Alessandra Farkas, Corriere della Sera 31/05/2013, 31 maggio 2013
GUARDARSI NEGLI OCCHI OLTRE 7 SECONDI. QUELLO CHE NON RIUSCIAMO PIU’ A FARE — È
l’ennesima metamorfosi socio-collettiva nell’era degli smartphone: guardarsi negli occhi è diventata un’arte in via di estinzione. A lanciare l’allarme è il Wall Street Journal secondo cui il tempo passato da una persona adulta a guardare dritto negli occhi dell’interlocutore — il cosiddetto eye contact — è sceso al 30-60 per cento, mentre l’ideale per creare un senso di connessione emotiva dovrebbe essere dal 60 al 70 per cento.
Il calcolo è stato elaborato da Quantified Impressions, una società texana che analizza la comunicazione, studiando le abitudini di tremila candidati mentre parlavano «faccia a faccia» o in situazioni di gruppo. Come si spiega questo trend che sta contagiando un po’ tutti, con conseguenze spesso deleterie non solo nei rapporti interpersonali e familiari ma anche in quelli di lavoro? «Una barriera per un eye contact duraturo sono indubbiamente gadget come iPhone o Blackberry che consentono il multitasking», spiega al Wall Street Journal il presidente di Quantified Noah Zandan, «nella fascia di età tra i venti e i trent’anni, è diventato culturalmente accettabile parlare al telefono e controllare i risultati di una partita durante la cena».
Uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno dalla rivista Computers in Human Behavior ha identificato una delle cause della sempre minore intensità del guardarsi negli occhi nel Fomo (fear of missing out), ovvero il timore di perdere delle opportunità sociali. «Per certi individui», spiegano gli autori dello studio, «concentrarsi su un solo soggetto pone il rischio di non poter cogliere un’altra opportunità, magari migliore della precedente».
La tendenza al telelavoro, inoltre, ha abituato molte persone a parlare senza bisogno di guardare in faccia l’interlocutore. Una pratica che ha profondamente trasformato il nostro modo di comunicare. «Oggi alcuni impiegati preferiscono partecipare a un incontro di lavoro in teleconferenza», spiega Dana Brownlee, fondatrice di Professionalism Matters, società di training per manager di Atlanta, «anche se la riunione è a pochi metri dal loro cubicolo».
Ma anche se è sempre più in disuso, l’eye contact resta enormemente importante per influenzare il flusso di un discorso. «Guardare un collega mentre parla trasuda fiducia e rispetto», scrive il Wall Street Journal, «puntare gli occhi su un avversario durante una discussione lascia capire che non si ha intenzione di cedere terreno».
Ed è anche un indice di status sociale: secondo una ricerca del 2009 manager ai vertici di un’azienda o di un’istituzione tendono a guardare la gente con cui lavorano più dei loro dipendenti. Non a caso i cattivi capi si giudicano anche da questo. «Tenere gli occhi incollati al cellulare durante un meeting è l’equivalente di non esserci», afferma Suzanne Bates, autrice di Speak Like a Ceo, che fornisce consulenza ai manager smartphone-dipendenti. «Il capo che si comporta così lancia ai dipendenti un chiaro messaggio — incalza Bates —: "Sono troppo impegnato per voi, che non siete abbastanza importanti da meritare la mia attenzione"».
Ma se distogliere lo sguardo prima viene bollato come segnale di nervosismo, scarsa conoscenza del soggetto, insicurezza e inaffidabilità, anche il troppo storpia. «Un eye contact di oltre 10 secondi può sembrare aggressivo, emotivamente vuoto o scarsamente autentico», spiega Ben Decker, Ceo della Decker Communications di San Francisco, «in un contesto sociale manda il segnale di un interesse romantico oppure è semplicemente inquietante».
Qual è allora la durata ideale? «Guardare l’interlocutore negli occhi per sette-dieci secondi alla volta nel corso di una conversazione faccia a faccia e tre-cinque secondi in una discussione di gruppo», ribatte Decker che ai neofiti consiglia di esercitarsi, prima, davanti allo specchio.
Alessandra Farkas