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 2013  maggio 31 Venerdì calendario

LA VERSIONE DI OTTO

[colloquio con Otto Schilly– Elogia la nostra economia. Critica i politici attaccati alla poltrona. Un ex ministro tedesco ci giudica e consiglia al Pd Renzi]–
Si definisce «un piccolo contadino toscano». Da anni nel suo podere di Asciano, sotto Siena, produce olio d’oliva per sé e per gli amici, che a loro volta lo descrivono come un «bon vivant», un esperto di vini al cui confronto l’amico Joschka Fischer, già ministro degli Esteri, è un boy scout. L’estate scorsa ha festeggiato gli 80 anni all’Enoteca Italiana, nella Fortezza Medicea, tra gli invitati l’ex cancelliere Gerhard Schroeder. Otto Schily è parte della élite europeista tedesca. Tra i fondatori dei Verdi, poi passato alla Spd, ex ministro, avvocato di prestigio, è un gran conoscitore dell’Italia. E da Berlino entra nel dibattito sulle tensioni italo-tedesche (rilanciato da “l’Espresso” n. 19). Ribalta alcuni luoghi comuni con accenti anche personali. E consiglia: più Toscana per tutti. Incluso Matteo Renzi.
Herr Schily, ricorderà l’allegoria del pittore romantico Overbeck, “Germania e Italia”: le due fanciulle che si tengono per mano su doppio sfondo, toscano e gotico. Dov’è finito l’amore?
«Di romanticismo ce n’è meno. Ma in fondo all’anima tedesca la simpatia è ancora molta. Nonostante le riserve mentali e le percezioni errate. Come il pregiudizio che l’italiano abbia un fondo d’indolenza. Altro che dolce far niente: io i toscani li vedo lavorare sodo. E sono rigidi su certi orari. Non puoi chiamare qualcuno all’una meno cinque perché all’una si siede a desinare. Ci tiene. E fa bene. Dai ritmi toscani noi tedeschi possiamo imparare parecchio. Mentre troppi italiani associano a noi solo ordine e precisione. Ah sì? Ricorderei loro i casi del nuovo aeroporto di Berlino e della stazione di Stoccarda, inefficienze gravi, ferite aperte nell’opinione pubblica...».
Lei è cavalleresco. Ma sia sincero, questo incattivimento se lo aspettava?
«No, non così. Si esagera. A volte l’odio è figlio dell’amore deluso. In Europa, non solo in Germania, ritorna l’immagine del capro espiatorio, ricorrente in tempi di crisi. Mi preoccupa».
“Der Spiegel” ci ha provocato sui “finti poveri” nei Paesi mediterranei: tanto debito pubblico, tanta evasione fiscale e le famiglie con più soldi in tasca di quelle tedesche. Ma secondo lei Italia, Spagna e Grecia davvero sono uguali?
«No, qui bisogna parlar chiaro. Grecia e Italia non sono minimamente paragonabili. La Grecia non possiede un modello economico: il turismo e i cantieri navali perdono colpi, l’agroalimentare fa numeri piccoli. L’Italia, sì, dispone di un modello economico e industriale. Seppur sbilanciato al centro-nord. Le piccole e medie imprese, i distretti, i leader di settore, l’orientamento all’export. È una ricchezza vera. E Mario Monti doveva saperlo».
E invece?
«È stato il suo grande errore: per le pmi, l’ossatura dell’economia, ha fatto troppo poco. Ha inasprito il carico fiscale senza combattere la burocrazia, nemica della competitività. Nel primo trimestre 2013 in Italia hanno chiuso oltre mille aziende al mese. Una morìa di imprese che in Germania colpisce molto».
Si aspettava la delusione Monti? Quarto alle elezioni, con Berlusconi azionista forte di un governo di equilibristi...
«Me l’aspettavo, sì».
Sui media tedeschi Monti era il preferito di Angela Merkel, il salvatore della dignità italiana dopo il penoso eroe del bunga bunga. Secondo “Die Zeit” poteva darle lezione per cosmopolitismo e competenza economica...
«Monti ha una reputazione indubbia, sa esprimere anche simpatia personale. Ma ha i limiti del tecnocrate. Io non ho mai creduto ai “governi tecnici”, come li chiamate voi».
E all’italiano finto povero ci crede?
«Far politica in base alle statistiche non è mai bene. Il debito privato, tra gli italiani, è basso. In Germania stiamo peggio? Sì. E allora? Mi pare un complimento agli italiani. Non saremo noi ad aver sbagliato qualcosa? D’altronde, a causa del rigore tedesco agli italiani chiedere denaro oggi costa di più, ma la colpa è della politica poco rigorosa di Roma negli anni scorsi. Tra l’altro, mi sbalordisce l’uso martellante della parola spread. I titoli di Stato tedeschi come stella polare. Ne parla chiunque in ogni bar. Diciamolo: l’Italia sorprende sempre. Vuole un aneddoto?».
Come no.
«Dopo la caduta del governo Monti ho visto a Roma un protagonista della vostra economia. No, non le dico il nome. Alla domanda su chi avrebbe vinto le elezioni mi ha risposto: è del tutto indifferente. E perché? Perché qualsiasi governo si formi avrà un solo compito, rispetto al quale ogni altro tema è secondario: riuscire a piazzare le obbligazioni italiane sui mercati internazionali».
La preoccupano, dalla Lega a Grillo alla Alternative für Deutschland, le forze trasversali anti Europa e anti euro?
«Sì. In Germania c’è pure la vecchia sinistra di Lafontaine. Ma temo di più la ricaduta nei nazionalismi. Sarebbe un errore fatale verso i nostri figli e nipoti».
Se l’immagina un’Italia con la lira?
«Vuole scherzare. Non esiste» Intanto la cancelliera Merkel, mentre da noi le forze antieuropee la ritraggono con l’elmetto prussiano e la frusta in mano, insiste a venire in vacanza a Ischia e in Alto Adige.
«Che lei sia attratta dall’Italia non ci sorprende affatto. Lo siamo in tanti. Ogni idillio ha i suoi lati oscuri, ma l’Italia resta uno dei Paesi più europeisti».
Un giudizio da élite culturale, meno diffuso tra la gente qualunque.
«Oggi in tanti non sanno chi erano De Gasperi o Spinelli, ma queste figure restano e pesano».
Dov’è la forza del modello Toscana, se c’è? Non nello scandalo Montepaschi...
«Ah ah, no di certo. A Siena si è scatenato il pandemonio. Come minimo ci si è affidati alle persone sbagliate. No, io vedo una Toscana di piccole e medie imprese aperte al mondo. Enogastronomia, non ne parliamo. Equilibrio tra città e territorio. Crescente tutela dell’ambiente. Lo vedo ogni mattina dalla mia collina. Se voglio toccar qualcosa nella mia proprietà, salta su il Comune, o il comitato ambientalista, a controllare».
Sapranno che lei è stato un leader dei Verdi per dieci anni.
«Sono severi ugualmente. E mi sta bene».
La Toscana è terra di Letta pisano e di Renzi fiorentino.
«Renzi non lo conosco ancora, conto di averne presto l’occasione. L’avrei visto bene come leader del centrosinistra alle elezioni. È stato un errore del Pd non puntare su di lui. Davvero, gli italiani cercano figure nuove. Sono stufi dei vecchi apparatchik. Il ricambio generazionale è una cosa seria. Persino nel Partito comunista cinese si scorgono segnali...».
Il ritorno di Berlusconi l’aveva previsto? In Germania lo davano per finito.
«Mi stupisce molto che tanti italiani si fidino ancora di lui, un prestigiatore della politica. Ma gli errori del Pd e di Monti hanno aiutato».
Gli italiani preferiscono illusioni e magie ai leader razionali e ragionanti.
«Si sa, Berlusconi è uno charmeur. In Italia non sono poi così rari».
Direbbe anche lei «i due clown», Berlusconi e Grillo, come ha fatto Peer Steinbrück, lo sfidante di Merkel?
«Me ne guardo bene. Non vorrei incrinare il rapporto che mi lega a Giorgio Napolitano, un amico per il quale nutro la più profonda ammirazione».