccoglie le «elemosine» caritatevoli dai sostenitori, soprattutto nei Paesi del Golfo. A Belmoctar i capi rimproverano anche di «non rispondere al telefono quando viene cercato», di saltare le riunioni e soprattutto di non obbedire agli ordini e di «voler soltanto fare il capo».
Ma è l’affaire Fowler a bruciare di più. Il diplomatico doveva servire da merce di scambio con gli americani sullo scacchiere Afghanistan-Pakistan. Belmoctar ha invece «voluto agire da solo» e ha ottenuto una somma «ridicola». Tesi confermata dagli esperti di intelligence di Stratfor, che valuta in 3 milioni il riscatto medio pagato dagli Stati occidentali per un loro ostaggio in mano a islamisti. La delusione per la cessione di Fowler senza contropartita arriva ai capi di Aqmi persino dal quartier generale, situato nel Khorasan, antico nome arabo per la regione Af-Pak, dove sta lo sceicco Ayman Al Zawahiri. Dalle pagine ritrovate emerge la lontananza dell’Aqmi dai capi assoluti, dai quali hanno ricevuto, nonostante le «molte lettere spedite», solo «qualche messaggio».
Il Guercio stava invece per fondare il suo gruppo, «Coloro che si firmano con il sangue», protagonista degli attacchi spettacolari successivi. Dopo che probabilmente aveva provato a scalzare, e far fuori, senza successo, il leader dell’Aqmi, Abdelmalek Drukdel. Altro che non rispondere al telefono.