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 2013  maggio 30 Giovedì calendario

CHE COSA RISCHIA L’ITALIA A KARLSRUHE

Ai cancelli della Corte costituzionale tedesca a Karlsruhe qualcuno tra qualche giorno vedrà entrare un uomo dalla fisionomia ormai familiare al pubblico. Hans-Werner Sinn prima della crisi era noto solo ai suoi colleghi economisti; oggi è il simbolo di una certa avversione tedesca al sostegno verso i Paesi in crisi, e il mese prossimo verrà ascoltato dalla Corte nell’esame di un caso che può cambiare il corso degli eventi per decine di milioni di famiglie nell’Europa del Sud. Karlsruhe valuta ciò che ha fatto la Banca centrale europea per sedare i mercati. Per l’esattezza, i giudici devono decidere (in autunno) se sia legale che la Bundesbank partecipi al programma della Bce che prevede, in linea di principio, acquisti illimitati di titoli degli Stati in crisi. Da sola, l’esistenza stessa di quella opzione è bastata a ridurre gli spread italiani di 200 punti base negli ultimi 10 mesi. Ma oltre a Sinn, i giudici tedeschi hanno scelto di ascoltare come «esperto» un altro economista ancor più efficacemente ostile al programma di Draghi come Harald Uhlig dell’Università di Chicago. La Bce ha già capito che Karlsruhe non promette niente di buono. In caso di decisione negativa, la minaccia di interventi dell’Eurotower non sarebbe più credibile. Ironia vuole che proprio mentre nella quiete di Karlsruhe si gioca questa partita ad alto rischio, il piano della Bce sembri ormai aver dato tutti i benefici possibili. Miglioramenti probabilmente non ne produrrà più, dopo che i rendimenti dei titoli del Tesoro sono scesi quasi senza sosta fino a inizio maggio. Da allora però qualcosa è cambiato. Per accettare il rischio Italia, il mercato ha ripreso a chiedere un premio un po’ maggiore: solo ieri i rendimenti dei Btp a 10 anni sono saliti di 15 punti, più che in Spagna o in Grecia, e da inizio maggio l’aumento è stato quasi di 50 punti. Il rischio che a un certo punto cambi il senso di marcia dei flussi di capitale non è tramontato. Una sentenza negativa a Karlsruhe, il primo accenno di una stretta monetaria della Federal reserve o un po’ di rialzo nei rendimenti tedeschi possono bastare: sorprenderebbero l’Italia con un debito al 134,3% del Pil nel 2014 (secondo l’Ocse) e una spesa pubblica salita al record del 51,1% del Pil (secondo Bruxelles). Questa è l’Italia che vorrebbe usare un po’ di più di risorse del contribuente senza contabilizzarle ufficialmente a deficit. Difficile che la richiesta sia accolta: l’ultimo Paese che fece qualcosa del genere, nel ’99, fu la Grecia.
Federico Fubini