Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 30 Giovedì calendario

OMICIDI ED EFFERATEZZE IN CRONACA COME USCITI DA ROMANZI «PULP»

L’ultimo caso è quello spagnolo della pallavolista olandese Ingrid Visser e del suo compagno torturati, massacrati, fatti a pezzi con una motosega e sepolti in una limonaia. Motivi economici, dicono gli inquirenti, forse un debito mai restituito. Ma una simile concentrazione di orrori come in queste ultime settimane non si era mai vista. Siamo costretti a oscurare i telegiornali della sera per evitare che i nostri bambini ne rimangano traumatizzati. Abbiamo ancora nelle orecchie e negli occhi la notizia di Corigliano Calabro, dove la quindicenne Fabiana è stata accoltellata e poi bruciata viva dal suo fidanzato, il quale ha confessato di averle versato addosso una tanica di benzina per darle fuoco. Motivi di gelosia, pare, ma già pronunciare la parola «motivi» può apparire eccessivo. Per non dire della decapitazione di un soldato a colpi di mannaia, avvenuta qualche giorno fa, coram populo, in una strada di Londra e rivendicata davanti al video dall’assassino farneticante, le mani ancora grondanti di sangue. E pochi giorni prima a Milano un folle, armato di piccone, ha ucciso tre uomini e ha ferito altre due persone, giovani e pensionati. Omicidi scatenati da «ragioni» diverse, ma accomunati dall’efferatezza. Non che un colpo secco di pistola non sia feroce, qui si parla però di assassini che non si limitano al gesto, ma esibiscono un accanimento quasi tribale, per lo più sceneggiando l’orrore al cospetto di un «pubblico» terrorizzato. E negli ultimi tempi con una serialità che impressiona.
Si tratta di scenari macabri che letti in tanti romanzi pulp degli anni Novanta, derivati dalla cinematografia (il cui apice è stato il celebre film eponimo di Quentin Tarantino), sembravano inverosimili e persino irritanti nella loro ostentazione splatter spesso compiaciuta, con schizzi di sangue e sventramenti ovunque, nel citazionismo colto quanto ironico, in una dosata oscillazione tra alto e basso che rasentava qua e là il virtuosismo colorandosi di cinismo trash e lugubre goliardia. Un filone che in area americana e anglosassone aveva avuto maestri e antesignani di rilievo assoluto (James Ballard o James Ellroy) e che in Italia ha prodotto il discusso fenomeno letterario dei cosiddetti «cannibali», inteso nei casi migliori a mettere in rilievo la (quanto presunta?) contiguità deflagrante tra frenesia del consumo e atrocità sanguinarie, tra quieta normalità del benessere medio e trasgressione dirompente, tra salute mentale e follia. La narrativa era piena di crudeltà, di viscere e spazzatura dentro gli scenari metropolitani più vari (ricordate la comica parodia messa in scena da Bebo Storti nelle vesti dello scrittore «pulp, molto pulp, pure troppo» Thomas Prostata, che invocava «sangue e merda»?). I critici «apocalittici» allora misero subito in evidenza la fatuità di certi moduli stilistici che volevano scimmiottare la narrativa americana, buttandosi sull’orrore estremo, mentre altri vi intravedevano la capacità della letteratura di reagire ai grandi mutamenti d’epoca.
Ora la beffa è che tutto ciò sembra uscito improvvisamente dalla dimensione grottesca di tanta cinematografia e di tante pagine di romanzi anche mediocri per rovesciarsi nella nostra quotidianità, radicandosi in ben altro terreno sociale, fatto di povertà, emarginazione, disperazione al limite della sopravvivenza. La dimensione fiction, anche la più banale e irrelata, si è ribaltata in cronaca nera. L’improbabile si è capovolto in allucinante quotidianità. Con ciò non si vuol dire che prima o poi i nodi della letteratura vengono al pettine della realtà. Né si intende rivendicare necessariamente all’immaginazione letteraria un valore visionario o profetico, ci mancherebbe: per fortuna non tutte le «previsioni» dei romanzi (tanto meno i peggiori) si verificano con puntualità. Ma fa un certo effetto notare come quella stessa estetica (per usare un termine che può sembrare nobilitante) della violenza, che vent’anni fa si dava per iperbolica e non intimamente necessaria nella sua ostentazione spesso semplificata, si propone ai nostri occhi increduli come la più atroce delle realtà. Piena di quell’inquietudine, di quella verità e di quella angoscia che allora, nelle pagine dei libri, per lo più mancavano.
Paolo Di Stefano