Roberto D’Alimonte e Federico De Lucia, Il Sole 24 Ore 29/5/2013, 29 maggio 2013
È PRESTO PER PARLARE DI DECLINO
È comprensibile che la prestazione del Movimento 5 Stelle nelle recenti comunali interessi di più del risultato nei singoli comuni in cui si è votato. Un partito che perde nel giro di tre mesi i due terzi del suo elettorato fa notizia. Nei 14 comuni capoluogo su 16 in cui il partito di Beppe Grillo era presente sia alle politiche che alle comunali i suoi candidati a sindaco hanno ottenuto l’11,3% dei voti. Nelle politiche di febbraio negli stessi comuni il Movimento 5 Stelle aveva preso il 26,3 per cento. Se questo è il confronto che si fa, non c’è alcun dubbio che si debba parlare di crollo. Nei grafici in alto è possibile vedere l’andamento del M5S nei vari capoluoghi al voto. Il calo è generalizzato, ma non uniforme. Ci sono comuni dove il Movimento 5 Stelle ha perso in percentuale la metà dei voti e altri (a Viterbo, per esempio) dove ha perso addirittura più del 75 per cento. Neanche a Siena è andato bene, nonostante il vantaggio che il suo candidato poteva ricavare dal malcontento legato al caso del Monte dei Paschi.
Però – come abbiamo avuto modo di dire in altre occasioni (vedi Il Sole 24 Ore di ieri) – il confronto comunali-politiche è ancora più fuorviante per il Movimento 5 Stelle che per gli altri partiti. Questo perché la competizione comunale è strutturalmente non congeniale ai candidati grillini. In un contesto di forte personalizzazione del voto e di elezione diretta del sindaco sono fortemente svantaggiati. Essendo del tutto sconosciuti o quasi, prendono voti solo in proporzione al loro grado di effettivo radicamento territoriale, e quest’ultimo è spesso poca cosa, quasi ovunque pari o addirittura inferiore a quello che caratterizza una fra le tante altre liste civiche che popolano le nostre schede elettorali in situazioni come queste.
Se però lasciamo perdere il confronto comunali-politiche e andiamo a vedere come il M5S si è comportato nelle tornate amministrative degli ultimi due anni il quadro appare molto diverso. Non positivo, ma certamente diverso. Alle comunali del 2011 il Movimento 5 Stelle era presente in 18 capoluoghi su 29 e in questo gruppo di comuni aveva preso il 4,4% dei voti. Alle comunali del 2012 era presente in 20 capoluoghi su 26, e la sua percentuale di consensi era salita all’8,2%. Domenica e lunedì scorsi era presente in 14 capoluoghi su 16 e ha preso, in tale aggregato di comuni, l’11,3% dei voti. Non sono pochi per un movimento senza una robusta organizzazione sul territorio. È vero però che nel 2012 era riuscito ad andare al ballottaggio in cinque comuni superiori ai 15mila abitanti, e a vincere in tre di essi, fra i quali un importante capoluogo di provincia, Parma. Quest’anno tali performance sono state meno eclatanti: solo in tre comuni superiori ai 15mila abitanti (Martellago in provincia di Venezia, Assemini in provincia di Cagliari e Pomezia in provincia di Roma) i candidati grillini sono riusciti a guadagnarsi il passaggio al secondo turno, sempre contro candidati di centrosinistra (esattamente come l’anno scorso).
Ma il punto è sempre lo stesso. Sono candidati che scontano il fatto di avere poca esperienza e poca visibilità in un contesto in cui l’una e l’altra contano molto. Alle politiche il peso di Grillo è determinante, ma nei singoli comuni Grillo non può sostituire i suoi candidati. In un certo senso, mutatis mutandis, è lo stesso problema che ha Silvio Berlusconi il cui partito va di solito molto meglio a livello nazionale che a livello locale. Il caso della sinistra è diverso. Il suo radicamento territoriale le consente di sfruttare meglio questo tipo di consultazione. Soprattutto quando il ciclo politico nazionale non le è del tutto sfavorevole.
In conclusione, siamo in una fase di tale volatilità e incertezza della politica italiana che occorre fare molta attenzione a trarre conclusioni apodittiche su fenomeni di portata tutto sommato circoscritta, come è una tornata di elezioni locali. Ciò premesso, è possibile che altre e più approfondite analisi sul voto del M5S evidenzino uno scollamento del suo elettorato. Ma è presto per parlare di crollo o di declino irreversibile. I fattori che ne hanno fatto la fortuna nel recente passato sono ancora presenti. E proprio il livello di volatilità elettorale deve far riflettere sul fatto che quello che il M5S ha perso in una tornata elettorale potrebbe essere recuperato in quella successiva. Per i vecchi partiti non è ancora arrivato il momento di abbassare la guardia.