Federica Bianchi, l’Espresso 31/5/2013, 31 maggio 2013
GRECIA ANNO ZERO – [
Da Atene
I numeri sono ancora da disastro post-bellico. Ma il peggio pare alle spalle. Atene vede la fine del tunnel. E rinasce la speranza]
La metà dei negozi lungo i viali che si dipanano da piazza Sintagma, di fronte al palazzo rosa del Parlamento, sono vuoti e scuri come i portafogli della gente. Alcune vetrine sono segnate dalle tracce appiccicose dello scotch con cui fino a poco tempo fa erano attaccati i vecchi e coraggiosi cartelli "affittasi". Tentativi senza successo. I commercianti che hanno resistito, con i prodotti illuminati e gli sconti perpetui, rivendicano la propria esistenza come la conquista di una vita. Forse hanno ragione. Perfino le tre vetrine della Ferrari ai piedi del quartiere chic di Kolonaki quest’anno hanno traslocato. I residenti vorrebbero farlo ma non possono: il valore delle loro case è precipitato a tal punto che il costo di acquisto di un appartamento è inferiore a quello di costruzione. Ogni vendita è un massacro. Negli ospedali ai dottori non sono più riconosciuti gli straordinari e ai disoccupati sono rifiutate le cure mediche gratuite.
Atene è una capitale bombardata. Ha combattuto con armi impari una guerra inaspettata durata cinque anni e l’ha persa. Il numero di chi ha ancora la forza di protestare contro le misure di austerità imposte dalla Germania e dal Fondo monetario internazionale si è assottigliato. La ricchezza del Paese è stata defalcata di un quarto in meno di duemila giorni. Diciannove trimestri consecutivi di recessione. È sparita ogni traccia di denaro facile. La svalutazione interna si è compiuta.
Eppure proprio tra le macerie si intravedono i segni di un nuovo inizio. Con pochi soldi in tasca ma finalmente qualche speranza di un cambiamento permanente. Di quel rinnovamento atteso da anni. Mentre conta ancora le perdite, la capitale guarda al domani attraverso le lenti ottimiste dei sopravvissuti. Perché è solo chi ha perso tutto che non ha paura di rischiare.
Proprio lì dove sono cadute le boutique di abbigliamento, spuntano i barroccini di souvlaki, dove con un panino da due euro ci duri la giornata. Prezzi contenuti e margini bassi, spopolano i caffè all’aperto dove, a forza di condividerla, la sfortuna è meno amara. Come ninfee nella palude della crisi, fioriscono centinaia di centri di distribuzione gratuita di beni di ogni necessità - dal riso ai sandali, dalle medicine a un posto letto. La solidarietà sta avendo la meglio sulla disperazione. Xenia Papastavrou ha creato "Boroume, in greco "Possiamo", con l’idea di sfruttare il web per rendere accessibili gli avanzi dei ristoranti alle organizzazioni che ne hanno bisogno. Oggi, senza sprechi e senza soldi, il network di Boroume mette insieme 400 mila pasti al giorno. Alex Friantis, 52 anni, da proprietario di due ristoranti, villone in periferia e macchina con autista, è diventato Alex il nullatenente, 4 mila euro di reddito l’anno. Eppure passa le giornate a confezionare e distribuire pacchi di cibo secco regalati dai greci d’America. «Siamo qui per aiutarci l’uno con l’altro», aggiunge Alex: «Nessuno potrà mai sconfiggere il popolo greco».
Sono sempre più numerosi coloro che concordano con lui. Il simbolico gesto di tregua è arrivato dai ministri finanziari europei un paio di settimane fa: per la prima volta dall’inizio della crisi del debito, dopo avere incassato dal governo la promessa del licenziamento di 15mila impiegati del pubblico impiego, i creditori hanno deciso di concedere ben due delle tranche estive dei fondi di sostegno. Il giorno successivo l’agenzia di rating Fitch ha innalzato il giudizio sul Paese da CCC a B-, ancora lontano dal livello dei Paesi virtuosi ma comunque un tantino meno peggio. La borsa di Atene guadagna da inizio anno il 140 per cento. I rendimenti delle obbligazioni decennali sono passate dal 27 al 7,9 per cento tanto che il premier greco Antonis Samaras ha annunciato che il prossimo anno la Grecia riprenderà a vendere debito.
La retorica della "Grexit", ovvero l’uscita di Atene dall’euro, si è trasformata in quella della "Grecovery", della ripresa, per dirla con il volubile linguaggio dei mercati finanziari. La percezione è che i bombardamenti stiano volgendo al termine. Che, come nazione, perché è impossibile negare che in migliaia rimarranno stecchiti sul campo, la Grecia non solo rimarrà nell’euro ma ce la farà a risollevarsi.
Non tutti condividono l’eccesso di ottimismo. «Non si può dire che, con le elezioni alle porte, alla Merkel non faccia comodo una storia greca di successo, e la cosa giova anche alla sopravvivenza del nostro governo», commenta Nick Malkoutzis, vicedirettore di Kathamerini, il principale quotidiano greco: «Forse il "sentiment" è cambiato. Ma dire che la ripresa dell’economia sia dietro l’angolo è prematuro». L’economia dovrebbe continuare a contrarsi nel 2013 di un ulteriore 4 per cento e la disoccupazione a crescere fino a sfiorare il 30 per cento della forza lavoro, il 65 per cento nel caso degli under 25. Chi ha potuto ha già lasciato il Paese. Secondo le stime, nel 2012 in 34 mila sono partiti per la Germania, il doppio dell’anno precedente. Gli investimenti nel settore privato sono ancora tenuti alla larga da una burocrazia mostruosa e da un sistema giudiziario opaco. Nonostante la task force europea, la lotta all’evasione fiscale non ha raggiunto il successo sperato. Il settore bancario dovrebbe terminare la ricapitalizzazione alla fine dell’estate ma ci vorrà ancora un semestre perché riprenda a prestare denaro ai piccoli imprenditori e alle nuove iniziative.
Eppure, come una vedova che ha smesso il lutto, la si può ricominciare a guardare questa Grecia stanca, se non addirittura a corteggiare. C’è chi ne ha già approfittato. Hellenic Petroleum, la principale raffineria petrolifera del Paese, e Frigoglass, un’azienda privata che fornisce contenitori frigoriferi a clienti del calibro di Coca Cola, hanno emesso le prime obbligazioni aziendali del dopocrisi rispettivamente a un tasso dell’8 e dell’8,25 per cento. Sono andate a ruba. Se il settore bancario sarà lento nel riprendere la sua funzione creditizia «esploderà il numero delle aziende greche che ricorrerà alle obbligazioni aziendali per raccogliere fondi», spiega dalla periferia della capitale il neo amministratore delegato di Frigoglass Torsten Tuerling: «Gli investitori sono incoraggiati dal fatto che rispetto a un anno fa la situazione è molto cambiata. Allora c’erano rivolte, lacrimogeni e caos. Adesso un governo credibile e pace nelle strade. Allora gli investitori ci chiedevano solo dei nostri piani per l’uscita dall’euro. Adesso delle strategie di crescita».
Perfino la glaciale cancelliera tedesca Angela Merkel comincia a parlare di fondi per la ricostruzione. Nell’effervescentesettore dell’high tech sono già arrivati: l’Europa si impegna a raddoppiare le cifre raccolte dagli invetsitori privati. Per le infrastrutture pubbliche, quei ponti e quelle autostrade che dovrebbero facilitare la crescita dell’industria manifatturiera e l’arrivo di investimenti esteri, sono in cammino. L’Occidente non vuole lasciare campo libero alle avances di russi e cinesi che stanno già valutando le loro opzioni nell’ambito del programma di privatizzazioni imposto dall’Europa. Dopo aver piazzato a fatica un terzo delle quote del gestore pubblico delle scommesse Opap a un consorzio di acquirenti a lui vicini (per lo più a un prezzo considerato troppo basso dall’opposizione di sinistra), il premier Samaras starebbe ora in una posizione migliore. Sul tavolo c’è la vendita ai russi della Gazprom della società pubblica del gas Depa, sempre che la Ue la autorizzi. Intanto il mese scorso è volato in Cina per convincere Pechino a investire oltre che nel porto del Pireo anche nelle ferrovie e nell’aereoporto Venizelos di Atene.
Quest’anno se il Paese riuscirà, come sembra, a raggiungere la parità di bilancio al netto degli interessi sul debito, licenziamenti nel pubblico a parte, non ci sarà bisogno di ulteriori misure di austerità. In alcuni settori, come quello immobiliare, le tasse scenderanno. «I valori delle case sono crollati del 50-70 per cento di pari passo con il denaro nero in circolazione: un fenomeno che accade solo in tempo di guerra», racconta Kosmos Theodorides, nel suo ufficio della Polis Realty a Kolonnaki: «Ma io ho aperto sette nuove agenzie dal 2007 ad oggi. I margini non sono quelli di prima, negli uffici niente lampade Guzzini. Però il mercato si sta stabilizzando. E da quest’autunno inizierà il tempo dei buoni affari».
A intercettare l’atmosfera di possibilità è stata anche Andria Mitsakos, scintillante pierre globtrotter di origine greca, che ad Atene ha trasferito da New York la residenza e da Milano la piccola produzione di accessori in pelle. «A chi ha soldi e talento la Grecia offre infinite possibilità», racconta avvolta in un foulard di seta davanti alle sue finestre che incorniciano il Partenone: «Il segreto è produrre qui, dove tutto costa poco e la manodopera è abile, e poi vendere all’estero. L’Atene di oggi è come la Parigi degli Anni Venti». Alla ricerca di ogni scusa per dimenticare. Festeggiare. Ricominciare. La metà dei negozi lungo i viali che si dipanano da piazza Sintagma, di fronte al palazzo rosa del Parlamento, sono vuoti e scuri come i portafogli della gente. Alcune vetrine sono segnate dalle tracce appiccicose dello scotch con cui fino a poco tempo fa erano attaccati i vecchi e coraggiosi cartelli "affittasi". Tentativi senza successo. I commercianti che hanno resistito, con i prodotti illuminati e gli sconti perpetui, rivendicano la propria esistenza come la conquista di una vita. Forse hanno ragione. Perfino le tre vetrine della Ferrari ai piedi del quartiere chic di Kolonaki quest’anno hanno traslocato. I residenti vorrebbero farlo ma non possono: il valore delle loro case è precipitato a tal punto che il costo di acquisto di un appartamento è inferiore a quello di costruzione. Ogni vendita è un massacro. Negli ospedali ai dottori non sono più riconosciuti gli straordinari e ai disoccupati sono rifiutate le cure mediche gratuite.
Atene è una capitale bombardata. Ha combattuto con armi impari una guerra inaspettata durata cinque anni e l’ha persa. Il numero di chi ha ancora la forza di protestare contro le misure di austerità imposte dalla Germania e dal Fondo monetario internazionale si è assottigliato. La ricchezza del Paese è stata defalcata di un quarto in meno di duemila giorni. Diciannove trimestri consecutivi di recessione. È sparita ogni traccia di denaro facile. La svalutazione interna si è compiuta.
Eppure proprio tra le macerie si intravedono i segni di un nuovo inizio. Con pochi soldi in tasca ma finalmente qualche speranza di un cambiamento permanente. Di quel rinnovamento atteso da anni. Mentre conta ancora le perdite, la capitale guarda al domani attraverso le lenti ottimiste dei sopravvissuti. Perché è solo chi ha perso tutto che non ha paura di rischiare.
Proprio lì dove sono cadute le boutique di abbigliamento, spuntano i barroccini di souvlaki, dove con un panino da due euro ci duri la giornata. Prezzi contenuti e margini bassi, spopolano i caffè all’aperto dove, a forza di condividerla, la sfortuna è meno amara. Come ninfee nella palude della crisi, fioriscono centinaia di centri di distribuzione gratuita di beni di ogni necessità - dal riso ai sandali, dalle medicine a un posto letto. La solidarietà sta avendo la meglio sulla disperazione. Xenia Papastavrou ha creato "Boroume, in greco "Possiamo", con l’idea di sfruttare il web per rendere accessibili gli avanzi dei ristoranti alle organizzazioni che ne hanno bisogno. Oggi, senza sprechi e senza soldi, il network di Boroume mette insieme 400 mila pasti al giorno. Alex Friantis, 52 anni, da proprietario di due ristoranti, villone in periferia e macchina con autista, è diventato Alex il nullatenente, 4 mila euro di reddito l’anno. Eppure passa le giornate a confezionare e distribuire pacchi di cibo secco regalati dai greci d’America. «Siamo qui per aiutarci l’uno con l’altro», aggiunge Alex: «Nessuno potrà mai sconfiggere il popolo greco».
Sono sempre più numerosi coloro che concordano con lui. Il simbolico gesto di tregua è arrivato dai ministri finanziari europei un paio di settimane fa: per la prima volta dall’inizio della crisi del debito, dopo avere incassato dal governo la promessa del licenziamento di 15mila impiegati del pubblico impiego, i creditori hanno deciso di concedere ben due delle tranche estive dei fondi di sostegno. Il giorno successivo l’agenzia di rating Fitch ha innalzato il giudizio sul Paese da CCC a B-, ancora lontano dal livello dei Paesi virtuosi ma comunque un tantino meno peggio. La borsa di Atene guadagna da inizio anno il 140 per cento. I rendimenti delle obbligazioni decennali sono passate dal 27 al 7,9 per cento tanto che il premier greco Antonis Samaras ha annunciato che il prossimo anno la Grecia riprenderà a vendere debito.
La retorica della "Grexit", ovvero l’uscita di Atene dall’euro, si è trasformata in quella della "Grecovery", della ripresa, per dirla con il volubile linguaggio dei mercati finanziari. La percezione è che i bombardamenti stiano volgendo al termine. Che, come nazione, perché è impossibile negare che in migliaia rimarranno stecchiti sul campo, la Grecia non solo rimarrà nell’euro ma ce la farà a risollevarsi.
Non tutti condividono l’eccesso di ottimismo. «Non si può dire che, con le elezioni alle porte, alla Merkel non faccia comodo una storia greca di successo, e la cosa giova anche alla sopravvivenza del nostro governo», commenta Nick Malkoutzis, vicedirettore di Kathamerini, il principale quotidiano greco: «Forse il "sentiment" è cambiato. Ma dire che la ripresa dell’economia sia dietro l’angolo è prematuro». L’economia dovrebbe continuare a contrarsi nel 2013 di un ulteriore 4 per cento e la disoccupazione a crescere fino a sfiorare il 30 per cento della forza lavoro, il 65 per cento nel caso degli under 25. Chi ha potuto ha già lasciato il Paese. Secondo le stime, nel 2012 in 34 mila sono partiti per la Germania, il doppio dell’anno precedente. Gli investimenti nel settore privato sono ancora tenuti alla larga da una burocrazia mostruosa e da un sistema giudiziario opaco. Nonostante la task force europea, la lotta all’evasione fiscale non ha raggiunto il successo sperato. Il settore bancario dovrebbe terminare la ricapitalizzazione alla fine dell’estate ma ci vorrà ancora un semestre perché riprenda a prestare denaro ai piccoli imprenditori e alle nuove iniziative.
Eppure, come una vedova che ha smesso il lutto, la si può ricominciare a guardare questa Grecia stanca, se non addirittura a corteggiare. C’è chi ne ha già approfittato. Hellenic Petroleum, la principale raffineria petrolifera del Paese, e Frigoglass, un’azienda privata che fornisce contenitori frigoriferi a clienti del calibro di Coca Cola, hanno emesso le prime obbligazioni aziendali del dopocrisi rispettivamente a un tasso dell’8 e dell’8,25 per cento. Sono andate a ruba. Se il settore bancario sarà lento nel riprendere la sua funzione creditizia «esploderà il numero delle aziende greche che ricorrerà alle obbligazioni aziendali per raccogliere fondi», spiega dalla periferia della capitale il neo amministratore delegato di Frigoglass Torsten Tuerling: «Gli investitori sono incoraggiati dal fatto che rispetto a un anno fa la situazione è molto cambiata. Allora c’erano rivolte, lacrimogeni e caos. Adesso un governo credibile e pace nelle strade. Allora gli investitori ci chiedevano solo dei nostri piani per l’uscita dall’euro. Adesso delle strategie di crescita».
Perfino la glaciale cancelliera tedesca Angela Merkel comincia a parlare di fondi per la ricostruzione. Nell’effervescentesettore dell’high tech sono già arrivati: l’Europa si impegna a raddoppiare le cifre raccolte dagli invetsitori privati. Per le infrastrutture pubbliche, quei ponti e quelle autostrade che dovrebbero facilitare la crescita dell’industria manifatturiera e l’arrivo di investimenti esteri, sono in cammino. L’Occidente non vuole lasciare campo libero alle avances di russi e cinesi che stanno già valutando le loro opzioni nell’ambito del programma di privatizzazioni imposto dall’Europa. Dopo aver piazzato a fatica un terzo delle quote del gestore pubblico delle scommesse Opap a un consorzio di acquirenti a lui vicini (per lo più a un prezzo considerato troppo basso dall’opposizione di sinistra), il premier Samaras starebbe ora in una posizione migliore. Sul tavolo c’è la vendita ai russi della Gazprom della società pubblica del gas Depa, sempre che la Ue la autorizzi. Intanto il mese scorso è volato in Cina per convincere Pechino a investire oltre che nel porto del Pireo anche nelle ferrovie e nell’aereoporto Venizelos di Atene.
Quest’anno se il Paese riuscirà, come sembra, a raggiungere la parità di bilancio al netto degli interessi sul debito, licenziamenti nel pubblico a parte, non ci sarà bisogno di ulteriori misure di austerità. In alcuni settori, come quello immobiliare, le tasse scenderanno. «I valori delle case sono crollati del 50-70 per cento di pari passo con il denaro nero in circolazione: un fenomeno che accade solo in tempo di guerra», racconta Kosmos Theodorides, nel suo ufficio della Polis Realty a Kolonnaki: «Ma io ho aperto sette nuove agenzie dal 2007 ad oggi. I margini non sono quelli di prima, negli uffici niente lampade Guzzini. Però il mercato si sta stabilizzando. E da quest’autunno inizierà il tempo dei buoni affari».
A intercettare l’atmosfera di possibilità è stata anche Andria Mitsakos, scintillante pierre globtrotter di origine greca, che ad Atene ha trasferito da New York la residenza e da Milano la piccola produzione di accessori in pelle. «A chi ha soldi e talento la Grecia offre infinite possibilità», racconta avvolta in un foulard di seta davanti alle sue finestre che incorniciano il Partenone: «Il segreto è produrre qui, dove tutto costa poco e la manodopera è abile, e poi vendere all’estero. L’Atene di oggi è come la Parigi degli Anni Venti». Alla ricerca di ogni scusa per dimenticare. Festeggiare. Ricominciare.