Michele Concina, il Fatto Quotidiano 27/5/2013, 27 maggio 2013
GIACOMO, IL CAMPANARO DI ROMA
A pochi mesi di vita, Giacomo Diano era un bambino tranquillissimo. Smaniava solo in una situazione: quando sentiva tintinnare le campane della parrocchia. Bisognava caricarlo di corsa sul passeggino, portarlo sotto il campanile di Santa Maria Goretti; allora si acquietava, rapito, col faccino già largo fisso all’insù. Ora Giacomo è un ragazzone romano di 26 anni, e delle campane ha fatto una ragione di vita. Ha studiato pianoforte, suona l’organo ogni giorno in una chiesa, la domenica in altre quattro. Tutto il tempo che avanza lo usa per studiare le campane, censirle, indagare la loro storia, fotografarle, ripararle, suonarle a mano o programmarle al computer, scovare in giro per il mondo quelli che condividono la sua passione.
SI DICHIARA CATTOLICO praticante, ma la sua chiesa preferita è protestante. Per forza: San Paolo entro le mura ha la bellezza di 27 campane, altro che le tre o quattro delle solite parrocchie. Con quelle, uno bravo può davvero sbizzarrirsi nel carillon, come i campanologi chiamano l’esecuzione di melodie vere e proprie. Così nel 2011, durante i festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia, Giacomo le ha usate per un concerto a base di inno di Mameli e canzone del Piave; e alla vigilia di Natale suona le musiche della tradizione. Il suo appuntamento fisso è a San Silvestro. Lì il sabato pomeriggio Diano e i quattro seguaci che ha in città – tre di loro sono studenti fuori sede – si ritrovano a suonare insieme, a mano, le tre campane che hanno riparato a proprie spese. Ma la rete dei contatti è molto più larga. “Ho rapporti con appassionati dalla Finlandia al Messico”. La terra promessa? “Senz’altro l’Inghilterra; cerco di andarci ogni anno. Laggiù c’è una tradizione magnifica, in uno stile chiamato Change ringing. Si suona in squadre, i concerti durano anche due ore, e nessuno che protesta. Non sono neppure gelosi della loro arte: se chiedi, come faccio io, t’insegnano tutto quel che sanno”. Perché suonare le campane è una faccenda semplice, banale, solo per i profani. Caratteristiche degli strumenti e tradizioni locali si combinano a generare, soltanto in Italia, almeno una dozzina di tecniche diverse. C’è lo stile alla veronese, quelli all’ambrosiana e alla bergamasca. C’è lo “slancio” romano e il suono “a campane ferme” diffuso al Sud. C’è la maniera umbra, quella lucchese, quella bolognese. Stili che si confrontano, oltre che sulla Rete, quando molte centinaia di campanologi si radunano una volta all’anno in qualche parte d’Italia. L’appuntamento 2013 si è tenuto sabato scorso a Sansepolcro (Arezzo).
“Io mi sono divertito moltissimo due anni fa, a Cividale del Friuli. Una fabbrica aveva mandato un camion con un bell’assortimento di campane. Me ne impadronii e andai avanti per ore a suonare Vasco Rossi e Max Pezzali”. Perché Giacomo Diano, benché frequenti le chiese per lavoro e i campanili per passione, del sagrestano non ha nulla. La sua pagina Facebook trabocca di campane, naturalmente, ma qua e là spuntano foto e video piuttosto sapidi. Le campane, spiega, sono uno dei pochi prodotti che i cinesi finora non hanno neppure tentato di copiare. C’è una lunga tradizione italiana, dalla fonderia romana Lucenti – attiva a Borgo Pio, mezzo passo dal Vaticano, dal 1565 al 1993, quando fu sostituita da un qualunque ristorantone per turisti – alla celeberrima Marinelli di Agnone, in Molise, che sfoggia lo stemma pontificio.
“PERÒ LA MIGLIORE di tutte, ormai, è una fabbrica austriaca, la Grassmayr di Innsbruck. La qualità del bronzo è fenomenale, ma i prodotti sono carissimi”. Giacomo lo ha sperimentato quando ha pagato, quasi del tutto di tasca sua, l’installazione di una campana a Terzeville, il paesetto in provincia di Rieti dove la sua famiglia va in vacanza da qualche anno. “Guardi qui: 1.246 euro per una campanetta di 28 centimetri in fa diesis. Ma quando sono arrivato lì la prima volta e ho sentito scampanare un nastro registrato mi sono venuti i brividi; ho deciso che così non potevo andare avanti”. La moda delle registrazioni suscita in Diano lo stesso orrore retrospettivo che in altri è provocato, per dire, dalla Bicamerale. “Imperversava negli anni ’80 e nei primi ’90. Poi la Conferenza episcopale ha imposto che ogni nuova chiesa fosse dotata non solo di campanile, ma anche di campane”. Peccato, aggiunge, che siano cadute in disuso le campane civili. Per esempio quelle che nelle scuole, ancora poco prima della guerra, annunciavano con cadenze differenziate i cambi delle ore, la ricreazione, la fine delle lezioni. Una delle poche ancora utilizzate è quella di Montecitorio, una Lucenti del 1838. Suona quando il nuovo presidente della Repubblica va alla Camera per il giuramento. “Sul bordo della campana c’è una citazione biblica interessante. Dice: amate la giustizia, voi che giudicate sulla terra”.