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 2013  maggio 30 Giovedì calendario

SHOPPING RECORD DELLA CINA A WALL STREET

NEW YORK
La Cina sbarca in grande stile sulla «tavola» della Corporate America. Il grande produttore di carni Shuanghui International ha fatto scattare un’acquisizione record per un’azienda di Pechino – anzi di Henan - negli Stati Uniti: 4,7 miliardi di dollari per la Smithfield Foods della Virginia. Con l’assunzione del debito la transazione sale a 7,1 miliardi.
Il gruppo asiatico, noto all’estero con il marchio Shineway e re della carne in Cina, non ha badato a spese per il «banchetto»: il prezzo offerto rappresenta un premio del 31% sulle quotazioni di Smithfield, leader mondiale assoluto nell’allevamento dei maiali e nei prodotti derivati. Ma l’operazione rappresenta un test significativo e ancora tutto da digerire per le piazze finanziarie e soprattutto le autorità di regolamentazione: i delicati rapporti tra i due Paesi faranno scattare un rigoroso esame del merger. Anche se l’appetito cinese per acquisizioni globali è in aumento: da inizio anno hanno raggiunto i 22,54 miliardi di dollari, per il 12,3% puntando proprio a obiettivi statunitensi.
Le operazioni cinesi più ambiziose sono in passato naufragate in America: la Cnooc nel 2005 cercò di rilevare la Unocal per 18,5 miliardi, ma la transazione si arenò su preoccupazioni di sicurezza nazionale. Nel caso di Smithfield simili ragioni non dovrebbero entrare in gioco, ha assicurato il chief executive di Smithfield Larry Pope. I timori sulla sicurezza alimentare e sul significato politico ed economico del merger saranno tuttavia al centro dell’attenzione. Finora la fusione completata di maggior valore è stata più innocua, la conquista l’anno scorso della catena di cinema Amc per 2,6 miliardi da parte di Dalian Wanda, mentre l’operazione pendente in cima alle classifiche era l’oscuro colpo da 4,2 miliardi di New China Trust per la International Lease Finance.
La fusione dovrà passare al vaglio dello speciale Committeee on Foreign Investment in the United States (CFIUS). Pope ha cercato di tranquillizzare i critici sottolineando che il risultato sarà l’apertura di nuovi mercati a Smithfield, non l’import di alimenti cinesi negli Stati Uniti o una modifica delle attività americane. Già oggi un quarto dell’export della società è indirizzato a Pechino, dove la domanda è in crescita con lo sviluppo dei ceti medi. In un primo successo, uno dei grandi sindacati di Smithfield, la United Food and Commercial Workers International Union, ha espresso sostegno per l’acquisizione. A predisporre vertici e dipendenti a una fusione sono le difficoltà incontrate oggi dalla società, le cui origini risalgono al 1936: ha perso terreno nei confronti di produttori più riconosiuti e diversificati negli Stati Uniti, quali Hormel Foods e Hillshire Brands. Tanto che tra gli azionisti sono partiti appelli per uno scorporo di attività.
Le incognite sull’operazione lanciata dalla Shuanghui sono state ammesse dagli stessi dirigenti di Smithfield. Il presidente Joseph Luter ha indicato che altre offerte per l’azienda potrebbero emergere. «Ci amano in molti», ha detto al Wall Street Journal. Di sicuro il titolo in Borsa ha rispecchiato la probabililtà che la società venga ceduta al più presto: è salito nel pomeriggio di quasi il 30 per cento.
Shianghui ha però le carte in regola per tentare l’avventura americana. È un colosso che ha coltivato efficacemente legami locali e internazionali. Controlla la Henan Shuanghui Investment & Development, gruppo quotato alla Borsa di Shenzhen. Il suo presidente, il 72enne Wan Long, è battezzato «il macellaio n°1 della Cina», grazie al 15 milioni di maiali che passano per i suoi impianti ogni anno. Ma è anzitutto da 15 anni membro dell’Assemblea nazionale del popolo. E Goldman Sachs, attraverso un fondo, ha una quota del 5,2% in una controllata dell’azienda cinese. Henan Shuanghui vanta una market cap di 14,2 miliardi, contro 3,6 miliardi di Smithfield, nonostante quest’ultima vanti vendite per 13 milardi contro i 6,5 miliardi dei cinesi. Un gruppo combinato avrebbe quasi 110.000 dipendenti e una produzione di carni pari a 5,3 milioni di tonnellate.
Marco Valsania

DAL CLUB MED A RIO TINTO L’OCCIDENTE È PREDA –
Inizia la fase due per la campagna di espansione dei gruppi cinesi. Un film in tre tempi, che fino a qualche tempo fa vedeva i colossi di Pechino impegnati a comprare avamposti in Occidente necessari per la distribuzione dei propri prodotti o, in molti altri casi, importanti per fare propria tecnologia europea o americana un po’ in declino.
Ma quello è stato soltanto l’inizio dell’avanzata. Negli ultimi anni c’è stata la conquista di quote azionarie importanti in colossi minerari o dell’energia occidentali: dall’acquisizione della canadese Nexen da parte di Cnooc (operazione da 17,7 miliardi di dollari), fino a quella dell’inglese Rio Tinto da parte di Chinalco (14,3 miliardi messi sul piatto), fino a quella delle attività brasiliane di Repsol da parte di Sinopec Group (7,1 miliardi). Nel 2012 lo shopping cinese in Europa ha toccato i 12,6 miliardi di euro.
Ora il terzo tempo del film rischia di fornire numerose sorprese, perché i miliardi che le aziende statali cinesi hanno in cassa stanno finendo su gruppi che vendono beni al consumatore finale. C’è, quindi, un radicale cambiamento di strategia.
Non c’è soltanto la Smithfield Foods dall’altra parte dell’Atlantico, ma per arrivare ai confini europei si può guardare al settore del turismo: con il gruppo finanziario cinese Fosum che ha fatto un’offerta pubblica d’acquisto per i villaggi del Club Med.
In Italia questo trend si sta già vedendo da diversi mesi e potrebbe fornire qualche elemento di riflessione in più: non è un caso che 3 Italia, controllata del colosso della telefonia Hutchison Whampoa, posseduto dal magnate di Hong Kong Li Ka-shing, uno degli uomini più ricchi al mondo, si sia fatta avanti per Telecom Italia. Ad interessare il gruppo asiatico delle Tlc è infatti il mercato della telefonia mobile in Europa. E, se si guarda sempre ai nostri confini o a Paesi molto vicini, un caso emblematico è anche l’offerta che il colosso bancario cinese Icbc avrebbe fatto per la Banca della Svizzera Italiana, controllata delle Assicurazioni Generali.
Quindi telefonia e servizi bancari: due settori molto vicini al consumatore finale. E la fase tre sembra poter entrare nel vivo nel futuro prossimo. Già si attendono le prossime mosse dei grandi gruppi di Pechino. Uno dei sogni cinesi in Italia, anche se per ora sembra irrealizzabile, resta la conquista di Iveco, uno dei leader mondiali nella produzione di veicoli industriali e autobus, controllata al 100% dal gruppo Fiat Industrial.
Da ormai qualche mese i corteggiamenti del colosso cinese Saic Motor Corporation per Iveco sarebbero aumentati, ma sul tema della possibile vendita della controllata il gruppo Fiat è sempre stato categorico, smentendone la cessione.
Resta, però, da capire se la cessione alle grandi conglomerate cinesi sia sempre la soluzione migliore. La prova del nove potrebbe essere in Italia, dove c’è stato uno degli ultimi grandi passaggi di proprietà, cioè quello degli yacht Ferretti al colosso Weichai. Quella di Ferretti è stata una delle crisi d’impresa simbolo degli ultimi anni, quantomeno per gli errori che sono stati commessi dagli azionisti finanziari che si sono alternati nella compagine. Poi sono arrivati i cinesi e tutto sembrava miracolosamente sorpassato.
Non è stato così, come dimostrano le vicende delle ultime settimane, visto che la crisi del settore yacht sta incidendo pesantemente sull’azienda costretta a ricorrere alla cassa integrazione. Ora il timore di molti è che, non ora ma fra qualche anno, Ferretti possa trasferire la propria produzione in Cina. Il rovescio della medaglia della grande avanzata cinese.
Carlo Festa