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 2013  maggio 31 Venerdì calendario

ABORTO NEGATO ALLA MADRE MALATA. IL DRAMMA CHE SCUOTE IL SALVADOR

Beatriz ha 22 anni e un bebè di 13 mesi, Beatriz è incinta di 26 settimane ed è gravemente malata. Beatriz vive il suo inferno interiore in una cittadina che guarda l’Oceano Pacifico, in Salvador, uno dei sette Paesi dell’America Latina dove l’interruzione di gravidanza è proibita in ogni caso, il Paese con il più alto tasso di femminicidi al mondo. Beatriz lotta contro il lupus, una malattia autoimmune che le mina il corpo cominciando dai reni. Lotta anche contro lo Stato e i 5 giudici della Corte costituzionale che le vietano di abortire.
Beatriz non è sola: i medici dell’ospedale che l’ha in cura, il ministero della Salute, le associazioni per i diritti delle donne sono dalla sua parte. Quattro giudici su cinque (tutti uomini), no. Con una sentenza attesa per sette settimane («Siamo stati veloci, di solito le nostre decisioni richiedono almeno due mesi») la Corte ha annunciato mercoledì che le condizioni di salute della ragazza vanno monitorate. Ma che per ora sono «stabili». Gli avvocati hanno sostenuto in aula che proseguire la gravidanza metterebbe a rischio la sua vita. Ma il giudice Rodolfo Gonzalez e tre dei suoi ingrigiti colleghi non ne sono convinti. Invece sono sicuri che la Corte costituzionale «non può trasformarsi in un tribunale che permetta l’aborto». Senza eccezioni. «I diritti di una madre non possono avere la precedenza su quelli del bambino non ancora nato, e viceversa».
La storia di Beatriz guadagna spazio sui media mondiali e qualche protesta davanti alle ambasciate del Salvador. E così ieri la ministra della Salute Isabel Rodriguez annuncia che il governo ha dato ai medici il permesso «di agire immediatamente se ci sono segni che la vita della ragazza è in pericolo». Cosa che i giudici hanno negato, senza neppure considerare un altro elemento: in base all’ecografia il feto è affetto da anencefalia, una malformazione che comporta il mancato sviluppo del cervello. Quasi tutti i bambini con questa patologia muoiono prima o poco dopo la nascita. Un elemento «cruciale» che secondo Morena Herrera, animatrice della campagna pro Beatriz, i giudici avrebbero dovuto valutare: «L’unica vita che qui possiamo salvare è quella di Beatriz. La decisione della Corte è irresponsabile». Florentin Melendez, l’unico giudice che ha dato ragione alla ragazza di Jiquilisco, precisa che questo non significa che lui sia abortista: «I medici devono poter agire per la salute della madre e dell’essere umano che porta in grembo, senza dover aspettare l’autorizzazione giudiziaria». Appunto. Secondo i medici favorevoli all’aborto terapeutico più il tempo passa più i rischi per la ragazza aumentano. Beatriz era arrivata all’ospedale Rosales il 2 marzo, con ulcere sul corpo e la febbre da due settimane. Anemia, insufficienza renale, ipertensione. Si scopre che è incinta di 13 settimane. Gli esami rilevano l’anencefalia nel feto: manca una parte di cervello. La Commissione sanitaria, secondo il quotidiano salvadoregno El Mundo, stabilisce che l’unica opzione è interrompere la gravidanza. Che però in Salvador è reato, punibile con la condanna della madre e dei medici.
Dalla parola dei medici, l’11 marzo Beatriz passa a quella dei giudici. La sentenza è di questa settimana. La Corte conclude che «c’è un impedimento costituzionale all’aborto terapeutico» perché l’articolo 1 «impone di proteggere la persona dall’istante del concepimento». Morena Herrera e il suo gruppo stanno valutando se portare Beatriz oltreconfine. Dove? Non nel vicino Honduras o in Nicaragua, gli altri Paesi del Centro America dove la legge vieta l’aborto sempre e comunque (con Cile, Haiti, Repubblica Dominicana e Suriname). In America Latina solo Cuba, Guyana, Puerto Rico e Uruguay hanno legalizzato l’interruzione di gravidanza oltre che nei casi di violenza sessuale o di rischio per la salute della donna. In Brasile il Senato sta discutendo se legalizzarla nelle prime 12 settimane, come è permesso alle donne messicane ma soltanto a Città del Messico (non nel resto del Paese). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’America Latina proibizionista ha un numero di aborti quasi tre volte superiore all’Europa (dove è legale): 32 casi ogni mille donne in età fertile contro i nostri 12. E Oltreoceano il 95% degli aborti è da considerarsi «a rischio».
Michele Farina