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 2013  maggio 31 Venerdì calendario

L’ASIA DAI CAPELLI GRIGI

Gli stupefacenti risultati ot­tenuti dall’Asia nel recente passato hanno beneficiato indubbiamente della sua demo­grafia, in quanto una popolazio­ne numerosa e giovane ha dato un contributo essenziale alla crescita economica. Il continente si avvia tuttavia ad avere una popolazione assai più vecchia nei prossimi an­ni per calo della fertilità e aumen­to dell’aspettativa di vita. La cre­scita futura potrà contare di con­seguenza sempre meno su una popolazione attiva ampia e giova­ne e dovrà invece tenere sempre più conto di chi il ’miracolo’ a­siatico ha alimentato con notevo­li sacrifici e chiede sicurezza e be­nessere.
Come sottolineano i compilatori del rapporto Pension Systems and Old-Age Income Support in East and Southeast Asia: Overview and Reform Directions («Sistemi pen­sionistici e sostegno al reddito de­gli anziani in Asia orientale e sud­orientale: panoramica e indica­zioni per la riforme»), pubblicato recentemente dall’Asian Develop­ment Bank (Banca asiatica per lo sviluppo), in questa prospettiva, se l’Asia in via di sviluppo si trova davanti alle sfide colossali di man­tenere una crescita sostenuta e consentire ai suoi anziani di avere di che vivere in modo adeguato, quella più sviluppata dovrà fatica­re per adeguare sistemi di previ­denza sempre meno sostenibili.
Il continente oscilla ancora tra a­ree economicamente progredite ma non ancora dotate di sistemi di welfare adeguati e paesi il cui si­stema previdenziale riguarda il so­lo pubblico impiego e poche altre categorie, lasciando la maggio­ranza dei cittadini a dipendere in modo sempre più incerto dai figli, dalla beneficenza o dalle tradizio­nali strutture di assistenza a base religiosa.
In ogni caso, con poche eccezioni, la situazione oscilla tra sistemi che andranno necessariamente estesi a beneficio di fasce più ampie di popolazione ad altri che andranno razionalizzati, aumentando ad e­sempio l’età prevista per uscire dal mondo del lavoro e insieme in­centivando una prolungata vita produttiva.
In Giappone, che in Asia ha la più alta percentuale di anziani, l’età dell’età pensionabile viene alzata per tutti a 65 anni, con la possibi­lità per le aziende di continuare ad impiegare, a metà del salario, di­pendenti ultrasessantacinquenni. Come ricorda il professor Nahiro Ogawa dell’Istituto per la ricerca sulla popolazione dell’Università Nihon, «nessun Paese può lascia­re inalterata l’età del pensiona­mento per decenni. A parte altri provvedimenti, mantenere in atti­vità più persone non potrà che contribuire ad alleggerire il peso delle pensioni per il governo, ren­dendo i piani pensionistici più so­stenibili ». Con una popolazione di 67 milio­ni che salirà nel 2050 a 82,5 milio­ni, di cui il 27,3 per cento (22,5 mi­lioni) ultrasessantenni, la Thailan­dia è il caso di una situazione in­termedia, segnata oggi però da dif­ficoltà nuove che non potranno che aggravarsi senza interventi si­gnificativi.
«Si va concretizzando quella che è stata per anni la nostra preoccu­pazione, quando per la prima vol­ta l’età media dei dipendenti pub­blici ha toccato i 45 anni nel 2004. Recentemente è scesa a 43 anni per il pensionamento dei dipendenti della generazione del ’baby boom’, ma la situazione resta preoccupante, tenendo conto di u­na speranza di vita più elevata e della bassa fertilità». La preoccu­pazione di Nontikorn Kanjanaji­tra, responsabile della Commis­sione per il Pubblico impiego thai­landese, non è priva di ragioni e va certamente condivisa.
Nel caso thailandese, dell’1,65 mi­lioni di dipendenti pubblici che (su un totale di 2,7 milioni) avranno diritto alla pensione al raggiungi­mento del 60° anno (un «benefi­cio » esteso anche ai militari, ai po­liziotti e a pochi altri gruppi pro­fessionali) solo il 42,2 per cento ha meno di 40 anni. Il governo di Bangkok sta correndo ai ripari, ad esempio posticipando di almeno quattro anni il pensionamento di alcune categorie di dipendenti, co­me medici o avvocati e pensando di alzare per tutti l’età pensiona­bile a 62 anni o, in alternativa, a 70 per sole categorie manageriali. Ma il problema – per un Paese che non ha un piano nazionale di previ­denza e in cui la maggioranza del­la popolazione ha poche possibi­lità di garantirsi una forma di previdenza privata – è solo procrastinato nel tempo.
Una legge del 1941 ha stabilito l’età pensio­nabile a 60 anni, quando la speranza di vita media nel Pae­se del Sorriso era di soli 52 anni, oggi sa­lita a 72. Esiste poi l’aspetto della spesa sanitaria, non meno preoccu­pante. Tornando an­cora al ’caso’ thai­landese, sono 5 mi­lioni i cittadini che hanno diritto all’assi­stenza garantita ai di­pendenti pubblici e ai loro familiari. Di que­sti, circa la metà han­no più di 60 anni e as­sorbono la metà della spesa sanitaria annua che equivale a 1,6 mi­liardi di euro. «Il diva­rio d’età non potrà che crescere per l’aumento dell’età dei lavoratori, nonostante il ’congelamento’ periodico dell’u­scita dall’attività produttiva dei pubblici dipen­denti. Dobbiamo ripensare seria­mente le regole di assunzione e in­centivare il rientro al lavoro dei pen­sionati», ricorda ancora Nontikorn Kanjanajitra.