S.V. Avvenire 31/5/2013, 31 maggio 2013
CINA 2020, FINALMENTE ADDIO FIGLIO UNICO
La politica demografica e in qualche modo il futuro dei suoi anziani sono stati dettati in Cina dall’ossessione per il figlio unico e dalla selezione di genere che negli ultimi trent’anni ha ridotto la popolazione di 300 milioni di cittadini. Oggi, in un Paesemosaico e con una società in rapido cambiamento, i danni di questa politica appaiono evidenti e spingono il governo a proporre la liberalizzazione delle nascite entro il 2020 (mettendo fine alla politica che tanti disastri umani ha provocato).
Esemplificativo il dato dei cinesi al di sotto dei 14 anni, scesi dal 22,9 per cento della popolazione nel 2000 al 16,6 per cento del 2010. Contemporaneamente, gli ultrasessantenni sono saliti dal 10,3 al 13,3 per cento, dato che già porta oggi la Cina ad avere più anziani dell’intera Unione Europea, 200 milioni nel 2015. Con il temuto avvicinarsi del superamento del punto d’equilibrio demografico nel 2016, la popolazione attiva inizierà a ridursi aggiungendo una pressione psicologica a sfide che includono la rapida urbanizzazione e lo sviluppo economico ineguale che ha portato a una ridistribuzione geografica della popolazione, l’attuale bassa età di pensionamento, la maggiore speranza di vita, standard di vita in evoluzione e bassa rendita degli investimenti a fondo pensionistico (oggi attorno al 2% annuo).
Attualmente, il ’mosaico’ pensionistico nella Repubblica popolare cinese si basa su tre diversi sistemi: urbano, del pubblico impiego, rurale. Attualmente il settore privato urbano (180 milioni di contribuenti, 50 milioni di pensioni erogate attualmente) prevede versamenti equivalenti al 20 per cento dei guadagni a carico del datore di lavoro versati al fondo di previdenza sociale e all’8 per cento a carico del dipendente indirizzati a un fondo individuale. Nel settore pubblico (40 milioni di persone), a contribuire per le due quote è il solo datore di lavoro. In ambito rurale (programma lanciato nel 2008 per fornire una pensione a 647 milioni di cinesi), la situazione è assai diversificata e sovente ancora poco definita.
L’età pensionabile di 60 anni per gli uomini e 50/55 per le donne secondo la professione nelle aree urbane e di 60 anni per tutti in quelle rurale è eredità del passato e, per gli analisti, richiede rapidi interventi. Di conseguenza, dice l’analista finanziario di Hong Kong Stuart H. Leckie, il governo dovrà applicare significativi modifiche per migliorare e razionalizzare i benefici dei diversi sistemi in corso e sviluppare un sistema pensionistico più efficiente, solido e bilanciato. «Necessario – spiega Leckie – è provvedere alla convergenza del sistema per dipendenti pubblici nel sistema urbano gestito professionalmente, rendere il sistema rurale obbligatorio, migliorare entrambi i sistemi riconoscendo anche posizioni pensionistiche ai lavoratori migranti, rendere possibile il trasferimento di trattamenti pensionistici a livello inter-provinciale e internazionale ». (S.V.)