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 2013  maggio 29 Mercoledì calendario

DIECI DOMANDE PER LA PROCURA TARANTINA

Prima di tutto i fatti: il 26 ottobre 2012 il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, d’accordo con i ministeri dello Sviluppo economico, la Salute, Regione Puglia ed Enti locali rilascia la nuova Aia, che accoglie tutte le prescrizioni individuate dalla Procura della Repubblica di Taranto tranne una (la chiusura dell’impianto).
L’obiettivo è quello di rimuovere i fattori di rischio individuati dalle perizie ordinate dalla Procura nell’area a caldo. Le prescrizioni prevedono misure tecnologiche e gestionali che richiederanno investimenti stimati in 3 miliardi da attuare in un arco temporale di 36 mesi.
Il 15 novembre 2012 l’azienda accetta le prescrizioni e presenta il piano degli interventi per attuare l’Aia, ma il 25 novembre, quindi dieci giorni dopo, il Gip di Taranto su proposta della Procura, dispone il sequestro dell’area a freddo dello stabilimento e dei laminati piani (valore circa un miliardo), considerati corpo del reato perché prodotti successivamente al luglio del 2012, data di sequestro degli impianti.
Ci vuole una legge, la 231 del 24 dicembre 2012, che recepisce la nuova Aia e stabilisce i criteri del monitoraggio, per ridare all’azienda la piena disponibilità degli impianti e dei prodotti. Una legge alla quale la Procura si oppone sollevando eccezione di incostituzionalità davanti alla Corte costituzionale, che invece la respinge con una motivazione inappellabile: le misure di risanamento ambientale corrispondono all’obiettivo della salvaguardia del diritto sia al lavoro sia alla salute.
In qualsiasi altro Paese, la questione si chiuderebbe qui. Ed è da questa successione di date ed eventi che sorge, ineluttabile, la prima domanda al procuratore Franco Sebastio e al Gip Patrizia Todisco.
1
Perché mettere in campo una serie di azioni che mirano a un unico e incontrovertibile obiettivo: cassare tutte le proposte costruttive, migliorative e risolutive dell’Esecutivo e del Parlamento per mirare sic et simpliciter allo smantellamento della più grande acciaieria d’Europa? Un quesito che inevitabilmente ne richiama molti altri.
2
Perché sequestrare le risorse finanziarie dell’Ilva, una mossa che più del blocco degli impianti e degli immobili, impedisce all’azienda di disporre delle risorse finanziarie richieste dall’Aia e che quindi si pone in contrasto con la legge 231 (legge sull’Ilva) e la sentenza della Consulta?
3
L’Aia prescrive che il risanamento ambientale sia a carico dell’Ilva e i magistrati pretendono che questi adempimenti siano giustamente eseguiti con il massimo rigore e celerità. Perché allora gli stessi magistrati non consentono all’azienda di attingere alle sue risorse finanziarie decretandone così il collasso?
4
L’idoneità e la completezza delle misure per il risanamento era stata giudicata in base alla legge e secondo la Corte costituzionale come prerogativa di carattere amministrativo (quindi di competenza del governo, ndr). Perché il Gip ritiene di poter sorpassare questa barriera giuridica, ipotizzando che, nonostante la vigenza dell’Aia, l’Ilva continui a commettere reati già a suo tempo contestati?
5
Perché la valutazione economica del danno ambientale risarcibile da parte dell’Ilva è stata affidata ai custodi nominati dalla Procura della Repubblica di Taranto, che ancora una volta si è sostituita ai poteri riservati all’autorità amministrativa, come affermato dalla legge 231 e dalla sentenza della Corte Costituzionale?
6
Dei tre custodi scelti dalla Procura di Taranto (due dipendenti dell’Arpa Puglia e uno del dipartimento prevenzione dell’Asl di Bari), nessuno ha maturato una precedente e documentabile esperienza in un’acciaieria, né piccola né grande. È sufficiente una laurea in ingegneria per ripensare alla radice il più grande stabilimento siderurgico d’Europa?
7
Perché la Procura sembra dimenticare che le misure di ripristino ambientale, secondo quanto stabilito dalla direttiva europea in materia, non devono privilegiare il profilo del risarcimento monetario, ma solo quello sostanziale del risanamento ambientale e il ripristino delle risorse danneggiate, come stabilito dall’Aia in vigore?
8
Il Gip, con la decisione del 24 maggio, sostiene che "il legislatore ha inteso rimettere all’ Ilva il possesso degli impianti sottoposti a sequestro preventivo e assicurarle la prosecuzione dell’attività produttiva, senza esigere dalla stessa la presentazione di adeguate garanzie finanziarie sia del piano di interventi previsto dall’Aia, sia del pagamento delle eventuali sanzioni amministrative pecuniarie". La legge, in verità, non prevede l’imposizione di garanzie finanziarie a sostegno degli interventi e delle prescrizioni imposte, e neppure a copertura delle eventuali sanzioni pecuniarie. Perché si punisce quello che la normativa non sanziona?
9
Il Gip Patrizia Todisco, nello stesso provvedimento, stigmatizza la mancata presentazione da parte dell’Ilva del prescritto piano di dismissione dell’impianto e ripristino ambientale. Ma se e quando l’Ilva deciderà di dismettere l’attività dovrà attenersi a quanto stabilito dalla direttiva europea in materia e dalla legge. Un combinato disposto che troverà attuazione nella parte dell’Aia relativa alla bonifica del sito ancora in corso di istruttoria.
10
Dal periodo immediatamente successivo all’approvazione della legge 231, l’Ilva è stata obbligata a una serie di azioni: spegnimento dell’altoforno 1; chiusura delle batterie 3,4,5 e 6 della cokeria e delle torri di spegnimento 2 e 3; abbassamento dei cumuli e riduzione delle giacenze dei parchi minerali; arretramento degli stessi di 80 metri dal confine col quartiere Tamburi.
Il 26 marzo è stato ufficializzato dall’assessore all’Ambiente della Regione Puglia un sostanziale miglioramento dei livelli di benzo(a)pirene, diossina e polveri sottili. Tutti risultati non rilevanti, dottor Sebastio?
Correggere gli errori, emendare, agire sotto il controllo di istituzioni super partes, condividere soluzioni e percorsi risolutivi nell’interesse della collettività: questo racconta la storia di Taranto degli ultimi 12 mesi. Al netto dell’ostruzionismo della Procura.