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 2013  maggio 31 Venerdì calendario

ITALIA A MANO ARMATA

«Cane-carrello- grilletto... Canec arrello grilletto...». L’addetto in camice nero sgrana una specie di litania mentre le braccia meccaniche assemblano i pezzi del
ferro sparandoli a raffica l’uno nel corpo dell’altro. «Eccola qua, calda e fumante». Il parto della mitica
92, gioiellino di casa Beretta, la pistola semiautomatica più conosciuta e utilizzata nel mondo. Impressione ora che è saldata: caricatore a tamburo da 8 colpi, bombo-letta di CO2 da 12 grammi. Chi la impugnerà? E quando il grilletto arretrerà, che succederà? La
92 — una delle 10 milioni di armi legali che girano in Italia, senza tenere conto del mercato clandestino e delle matricole abrase, provenienza molto Est europeo — si materializza insieme alle sorelline di fuoco. Pistole. Carabine. Fucili. Da caccia, da tiro, da difesa, da offesa. Da strage o da borsetta. Beretta, a Gardone Val Trompia: 1.500 pezzi al giorno, 550mila l’anno. 62 all’ora. Ogni pezzo, un destino. Che a volte sfugge. Va storto.
Assistere alla nascita di una pistola non è come vedere sbocciare una vita, un’auto, una mozzarella. L’unica speranza che puoi riporre in questa genesi è pura retorica. Che l’attrezzo resti disoccupato. Il più a lungo possibile. O, in caso, che si limiti a fungere da deterrente. Incutere timore, e basta.
Non come la Glockdel poliziotto che a Padova ha piantato un proiettile in testa alla moglie e poi si è suicidato (temeva la fine del matrimonio). Non come la semiautomatica del 25enne romeno che è entrato ubriaco in una pizzeria di Thiene e ha esploso due colpi e solo per caso non ha preso nessuno. O la Stoeger-Cougardi Andrea Zampi, imprenditore di Perugia: la compra il 6 marzo grazie a una licenza per uso sportivo. Il giorno dopo falcia (prima di uccidersi) due impiegate negli uffici della Regione Umbria (che gli aveva negato un finanziamento).
E poi la calibro 7,65 di Luigi Preiti, il cowboy di Palazzo Chigi. Beretta anche la sua, e non c’è da stupirsi perché, oltre ad armare le polizie italiane, americane, francesi, spagnole, turche, canadesi, a mettere il sigillo su medaglie olimpiche e fare divertire schiere
di Rambo della domenica, la prima e più antica azienda di armi e munizioni d’Italia (dal 1526) è avvezza alla regola non scritta del mercato: pistole e fucili finiscono pure e molto nelle mani sbagliate. Ed è in quelle mani che fanno più notizia, più disastri. Secondo i dati dell’Anpam (Associazione nazionale dei produttori di armi e munizioni sportive e civili) i porto d’armi sportivi (fucili e pistole) sono aumentati: dai 178mila censiti dall’Eurispes nel Rapporto Italia 2008, agli oltre 200 mila attuali. Tiratori solo per sport? Tutta gente che preme il grilletto solo in campi e poligoni? «Negli ultimi anni c’è stata una restrizione dei controlli per il rilascio del porto d’armi per difesa — ragiona Maurizio Marinelli, direttore del Centro studi sulla sicurezza pubblica — . Questo ha fatto sì che chi vuole armarsi opti a volte per il porto d’arma sportivo, più accessibile. Purtroppo in alcuni casi si scopre che chi ha usato l’arma per usi “altri”, aveva, appunto, la licenza per uso sportivo. In generale — aggiunge Marinelli — per dominare la paura e l’insicurezza, legata all’aumento della violenza,
alle rapine e agli assalti in casa, gli italiani ricorrono all’arma come deterrente. Avercela in casa li fa stare più tranquilli».
La fabbrica delle armi è una striscia di terra che attraversa il dorso della Val Trompia. Negli anni Settanta la chiamavano Valle d’Oro perché aveva più industrie di qualsiasi altra provincia italiana. Valle dell’oro uguale valle del piombo. Qui la crisi non morde perché sotto il fiume Mella, in mezzo alle Prealpi bresciane, scorrono le benedette vene minerali che dall’antichità pompano l’attività estrattiva. Gran parte del ferro cavato finisce nella produzione di armi. 50 chilometri per 120 aziende. Il distretto che riempie le fondine di Italia e di mezzo mondo. Gardone Val Trompia, la “Stalingrado delle Alpi”, è amministrata da un sindaco Pd, Michele Gussago. «Qui andiamo fieri del nostro lavoro e della nostra tradizione operaia. Resistiamo alla crisi e le armi danno da vivere. Non importa cosa faccia la gente con le armi». C’è la capostipite Beretta, quindicesima generazione, 480 milioni di fatturato nel 2011. E poi gli altri big: Tanfoglio, Benelli. La Val Trompia del piombo coi suoi 20 comuni macina 7 miliardi di euro di indotto. Il Pil della Basilicata. Capisci perché nella provincia di Brescia due famiglie su sei possiedono pistole o fucili (la media nazionale è di una famiglia su sei); capisci perché la fetta più larga dei 5 miliardi di fatturato del settore è movimentata dalle zampe operose della Leonessa armata (il 90% delle aziende produttrici è qui, fanno il 60% della fabbricazione dell’Ue). Capisci, infine, perché degli oltre 11mila addetti (le imprese in Italia sono 2.264, con le aziende collegate si arriva a un totale complessivo di 94mila impiegati), moltissimi lavorano nel territorio che pure ospita, ogni anno ad aprile, Exa, il salone dell’arma sportiva a uso civile, una media di 45mila visitatori.
Quante armi circolano in Italia? Quante se ne stanno in casa in un cassetto? Il tema è delicato, il sommerso enorme, e la confusione anche. Gli ultimi dati cristallizzati sono quelli del rapporto Eurispes del 2008: le armi legali nel nostro Paese sono oltre 10 milioni. Quattro milioni (una su sei) le famiglie armate, con prevalenza in Lombardia e Piemonte, seguite dal Lazio. Quattro milioni e 800mila (certifica nel 2007 il Dipartimento Armi ed esplosivi del ministero dell’Interno) le persone in possesso di un’arma da fuoco. L’8,4% della popolazione. Almeno tre milioni — sempre secondo Eurispes — gli italiani che hanno denunciato la presenza di armi in casa: ereditate o inservibili.
Il dibattito si pone. I produttori dicono che le nuove norme restrittive e la crisi economica hanno diminuito la quota di armi in possesso dei cittadini e delle licenze concesse («l’Italia può vantare una legislazione tra le più avanzate e serie», dice il presidente dell’Anpam Nicola Perrotti). Sulle licenze non ci piove: ma soltanto su quelle per difesa personale (da 34mila a 27mila). Sono invece aumentati i porto d’armi sportivi (da 178mila a oltre 200mila). Capita con frequenza — dicono i fatti di cronaca — che le armi sportive diventino molto poco sportive. E che un’arma regolarmente detenuta in casa “esca” di casa e non per prendere aria. In mano a impiegati licenziati, amanti frustrati, fidanzati e mariti traditi. Lucca: 23 luglio 2010. Paolo Iacconi fa secchi i suoi ex datori di lavoro e poi si suicida. Aveva il nulla osta per detenere armi, ma solo in casa. Stesso mese: nel Cremasco Riccardo Regazzetti usa il porto d’armi sportivo per comprare una calibro 9 con cui ammazza l’ex fidanzata. Si potrebbero riempire libri interi. «I controlli sono ancora insufficienti — dice Marilena Adamo, già senatrice Pd, oggi presidente delle scuole civiche milanesi — . Nel 2010 è stato approvato il decreto legislativo che ha equiparato di fatto la semplice detenzione al porto d’armi in relazione ai requisiti legali e psicofisici. Ma la diffusione delle armi è un problema crescente, all’origine di molti casi di violenza». Negli Stati Uniti il commercio di armi da fuoco è libero e in ogni famiglia c’è un arma. Le stragi della porta accanto si moltiplicano. Modello da imitare? Da Milano a Torino a Roma le richieste di licenza, in media, sono più che raddoppiate rispetto alla prima metà del 2000. Moltissime vengono rimbalzate. Oltre alla maggiore età servono la fedina penale intonsa e, per inoltrare la domanda al prefetto, una certificazione di idoneità psicofisica e un via libera rilasciato da un poligono di tiro. È che a volte il poligono si trasforma in una strada.