Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 31/5/2013, 31 maggio 2013
JOHN KENNEDY, A 30 ANNI, E A SECONDA GUERRA MONDIALE FINITA, ERA ANCORA UN INCONDIZIONATO AMMIRATORE DI HITLER
Oggi John Kennedy compirebbe 96 anni. Per chi studia (da amateur, sia chiaro) le élite, la Famiglia Kennedy è un pozzo senza fondo, non come gossip, ma in termini di rapporto politica-potere. Oliver Lubrich, professore di letteratura tedesca a Berna, ha curato un libro che uscirà prossimamente, ma del quale la Faz ha anticipato alcune gustose chicche. Sia chiaro, molte di queste notizie erano già note agli specialisti, ma erano annegate nei libri degli storici americani o ben nascoste nelle pubblicazioni agiografiche dei tanti compiacenti biografi impegnati nel raccontare il mito di un uomo che mito divenne ancor prima di fare alcunché. Un po’ come Obama, che divenne premio Nobel ancor prima di iniziare il suo lavoro di Presidente: sconcezze di una banda di parrucconi nordici. La parte interessante del libro è quella che si concentra sul periodo che va dai vent’anni fino ai quasi trenta di John Kennedy, in particolare sul suo rapporto con l’Europa, specie con la Germania. Il libro raccoglie e sistematizza i suoi appunti, i suoi diari susseguenti ad alcuni viaggi compiuti subito prima e subito dopo la guerra.
Non si capisce questa mitica dinastia, dagli orrendi comportamenti umani ma dall’immagine patinata, senza conoscere la storia del fondatore della stessa, suo padre Joe. Costui fece un’enorme fortuna, in borsa e altrove, seguendo pratiche che, quando divenne Presidente della Commissione Borsa e Finanze di Wall Street (nominato da Roosevelt, le cui campagne elettorali lui finanziò abbondantemente con quattrini guadagnati proprio con modalità spesso criminali) dovette definirle illegali, abolendole.
Fu filonazista (nel caso suo si deve scrivere «di leggere simpatie») e antisemita (lo si deve far precedere da «vagamente») ma il massimo del degrado umano lo raggiunse con la figlia Rosemary (lui, gran puttaniere, la giudicò troppo disponibile coi maschi) per cui, a 23 anni, la fece lobotomizzare (ovvio, all’insaputa della famiglia). Vissuto in una famiglia così, nel 1937 il futuro JFK parte per il classico viaggio in Europa, dopo aver ben assimilato una delle teorie politiche delle élite anglosassoni dell’epoca: «È politicamente corretto che il nazi-fascismo domini in Germania e in Italia, il comunismo in Russia, la democrazia negli Stati Uniti e in Inghilterra».
In questo viaggio scrive una sua convinzione definitiva: «Le razze nord europee sono superiori a quelle latine». Razzismo puro. Mi secca sottolinearlo, ma, come si vede, nulla è cambiato: ricordate il volgarissimo «sguardo anti italiano» di Merkel e Sarkozy? Quello è il modo di fare «buu» delle élite giacobine-calviniste. John Kennedy torna in Europa nel ’39, quando sono già in atto le leggi razziali, ma dal diario non pare che le sue valutazioni e le sue simpatie verso il nazismo siano mutate. Eppure suo padre è ambasciatore a Londra, sono noti i rapporti inviati a Roosevelt dall’ambasciatore a Berlino William Dodd. Costui intuì subito come in Germania, attraverso libere elezioni, fosse andata al potere una gang di criminali comuni, e che ciò in fondo al popolo tedesco, salvo la forte comunità ebraica, stava bene.
Un consiglio, leggete un bellissimo libro, uscito lo scorso anno, di Erick Larson, «Il giardino delle bestie». Attraverso i diari di Dodd e di sua figlia Martha (costei era sessualmente vivace come Rosemary, ma Dodd era una persona perbene, Martha visse fino a 84 anni “vivace” fino all’ultimo) che raccontano i loro anni berlinesi, il ’34 e il ’35, e come, attoniti, vedano una delle culle della civiltà europea trasformarsi in un giardino delle bestie. John Kennedy torna in Europa nel ’45 (si avvicina ormai ai 30 anni), quando tutto è avvenuto e tutto è noto, almeno per i membri delle élite. Visita persino la residenza di montagna di Hitler, il celebre “Nido dell’Aquila”. Dopo cena fuma un sigaro di una partita appena trovata nell’auto blindata di Göring, e sul diario scrive: «Hitler emergerà dall’odio che ora lo circonda come una delle personalità più importanti mai vissute. La sua sconfinata ambizione per la Germania (_) aveva qualcosa di misterioso nel suo modo di vivere e di morire, che sopravviverà a lui, e crescerà ancora. Hitler era della stoffa di cui son fatte le leggende». Eppure Karl Kraus (1933) nella «Terza notte di Valpurga» aveva usato l’incipit più sublime «Su Hitler non mi viene in mente niente_».
Questa genia di ottimati, che pure dovrei ben conoscere, ha il potere di stupirmi anche da vecchio. Sono senza parole.